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Nel 2021 capiremo come arrivare a un futuro a emissioni zero?

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Di Katherine Dunn – La pandemia di coronavirus ha oscurato quasi tutto nel 2020, ma accanto alle storiche elezioni negli Stati Uniti e alla rinascita dell’attivismo per la giustizia sociale, negli ultimi 12 mesi è emerso almeno un altro grande tema: questo è stato l’anno delle “emissioni nette zero entro il 2050”. L’impegno per il clima è diventato mainstream.

 

La promessa di ridurre il più possibile le emissioni di gas a effetto serra entro tre decenni e di compensare eventuali emissioni rimaste, ora funge da punto di riferimento per il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi: evitare che le temperature globali non aumentino sopra la soglia dei 2° C, e idealmente sotto quella dell’1,5° C, entro questo secolo.

 

 

L’impegno a raggiungere l’obiettivo entro il 2050 o prima stava già guadagnando slancio verso la fine del 2019 tra aziende e paesi. Regno Unito, Amazon, Nestlé, per fare alcuni nomi. Il 2020 era sulla buona strada per essere un anno fondamentale per l’azione sul cambiamento climatico. La conferenza COP26 di Glasgow, originariamente fissata per novembre ma ora riprogrammata per lo stesso mese nel 2021, doveva costituire un momento in cui fare il punto su quanto siamo ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi sul clima dopo cinque anni dall’accordo di Parigi, dal quale gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2017.

 

 

Poi la pandemia ha colpito. La COP26 è stata solo una delle tante conferenze vittime della pandemia, ovviamente, ma questo non ha fermato la proclamazione di nuovi impegni sul clima, nonostante le previsioni di chi pensava che le azioni per il clima sarebbero cadute nel dimenticatoio in un mondo alle prese con il virus. Il 2020 ha visto il Giappone, la Corea del Sud e il Canada promettere ufficialmente di raggiungere lo zero netto di emissioni entro il 2050, l’UE ha consolidato i propri obiettivi e la Cina, il più grande emittente del mondo, ha dichiarato che avrebbe raggiunto il lo stesso obiettivo nel 2060.

 

 

Anche le aziende Fortune 500 e Global 500 si sono affrettate ad annunciare i propri obiettivi per il 2050, tra cui Facebook, General Mills e Mercedez-Benz, per non parlare di alcune delle più grandi compagnie petrolifere e del gas del mondo, come BP e Shell.

 

 

C’è un problema, ovviamente. Gli impegni sono proprio questo, impegni, e spesso ci sono pochi dettagli che descrivano il percorso esatto per eliminare le emissioni, compresa la portata degli investimenti e le modifiche alle risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo negli anni successivi.

 

 

Le agenzie energetiche e gli esperti avevano già notato il marcato divario tra ciò che i paesi avevano promesso di fare e le misure effettivamente intraprese per raggiungere tali obiettivi. Nel 2021, la sfida sarà vedere se quelle misure cominceranno ad arrivare o se il divario continuerà ad allargarsi.

 

“Il 2021 è un anno molto importante, in termini di passaggio da vaghi obiettivi ad azioni concrete”, dice Dan Klein, responsabile dei percorsi energetici di S&P Global a New York.

 

Ecco alcune questioni chiave a cui prestare attenzione quest’anno.

 

Biden e il controllo del Senato

 

 

 

L’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti ha segnato un cambiamento potenzialmente fondamentale nella politica climatica americana: Biden ha definito il cambiamento climatico la “minaccia esistenziale del nostro tempo”, ha promesso che gli Stati Uniti avrebbero aderito all’accordo di Parigi e si è impegnato a sostenere le politiche per energia pulita e auto elettriche, se necessario attraverso azioni esecutive. Ciò potrebbe fornire una scossa di energia agli sforzi globali per il clima dopo quattro anni in cui gli Stati Uniti sono stati in gran parte assenti dal tavolo.

 

 

Ma il successo a lungo termine di Biden nel ristabilire la politica climatica progressista degli Stati Uniti si riduce a un’altra elezione: se i Democratici prenderanno il controllo del Senato dopo il ballottaggio in Georgia, che si svolgerà il 5 gennaio.

 

 

“Molto dipende dal ballottaggio della Georgia e dal Congresso, che sostiene o limita ciò che vuole fare il Presidente”, afferma Simon Flowers, presidente e analista capo di Wood Mackenzie, la società di consulenza energetica con sede a Edimburgo di proprietà di Verisk.

 

 

La sua promessa di affrontare il cambiamento climatico arriva anche in un momento difficile, con gli Stati Uniti che affrontano l’impatto economico della pandemia e quasi 10 milioni di persone disoccupate.

 

“Penso che non dovremmo dimenticare che l’economia sarà probabilmente la sua prima priorità”, dice Flowers. “Quindi forse non vedremo molto nel 2021”.

 

 

La Cina può tagliare il carbone?

 

 

Qualsiasi sforzo per il clima rischia di fallire, tuttavia, senza l’inclusione del più grande produttore di emissioni del mondo: la Cina.

