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Covid e riaperture, rischio ragionato e politica ‘megafono’

mario draghi riaperture covid

Riaprire, ripartire. Con un rischio che è stato definito dal premier Mario Draghi ‘ragionato’. Nell’accostamento tra le parole rischio e ragionato c’è la sintesi efficace di un compromesso che può essere letto da diversi punti di vista.

GLI ‘APERTURISTI’ ritengono le norme introdotte dal 26 aprile troppo timide e insufficienti; i ‘rigoristi’ temono che possa essere troppo presto e che una ripresa significativa dei contagi possa imporre una nuova stretta. Le due posizioni, legittime, sono interpretate dalle forze politiche non solo come conseguenza dell’analisi della situazione. Ci sono soprattutto i legami con gli elettorati di riferimento a suggerire strategie e determinare il livello di aggressività con cui vengono sostenute. Si arriva, rapidamente, alla distinzione tra garantiti e non garantiti che si trascina dall’inizio della pandemia.

LA LEGA DI MATTEO SALVINI, in particolare, ha impugnato il megafono per cavalcare le difficoltà oggettive delle categorie più colpite dalle chiusure: commercianti, ristoratori, operatori turistici, piccole imprese, quel mondo delle partite Iva che, anche a causa di ristori insufficienti, sta subendo insieme a chi ha perso un lavoro le conseguenze peggiori della crisi. E il confine tra la rappresentanza e la strumentalizzazione diventa sempre più fragile, quando le condizioni si complicano.

IL RISULTATO È IL RITORNO di una instabilità nella maggioranza che sostiene il governo Draghi, che si riflette nell’approvazione di tutti i provvedimenti principali. Incluso il Recovery plan. Nel merito, quando si parla di grandi riforme – Pubblica amministrazione, Giustizia, Semplificazione, Concorrenza – e di obiettivi ambiziosi, è evidente che ogni giudizio definitivo non possa che essere rimandato all’attuazione dei singoli progetti e alla valutazione della capacità di questo governo e del Parlamento (sul tema, leggere l’analisi di Francesco Clementi a pag. 14) di assicurare la corrispondenza fra le politiche messe in campo e i loro risultati finali. Già adesso, però, è possibile e doveroso discutere gli aspetti del Piano che sembrano non funzionare (Marco Bentivogli a pag. 16). Sul piano politico, invece, va segnalata la consueta difficoltà a guardare i problemi, e le relative soluzioni, in un’ottica di lungo periodo e slegata dalle logiche di bandiera. Lo schema è sempre lo stesso. Si sceglie una misura simbolica e si fa una battaglia facilmente spendibile con la propaganda. Non è la strada che porta a costruire riforme che, nella portata e nelle risorse disponibili, possono essere epocali.

PARLANDO DI TRASFORMAZIONI, arriviamo al tema principale di questo numero: le sfide del credito. Sono, peraltro, strettamente legate allo stesso Recovery plan e al rilancio complessivo del Paese. Con la regia della Bce, impegnata nella politica monetaria e nella gestione della liquidità, la capacità di finanziare e sostenere l’economia passa per il cambiamento delle banche tradizionali e per lo stimolo del mondo fintech all’innovazione. Abbiamo scelto storie significative. L’eterno confronto tra Intesa Sanpaolo e Unicredit, e tra i due Ceo Carlo Messina e Andrea Orcel; il nuovo corso in Bnl-Bnp Paribas, con il passaggio di testimone alla presidenza tra Luigi Abete e Andrea Munari e la nomina di Elena Goitini amministratore delegato; i piani nel wealth management e nel private banking di Banca Patrimoni e Mediolanum; quelli della fintech Soldo e l’esperienza nelle operazioni M&A di Minsait.

IN PRIMO PIANO anche due donne di valore, con le interviste alla nuova presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza e alla vicepresidente della Commissione europea e commissaria alla Concorrenza e all’Agenda digitale, Margrethe Vestager.

 

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