Mario Draghi premier vuol dire tante cose. Innanzitutto, competenza indiscussa, e indiscutibile, autorevolezza e credibilità, soprattutto internazionale. La personalità e la leadership dell’ex presidente della Bce sono un tratto distintivo di questa nuova esperienza politica, con una connotazione personale molto più forte che in passato.
Draghi è stato scelto per questo. E non c’è dubbio che farà valere il suo peso ogni volta che sarà necessario. Lo farà con il suo stile e secondo le sue abitudini, utilizzando con attenzione le parole e la comunicazione. Lo farà anche gestendo con decisione i contrasti e le controversie che nasceranno nel suo governo.
C’è però un elemento che dovrà imparare a governare. Una personalità come la sua rischia di inibire, di comprimere lo spazio di obiezione e di iniziativa che serve. Draghi non ha bisogno di sudditanza. Ha bisogno invece di un confronto leale e di poter contare su interlocutori capaci di sostenere e difendere posizioni autonome. L’ex presidente della Bce ha bisogno di una squadra, più coesa possibile, ma capace di assumere responsabilità. Perché nessuno, neanche Draghi, può fare tutto da solo.
E’ la stessa ragione per cui non ha bisogno di sudditanza, o peggio di adulazione, da parte della stampa. L’opinione pubblica va informata e non indottrinata e l’operato di un governo, a maggior ragione se guidato dal ‘migliore’, va giudicato sui fatti. Draghi, quando era a Francoforte a guidare la Bce, ha sempre avuto un confronto aperto e franco con la stampa internazionale, anche quando gli attacchi che arrivavano da quella tedesca erano politicamente e tecnicamente influenzati da posizioni lontane dalle sue. Continuerà a rispondere dove e quando riterrà opportuno, ma continuerà ad apprezzare il lavoro onesto della stampa libera. Se sarà capace di esserlo.
