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Il lavoro da remoto e la crisi del pranzo in azienda

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La crisi Covid-19 e il conseguente lavoro da remoto – che sia smart o no – ha messo in crisi una delle certezze più consolidate: il pranzo in azienda, sia in mensa, sia fuori con l’utilizzo dei voucher da spendere. La ristorazione è il primo servizio di welfare in azienda. Per molti versi ancora il più gradito, ma ormai oggi reso incerto. Ne sanno qualcosa le aziende specializzate nella ristorazione collettiva. Un migliaio di imprese, di dimensioni molto diverse tra loro, che occupano 150mila addetti per un giro d’affari complessivo di circa 5 miliardi di euro, dato 2019.

“Il Governo non ha previsto alcun ristoro per il comparto, a fronte di un crollo del fatturato di almeno il 40%” commenta Chiara Nasi, Presidente e Amministratore Delegato di CIRFOOD, una delle maggiori aziende (100% italiana) del settore della ristorazione collettiva, con 686 milioni di fatturato (2019) e circa 13mila dipendenti (compreso l’estero). “La crisi prodotta dalla contrazione dei servizi di welfare aziendale è solo un aspetto dei nostri problemi” aggiunge Nasi.

CIRFOOD assicura ristorazione collettiva nelle scuole, negli ospedali, nelle aziende. Quale comparto ha sofferto di più?

In termini di erogazione dei pasti sicuramente la scuola. Nel 2019 abbiamo consegnato oltre 40 milioni di pasti nelle mense scolastiche, nel 2020 poco più di 20 milioni. Quasi il 50% in meno. In termini di fatturato ha sofferto molto anche la ristorazione aziendale. Abbiamo avuto il 55% di diminuzione, contro il 40% in meno nella scolastica. L’ospedaliera, che non si è mai fermata, ha avuto il calo più contenuto, intorno al 25% poiché i degenti e il personale medico e paramedico sono sempre più o meno gli stessi. È caduto il consumo dei parenti dei ricoverati, a causa delle restrizioni delle visite, durante la pandemia.

Speriamo che il peggio dell’emergenza sanitaria sia alle spalle. Ma il futuro lascerà in eredità comportamenti nuovi e diversi. Lo smart working porterà sempre meno persone nel luogo di lavoro.

“A tendere, temo che dovremo prevedere una diminuzione strutturale del mercato nell’ordine del 20%. Siamo di fronte a una rivoluzione delle abitudini nel consumo dei pasti. E purtroppo si tratta spesso di un cambiamento che non coincide con un miglioramento, anzi. Ho letto un report secondo il quale gli italiani in media hanno accumulato 4 chili in più di peso, a causa del lavoro da remoto. Si mangia peggio, ci si muove di meno. I pasti della ristorazione collettiva sono più bilanciati, più attenti ai valori nutrizionali e alla riduzione di grassi e zuccheri in eccesso”.

Una considerazione che vale per le mense aziendali, ma anche per le mense scolastiche.

“Nel caso della scuola è persino peggio. Secondo Save the Children ci sono almeno 160mila bambini in Italia che fanno un solo pasto regolare al giorno e lo fanno a scuola. Il nostro ruolo ha anche un alto valore sociale. Assicuriamo un livello di uguaglianza effettiva tra i bambini che in nostra assenza sono vittime dalle crudeli diversità sociali e familiari. In più a scuola la mensa è anche un’occasione di educazione nutrizionale, che a casa, spesso, non viene coltivata adeguatamente”.

È immaginabile qualche elemento di innovazione per la ristorazione collettiva di fronte a queste nuove abitudini che, poco o tanto, resteranno come residuo nel “new normal”? Dovremo aspettarci la mensa a domicilio?

“I dati di Oricon (l’Osservatorio costituito dalle principali aziende della ristorazione collettiva) ci dicono che la maggior parte dei lavoratori vogliono tornare sul luogo di lavoro. L’ufficio offre comfort che la casa non dà, compresa la ristorazione. Tuttavia, stiamo sperimentando soluzioni per distribuire pasti non solo nelle sedi aziendali. Stiamo sperimentando la consegna in luoghi intermedi, tramite prenotazioni su app, in modo che il pranzo da noi confezionato possa raggiungere il lavoratore in punti prossimi alla sua abitazione. La consegna direttamente a domicilio per quello che è la ristorazione aziendale sembra una strada troppo onerosa, insostenibile con i prezzi attuali”.

Oltre alla ristorazione collettiva CIRFOOD si sta attrezzando per dotarsi di una strategia di servizio per costruire piani di welfare aziendali a tutto tondo?

Come dicevamo all’inizio, la ristorazione è uno dei servizi di welfare più graditi dai lavoratori. Ma l’offerta del welfare aziendale deve ormai strutturarsi su diversi piani di servizio. Stiamo lavorano a una piattaforma per offrire soluzioni di welfare tagliato su misura per le aziende.

In questa trasformazione l’onere più importante si è abbattuto sulle donne. In casa e al lavoro. CIRFOOD ha una specifica sensibilità sul tema della parità di genere. Una donna, lei, al vertice. E non solo…

L’85% dei nostri dipendenti sono donne. Ma anche il 40% del management è donna. È un tema verso il quale siamo storicamente attenti. Siamo una cooperativa, anche per questo abbiamo valori che ci rendono sensibili ai temi della diversity e dell’inclusione e della parità di genere, che da noi potrebbe essere avvertito al contrario. Anche nei nostri piani di welfare aziendale, i congedi parentali concessi ai padri sono stati ampliati, i permessi sono più generosi e diamo molta attenzione a tutti gli elementi che favoriscono la conciliazione vita-lavoro”.

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