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Rai, la riforma riparte in Senato. Ecco le tre proposte

Il 25 maggio la commissione Lavori pubblici del Senato avvierà l’esame dei disegni di legge di riforma della governance della Rai. Un tema sempreverde che ciclicamente si ripropone, spesso sull’onda di polemiche del momento come quella scatenata dalle accuse di censura di Fedez in occasione del concertone del Primo maggio o dal controverso servizio della trasmissione di Rai2 ‘Anni 20’. Il fatto che cominci la discussione è un segnale, ma che davvero si arrivi a trovare la quadra è tutto un altro discorso. La variegata maggioranza che sostiene il governo Draghi diventa infatti ancora più eterogenea quando si parla di viale Mazzini. Perché il mantra è quello di allontanare le mani dei partiti dalla tv pubblica ma alla fine, come nel gioco dell’oca, ci si ritrova sempre alla casella di via: basti ricordare che l’attuale struttura della governace è stata votata meno di sei anni fa, fortemente voluta dall’allora governo Renzi, ma già ora è considerata da cambiare.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per ora ha deciso di non occuparsi della questione ma, come si diceva, a battere un colpo è il Parlamento.

In particolare, sono tre i disegni di legge già presentati: uno a prima firma Fedeli (Pd), l’altro proposto da Primo Di Nicola (M5s) e da ultimo quello dell’ex ministro delle Telecomunicazioni, Maurizio Gasparri di Fi. A questi si dovrebbe aggiungere a breve anche un testo preparato dalla Lega.

Si tratta di approcci molto diversi e nella riunione del 25 maggio la commissione dovrà decidere se scegliere un testo base tra quelli depositati o se ricercare una sintesi di partenza tra i vari ddl su cui poi avviare l’esame vero e proprio.

Ma cosa prevedono queste proposte?

Quella del Pd, a prima firma Valeria Fedeli affida la proprietà, la scelta delle strategie e dei vertici operativi della Rai a una Fondazione garante dell’autonomia da governo e partiti, del rispetto del contratto di servizio, del compito di tutela e rappresentanza dell’utenza, della gestione efficiente e trasparente delle società controllate e delle risorse che devono essere certe e ben programmate.

La seconda proposta è quella pentastellata presentata da Primo Di Nicola. I membri del cda passerebbero da sette a cinque e resterebbero in carica per cinque anni senza possibilità di rinnovo. Il cda sceglierebbe l’ad tra i suoi membri e il Tesoro designerebbe il presidente sempre tra i membri. I candidati dovrebbero inviare un curriculum all’Agcom e sarebbero scelti secondo tre criteri: onorabilità, indipendenza e competenza. