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Il ‘pronto moda’ va ripensato

moda faschion

Centergross, il distretto del fast fashion alle porte di Bologna, punta sulla sostenibilità. La versione originale di questo articolo, a firma di Maria Elena Molteni, è disponibile sul numero di Fortune Italia di dicembre 2020.

 

Ripartire, con regole nuove. Senza buttare ciò che di buono c’è, ma eliminando le storture. Il sistema moda va ripensato anche e forse soprattutto nella sua dimensione di fast fashion. Ma nella fretta di liquidare ciò che non va, bisogna prestare attenzione ad alcuni aspetti, che meritano una riflessione.

 

Che i luxury brand siano più sostenibili, originali nella loro dimensione creativa ed estetica, sempre più attenti a rispondere alle richieste green, capaci di innovare i processi è chiaro. Come è evidente che non sono alla portata del portafoglio di tutti. Come non lo sono spesso anche i brand premium. Il pronto moda, per dirla con il presidente di Centergross, il distretto del fast fashion alle porte di Bologna, Piero Scandellari, è “democratico”, accessibile a tutti.

 

Non è di poco conto. Il polo del fast fashion italiano, dove questa modalità di produrre e distribuire moda nasce, sa di essere di fronte a un bivio. E vuole puntare sulla sostenibilità, sul riciclo degli scarti e sulla possibilità di fare sistema per raggiungere i mercati internazionali.

 

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, va detto che il pronto moda italiano si caratterizza per la sua filiera corta, “tutto avviene nel raggio di 100 km”. Se i tessuti vengono acquistati là dove meno costano, la confezione è made in Italy, così come lo è la creatività. Diversa la situazione dei big player, la cui produzione non è domestica. Il peso specifico di questo aspetto sul mercato del lavoro non è di poco conto, specie in tempi di crisi. La sostenibilità del lavoro, in altre parole, è ciò che hanno potuto garantire le aziende che fanno parte del distretto produttivo del Centergross, durante e dopo il lockdown. A vantaggio anche di quei negozi che vendono collezioni e che si sono ritrovati senza merce quando il Paese ha riaperto. Il pronto moda di qualità, in qualche misura, è stato ossigeno anche per loro.

 

Se dunque a monte è operativo e continua a funzionare, a valle la distribuzione soffre terribilmente: “Ciò che manca oggi – sottolinea Scandellari – sono i consumi. I buyer stranieri sono quasi scomparsi e con i negozi chiusi, ancorché a macchia di leopardo in base alle zone rossa, gialla o arancione, viene da sé che il sistema entra nuovamente in difficoltà”. Molte società storiche “hanno le spalle robuste, hanno retto relativamente la prima chiusura, subendo danni per qualche milione di euro, ma hanno reagito benissimo quando sono stati riaperti i negozi, con rimbalzi di fatturato molto importanti, ma soprattutto mettendo in campo tanta voglia di reagire”.

 

Le nuove chiusure chiaramente oggi tornano a impattare: “Prendiamo ad esempio la zona arancione: i dettaglianti sono aperti durante la settimana, ma chiusi nel fine settimana”, ricorda Scandellari. Il riferimento è ovviamente ai centri commerciali, dove la maggior parte dei brand del pronto moda viene distribuita. “Mediamente le vendite si realizzano per il 50% nel fine settimana. Se si chiude nei due giorni più importanti, le conseguenze sono facilmente comprensibili: è come se ci trovassimo di fronte non a una chiusura totale, ma poco ci manca”. E se risulta chiaro che la misura è stata decisa per tutelare le vendite di Natale, non si possono dimenticare “le situazioni di difficoltà enorme da parte dei negozianti che pure il Centergross ha aiutato e sostenuto moltissimo, con dilazioni di pagamento, garantendo merce a terra sempre disponibile, spesso a condizioni particolari”. Insomma, un pezzo di economia che nel suo modello da ripensare continua a dare lavoro.

 

 

Il modello di business del pronto moda italiano, “al di là delle critiche che può ricevere un po’ da tutti, è democratico. I grandi brand che rappresentano una magnificenza del sistema moda italiano, sono rivolti ad una certa categoria di persone” evidenzia il presidente. Ora, “una moda simile, magari con tessuti diversi, di qualità differente è comunque proponibile, un made in Italy a prezzi accessibili. Significa che coloro che non si possono permettere certi livelli di spesa, possono comunque godere in modo democratico di una qualità e di un design che sono il nostro di orgoglio”, chiosa.

 

Tra l’altro, se è vero che nel 2020/21 un miliardo e 800mila persone dei Paesi emergenti, secondo uno studio pubblicato qualche anno fa, sarebbero state pronte a un upgrade nelle abitudini di acquisto, a passare cioè da un entry level tipicamente asiatico al nostro, “saremmo nelle migliori condizioni possibili per raccogliere tutto questo potenziale” fa notare Scandellari.

 

Ma come fare con la pandemia che obbliga al fermo distributivo? L’e-commerce viene in aiuto e, in questo senso, Centergross si sta attrezzando. Un passaggio che inevitabilmente comporterà anche la necessità di rivedere il ciclo produttivo e abbracciare modelli più sostenibili. “Stiamo lavorando a una piattaforma digitale che raccolga tutti i brand presenti nel distretto (1.000.000 mq di superficie; 6.000 lavoratori; 5 mld di euro di fatturato aggregato annuo; oltre 600 aziende, il 70% delle quali del settore fashion): partiremo con attività di comunicazione per arrivare progressivamente a un vero e proprio e-commerce. Vogliamo andare sui mercati internazionali puntando su alcuni Paesi in particolare e presentarci come un insieme di società nel settore moda”.

 

Il riciclo dei materiali, infine: “Da gennaio partiremo con una speciale raccolta differenziata, con realtà che ci accompagneranno in questa attività. Offriremo a tutti i brand presenti nel Centergross la possibilità di appoggiarsi a una società che non solo smaltisce correttamente i rifiuti, ma soprattutto gestisce il riciclo degli stessi, affinché nulla vada disperso”, conclude il presidente. Un percorso di ecosostenibilità che vuole essere dunque l’obiettivo principale dell’evoluzione del modello.

 

 

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di dicembre 2020. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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