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Forum Lavoro, trasformazioni e prospettive nel post-pandemia

Organizzazione aziendale, smart working, ridefinizione della divisione tra vita privata e lavorativa, contributo alla crescita e alla sostenibilità economica e sociale. In che modo la pandemia ha cambiato il mondo del lavoro? Se n’è discusso all’evento “Organizzazione, risorse umane, welfare aziendale” del Forum Lavoro organizzato da Fortune Italia con Badenoch & Clark, società specializzata nella selezione di top e middle management, nel ruolo di knowledge partner.

Sostenibilità ambientale: un priorità

L’emergenza Covid-19, ha spiegato Federico Fontana, Managing Director di Badenoch & Clark, ha accelerato, consolidandoli, tutti i grandi processi di trasformazione in atto: digitalizzazione, politiche di sostenibilità ambientale, modelli organizzativi, ruolo dei business leader, welfare aziendale. “Stiamo vivendo un periodo di grandi cambiamenti, che ha avuto un forte impatto sul mondo del lavoro e sull’occupazione – ha proseguito il manager – la pandemia ha rafforzato anzitutto le politiche di sostenibilità ambientale, cambiando i comportamenti di consumo: oggi quasi il 70% dei consumatori in 60 nazioni è disposto a pagare di più per beni ecologici”.

L’accelerazione della trasformazione digitale

L’emergenza ha anche accelerato la trasformazione digitale, ha detto Fontana, con una “percentuale significativa di posti di lavoro, stimata tra il 25 e il 45% nelle economie più avanzate, che saranno automatizzati”, come anche degli ambienti di lavoro, che “diventeranno sempre più inclusivi e internazionali grazie a una più ampia mobilità”. Ma per far fronte al cambiamento mancano risorse qualificate necessarie: “Entro la fine di quest’anno, il 30% dei posti di lavoro nel settore tecnologico non sarà coperto a causa della carenza di talenti”.

I posti da coprire da qui al 2023

La digital transformation e l’ecosostenibilità, ha rimarcato Fontana, “andranno a impattare in modo forte sul mondo del lavoro”, coinvolgendo nei prossimi cinque anni tra il 26% e il 29% dei lavoratori. In particolare, “le imprese digitali cercheranno tra i 210mila e 267mila lavoratori con competenze matematiche e informatiche”, mentre si stima che “per orientare i processi produttivi verso i green jobs” occorreranno tra 480mila a 600mila lavoratori. “I grandi trend di cambiamento come globalizzazione, invecchiamento della popolazione, digitalizzazione, automazione, cambiamenti climatici impatteranno soprattutto le filiere legate a salute e benessere, education e cultura, meccatronica e robotica, mobilità e logistica, energia. Settori destinati a esercitare un ruolo trainante nel prossimo triennio anche per effetto della pandemia”. In particolare, “entro il 2023 occorrerà coprire 400mila posti nella sanità e nell’assistenza sociale, 200mila posti nell’istruzione e nei servizi formativi, 90mila posti nell’industria dei macchinari, delle attrezzature e dei mezzi di trasporto”.

Verso un modello ibrido di organizzazione del lavoro

La pandemia ha determinato anche cambiamenti profondi nella vita aziendale, ha ricordato il manager di Badenoch & Clark, con le imprese sempre più orientate verso un modello ibrido che trova una rispondenza nelle esigenze dei lavoratori. Secondo il whitepaper “The future of work post Covid”, frutto di un sondaggio condotto su lavoratori e business leader di Europa e Usa da Adecco, il gruppo di cui fa parte Bedenoch & Clark, ha aggiunto il manager, “il 75% dei lavoratori in Europa e negli Stati Uniti desidera una maggiore flessibilità a livello di ore, l’82% dei business leader e preferisce un format di lavoro prevalentemente da remoto, mentre per il 71% del totale degli intervistati i contratti dovrebbero essere formulati sulla base del raggiungimento degli obiettivi aziendali” e non più, come accade oggi, in base al numero di ore lavorate.

Per raggiungere l’obiettivo, sfruttando al meglio i vantaggi dello smart working, ha evidenziato Fontana, occorre lavorare sui modelli organizzativi in base a tre direttrici fondamentali: adottare politiche per favorire il raggiungimento di un equilibrio tra vita lavorativa e vita personale; accrescere il coinvolgimento dei dipendenti in un modello organizzativo ibrido; lavorare sulla messa in sicurezza dei dispositivi. “Oggi si inizia a parlare di diritto alla disconnessione del lavoratore, è inoltre fondamentale accrescere il grado di coinvolgimento dei dipendenti”, ha affermato il manager.

