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Coronavirus, la (mezza) verità di Arcuri

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Domenico Arcuri è il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19. Ruolo ingrato, il suo. L’impegno che si è assunto è gravoso. Le parole che usa oggi hanno un peso e vanno ascoltate. Ma non possono cancellare tutte le responsabilità, sue e non solo sue, per quello che non è stato fatto per preparare la seconda ondata dell’epidemia del Coronavirus.

 

La sintesi del commissario sulla situazione, a oggi, è efficace. “Il Coronavirus si moltiplica e la sua crescita è impietosa. Ora fa meno danni ma, dobbiamo chiederci, fino a quando? Con questi numeri se non si raffredda la curva nessun sistema, tantomeno quello italiano, sarebbe in grado di reggere”. Quindi, arriva l’appello: “Dobbiamo tutti muoverci il meno possibile”. Si tratta, dice Arcuri, di “un nuovo patto di responsabilità ritrovata”. Ma sembra la premessa di un nuovo lockdown. Perché è evidente che senza prescrizione, senza imposizione, sarà molto difficile tenere la gente dentro casa.

 

Nel passaggio finale delle sue dichiarazioni, ci sono molte delle contraddizioni e delle domande che non trovano risposta rispetto a quello che sta accadendo. “Siamo in un dramma, non è il momento delle polemiche. E’ il momento di dire la verità agli italiani e basta“. Vero, da sottoscrivere parola per parola. Ma la verità non è solo quella che racconta lui. È, quanto meno, una parte della verità. Una mezza verità.

 

A partire da quello che dice subito dopo. “Non abbiamo mai sottovalutato il problema in questi mesi, sapevamo che c’era una tempesta nel mondo e che sarebbe arrivata da noi, stiamo facendo ogni sforzo, e siamo pronti a dialogare con tutti”. Domanda: non sarebbe meglio ammettere di aver sottovalutato la situazione e di esserne rimasti travolti? Servirebbe almeno a non addossarsi la responsabilità di non essere riuscito a fare molto di quello che sarebbe servito: un sistema dei trasporti più efficiente, una scuola più organizzata, un incremento maggiore dei posti in terapia intensiva, l’adozione preventiva di una serie di misure capaci di evitare il buco nero in cui siamo tornati.

 

Arcuri ha profondamente ragione quando si scaglia contro ogni forma di negazionismo del Coronavirus. “Spero di non ascoltare mai più appelli a non indossare le mascherine, dichiarazioni sulla morte presunta del virus, richieste di cancellare lo stato di emergenza, fino a quando questa tragedia non finirà”. Anche qui, da sottoscrivere. Ma, anche qui, viene spontanea una domanda. Perché non si è intervenuti con fermezza due mesi fa, e poi un mese fa, per spiegare agli italiani, con argomenti più chiari e più forti di qualsiasi negazionismo, i rischi che stavano correndo? Sarebbe servito almeno a evitare tutti quei comportamenti che hanno contribuito alla diffusione del virus.

 

Poi, c’è la chiusura dell’intervento. “Come facciamo dalla metà di marzo, siamo qui a lavorare perché possiate fronteggiare di più e meglio questa seconda ondata e perché se ne possa uscire il più presto possibile”. Anche questo vero. A metà. Il lavoro non si può negare, ma sui risultati restano molti dubbi.

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