 

A settembre, il governo cinese ha dichiarato che avrebbe raggiunto lo zero netto entro il 2060, dieci anni dopo la maggior parte delle nazioni, ma comunque una scadenza chiara. Ma mentre l’obiettivo sembrava implicare una nuova serietà per spostare la vasta potenza industriale della Cina in una direzione diversa, rimangono enormi domande, inclusa la continua dipendenza dal carbone, che costituisce ancora il 62% della produzione di energia del paese, come ha notato Fortune in ottobre.

 

Con l’obiettivo al 2060 ci aspettano “ancora 10 anni di crescita di emissioni in Cina”, con il picco previsto per le emissioni solo intorno al 2030, ha osservato Chris Midgley, responsabile globale dell’analisi di S&P Global.

 

 

La pandemia, inoltre, solleva interrogativi su come si svilupperà esattamente la ripresa della pandemia in Cina, con alcune delle politiche per riprendersi che sono particolarmente energivore, dice Klein. “La iprese potrebbe tranquillamente essere ad alta intensità di CO2, se stai costruendo nuove infrastrutture e cose che non solo richiedono molta energia per essere prodotte, ma richiedono molta energia per essere mantenute e utilizzate”, dice.

 


I recovery plan sacrificheranno soldi per l’ambiente?

 

Mentre i politici e gli esperti di clima pubblicizzano le molte opportunità che derivano da una transizione a basse emissioni di carbonio, i costi iniziali e gli investimenti non sono economici.

 

 

L’Ue ha aperto la strada, con un pacchetto di recupero dalla crisi Covid da 750 mld di euro, che ha un’enfasi e un focus decisamente verde, anche se i suoi obiettivi hanno affrontato la resistenza dell’ultimo minuto da Stati membri come la Polonia che hanno ancora una dipendenza energetica dal carbone. Nel frattempo, l’amministrazione Biden ha pubblicizzato un piano climatico da 2 trilioni di dollari sulla scia della campagna elettorale, senza alcuna garanzia che un simile accordo sia approvato.

 

 

“L’Europa sta chiaramente dicendo di sì, che spenderemo denaro”, afferma Flowers. “E penso che adesso ci si chieda se è sufficiente, ma sicuramente non sono timidi nel dire che serviranno molti soldi”. L’impegno degli Stati Uniti è “discutibile”, aggiunge, mentre nel resto del mondo “non abbiamo ancora visto quella mossa per dire, sì, finanzieremo questi investimenti”.

 

A complicare questo slancio sono i prezzi del petrolio e del gas relativamente bassi, dopo lo storico calo della domanda causato dai lockdown. Il Brent, ad esempio, è ancora in calo di quasi il 22% rispetto a un anno fa, poiché le ondate di lockdown hanno ridotto la domanda di carburanti, in particolare per i trasporti. Non è facile portare i consumatori, molti dei quali duramente colpiti dall’impatto economico della pandemia, ad acquistare energia più costosa. “Se quest’anno il tuo budget è ridotto, forse non comprerai quell’autobus elettrico. E quindi c’è anche questa sorta di sfida per la transizione energetica, ovvero i prezzi dei combustibili fossili molto bassi”, afferma Flowers.

 

 


Azioni radicali

 

 

Come vi dirà qualsiasi esperto di clima, ogni singolo anno conta quando si parla di transizione verso un mondo a basse emissioni di carbonio. E la portata del cambiamento deve essere enorme.

 

 

Mentre più impegni verso le emissioni nette zero entro il 2050 nel 2021 saranno un segno che lo slancio si sta costruendo, quegli impegni devono arrivare sia insieme a obiettivi a breve termine che delineano un percorso dettagliato per il 2025 e per il 2030, sia insieme a cambiamenti materiali nel modo in cui i paesi e le aziende opereranno nei prossimi anni, dicono gli esperti.

 

 

Per società petrolifere e del gas come Shell ed Equinor, che si sono impegnate a raggiungere l’obiettivo del 2050 sia per le proprie operazioni che per i loro prodotti, ciò significherà probabilmente una raffica di acquisizioni e vendite. I portafogli cambieranno rapidamente e drasticamente, prevede Flowers.

 

 

Questi cambiamenti devono essere visibili anche nella chiara espansione di tecnologie e risorse praticabili e convenienti – eolico e solare su vasta scala, in particolare, e la crescita delle reti elettriche per portare quell’energia in nuove aree dell’economia, compresi i trasporti – oltre a quelle opzioni che stanno ancora muovendo i primi passi.

 

Ad esempio l’idrogeno verde, un’area di enormi investimenti per paesi tra cui il Regno Unito, l’Australia e la Corea del Sud, è straordinariamente vivace e offre enormi opportunità, ma rimane di dimensioni ridotte, profondamente non redditizio e anni indietro rispetto alle rinnovabili tradizionali. Per raggiungere la convenienza economica, avrà bisogno di un supporto governativo aggressivo, dicono gli esperti. Ma ci sono segnali che gli impegni di quest’anno comporteranno grandi cambiamenti. “Riempire il divario tra il 2021 e il 2050 è una delle grandi preoccupazioni attuali”, afferma Flowers. “Ma penso che parecchie cose inizieranno a muoversi”.

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