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Cesare Romiti, il Dottore e la ‘sua’ Fiat

Ogni volta che rispondeva al cellulare, già ultra novantenne, usava la stessa formula: “Mi chieda quello che vuole ma non le parlo della Fiat”. Poi bastavano pochi secondi di conversazione perché lui stesso esprimesse giudizi, quasi sempre affilati, sulla ‘sua’ Fiat. Il legame tra Cesare Romiti, scomparso oggi a 97 anni, e il Lingotto è stato semplicemente indissolubile. Nei venticinque anni vissuti da protagonista, dal 1974 al 1998, è stato amministratore delegato e presidente. Sopratutto, è stato l’uomo che Gianni Agnelli ha voluto al timone della casa automobilistica come suo alter ego. Un ruolo che lo ha reso uno dei manager più influenti del Novecento.

 

La sua storia in Fiat passa per alcuni snodi decisivi. Vive una difficile convivenza al vertice con Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti senza mai perdere la fiducia incondizionata e l’appoggio dell’Avvocato. L’uscita di De Benedetti, controversa anche nelle successive ricostruzioni di parte, apre comunque una stagione di ‘pieni poteri’ per Romiti. Si concretizza, anche formalmente, pochi anni dopo con il passo indietro a cui è costretto Umberto Agnelli. Siamo al 1980, alla marcia dei quarantamila, ai quadri e dirigenti Fiat che sfilano contro i picchetti dei sindacati in sciopero. Nel bene, e nel male, è la Fiat di Romiti, del Dottore, come lo chiamano a Torino.

 

Gli anni Ottanta sono quelli della grande espansione e del boom di vendite per il Lingotto. Sempre sostenuto da Mediobanca, che in quegli anni decideva le sorti della grande industria italiana, Cesare Romiti vince anche il confronto con Vittorio Ghidella, l’ingegnere che avrebbe potuto assumere la guida operativa del gruppo al suo posto.

 

Una volta solo al comando, siamo agli anni Novanta, arrivano le scelte che, a posteriori, si riveleranno un azzardo: la Fiat investe in altri settori e perde terreno rispetto ai suoi concorrenti sul suo core business, l’auto. Romiti ha riconosciuto più volte, anche in maniera tranchant, quell’errore.

 

Il manager esce dalla Fiat con una forza finanziaria importante. Fra liquidità e partecipazioni, quando lascia nel 1998 porta con se 105 miliardi di lire per i 24 anni di attività e a 99 miliardi di lire per il patto di non concorrenza. Il Dottore si mette alla guida di Gemina che controlla Rizzoli Corriere della Sera e la società di costruzioni Impregilo. Romiti è presidente di Rcs dal 1998 al 2004, diventando poi presidente onorario. Nel 2005 entra nel patto di sindacato degli Aeroporti di Roma.

 

Poi, una progressiva perdita di potere che porta lui e i suoi figli, Maurizio e Piergiorgio, fuori dalla stessa Gemina, poi da Impregilo e quindi da Aeroporti di Roma.

 

Nel frattempo, nel 2003, Romiti ha costituito la Fondazione Italia Cina. Quando veniva interpellato, parlava dei rapporti con il gigante asiatico sempre come un’opportunità e mai come una minaccia, con una visione fortemente internazionale. Ma soffriva a vedere la ‘sua’ Fiat senza manager italiani di punta nel post Marchionne: “Sarà pure un bene per gli azionisti ma non è un bene per l’Italia, per il Paese”. E chiudeva i suoi ragionamenti con una riflessione che spiega molto del grande manager (molto meno grande come imprenditore, o padrone, per sua stessa ammissione) che è stato: il futuro di Fca dipenderà dagli uomini che la guideranno. Marchionne, sul quale ha pure espresso giudizi non sempre positivi, è stato “fenomenale”, per gli altri è tutto da vedere.

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