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Governo, una tregua che va riempita di scelte

La tregua è stata ufficialmente firmata. Come era facile prevedere. Che non fosse il momento per una crisi di governo era evidente a tutti, che si arrivasse rapidamente a chiudere una verifica ‘lampo’ non era così scontato. Italia Viva, e Matteo Renzi, si dicono soddisfatti del passo indietro del premier Giuseppe Conte sulla task force per il Recovery Fund. Il premier può dirsi soddisfatto di avere tenuto, ancora una volta, la sua litigiosa maggioranza. Quindi, si è scherzato? Oppure è realmente andato in porto il piano tattico dell’unico vero stratega rimasto al tavolo della politica italiana? Oppure, ancora, la crisi è solo rimandata?

 

Le risposte verranno dalle prossime settimane. Diranno se è prevalso il buon senso o, semplicemente, il calcolo politico. Il tema principale restano le scelte da fare. Su due piani fondamentali. La gestione dell’epidemia del Coronavirus, che è tutt’altro che risolta, e che proporrà inevitabilmente nuovi picchi e nuove emergenze; e la costruzione di un piano serio, ed efficace, per investire e non spendere soltanto le risorse in arrivo dall’Europa.

 

Il primo fronte aperto per il governo, con la sfida dei vaccini che non può essere persa, richiede la capacità di sottrarsi alla logica del consenso facile, quello che asseconda la legittima volontà di tutti di tornare alla normalità senza riuscire a ragionare con un’ottica più lunga. Servirebbe un piano coerente e strutturato che metta insieme un percorso condiviso, fatto di norme proporzionate e di una gerarchia di priorità che non può cambiare secondo la polemica di giornata.

 

Quando si parla di Recovery Plan, invece, si guarda ancora più avanti. La costruzione di un Paese diverso dovrebbe passare per una politica capace di individuare le leve giuste, puntando sui ritardi più difficili da colmare, per fare quelle riforme che da anni sono attese invano: istruzione e formazione, lavoro e produttività, trasformazione digitale e sostenibilità, pubblica amministrazione efficiente. Se, invece, il Recovery Plan diventasse solo una gigantesca legge di Bilancio, con le peggiori abitudini di ogni anno a ripetersi meccanicamente in ogni decisione, il risultato sarebbe fallimentare e definitivo.

 

La spartizione delle risorse per contrade e clientele, la somma di misure di bandiera sostenute da campagne ideologiche, le mance elettorali vanno tenute fuori dalla partita. Così come, e non sarà facile, è fondamentale che il governo sia capace di chiudere la porta alle infiltrazioni criminali e alla corruzione.

 

Il tempo è scaduto. E la politica, tutta, si gioca le ultime chance a diposizione.

 

 

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