Il nuovo ruolo di Ceo e Hr officer

Ma la pandemia ha mutato anche il modo in cui Ceo e responsabili delle risorse umane esercitano la loro funzione, rendendo i due ruoli sempre più interdipendenti. “In questo periodo gli HR officer sono divenuti ancora più essenziali nella gestione dell’azienda, tranquillizzando le persone, mettendo in sicurezza ambienti lavorativi, agevolando nuove forme lavoro come lo smart e il remote working, relazionarsi in modo sempre più proattivo con i Chief executive officer – ha ricordato Fontana – In particolare, hanno dovuto aiutare a riorganizzare il lavoro dell’azienda, coinvolgere in modo nuovo i dipendenti, ricorrendo a survey, interviste, per supportarli nel raggiungimento di un maggiore equilibrio tra vita personale e lavoro, adottando un approccio molto più veloce, agile, moderno, che non si basa più solo sulle regole della compliance”. Anche il ruolo del Ceo è cambiato. “Oggi non può più limitarsi a indicare la strategia e la strada per perseguirla, deve essere bravo nel comunicare, trasferire ai dipendenti concetti chiari e rassicuranti, indicare la strada e supportare la transizione”.

Il welfare aziendale

Un altro ambito che ha subito una forte accelerazione per effetto della pandemia è il welfare aziendale, che secondo l’esperto di Badenoch & Clark “da tema riservato solo alle grandi corporate oggi sta coinvolgendo sempre più anche le piccole e medie imprese”, capaci in questo periodo di essere “sempre più vicine a dipendenti, di rimodulare l’organizzazione del lavoro verso forme più flessibili, permettendo ai dipendenti di prendere ferie e permessi quando ne avevano bisogno, offrendo test diagnostici per verificare lo stato di buona salute delle loro persone, elaborando nuove forme di people caring, come evidenziato dall’aumento delle convenzioni e delle collaborazioni stipulate dalle aziende con gruppi sanitari per supportare i dipendenti con figli disabili o genitori anziani, e favorendo forme alternative di mobilità, dallo sharing al renting, per potersi recare sul posto di lavoro tutelando la salute e ovviando alle carenze del trasporto pubblico”.

La sfida del lavoro in Europa

Resta l’incognita di come i governi e le aziende europee di attrezzeranno per far fronte alla grave carenza di lavoratori qualificati con cui il continente si troverà a confrontarsi da qui al 2030, quando la fascia in età lavorativa diminuirà di 13,5 milioni di unità, mentre 21 milioni di lavoratori europei dovranno modificare la propria professione. Altro dato su cui riflettere: a pagare il prezzo maggiore della pandemia sono stati i lavoratori più giovani. Nei primi tre mesi dell’emergenza, ha ricordato Fontana, sono stati 4 i milioni di lavoro perso tra le nuove generazioni, con la disoccupazione giovanile che è passata dall’11% al 17,6%. Proprio le politiche per l’occupazione giovanile, per l’esperto, devono diventare prioritarie nelle agende dei governi, con politiche di formazione e introduzione al mondo del lavoro adeguate.

Giovani e reskilling della forza lavoro matura

A tal fine occorre rafforzare la collaborazione tra governi, aziende, scuole e sindacati per identificare i gap di competenze sul mercato e introdurre azioni e programmi per supportare l’inserimento dei giovani nel lavoro e il reskilling della forza lavoro più matura, secondo un concetto di formazione continua in cui il lavoratore dovrà sottoporre periodicamente per proprie competenze ad assessment per verificarne l’adeguatezza alle nuove esigenze di un mercato del lavoro in continua evoluzione. Perché questa trasformazione abbia successo, è fondamentale mettere la persona al centro. Alcune survey mostrano infatti che 4 italiani su 10 reputano che il processo di digitalizzazione in atto sia poco rispettoso dell’aspetto umano, che in tale processo l’uomo venga considerato come una macchina a cui chiedere obiettivi ritenuti facilmente raggiungibili e ripetitivi. “Serve un’innovazione umanocentrica – ha ammonito Fontana – che metta l’uomo al centro, adottando forme ibride di gestione che permettano alla persona di governare sempre la macchina e gli strumenti a disposizione”. Il tutto tenendo sempre a mente che la digitalizzazione rappresenta un processo irreversibile. “Basta chiedersi cosa sarebbe successo nel 2020 senza il digitale. Di certo ci ha aiutato a essere un po’ meno soli in questo anno di pandemia”.

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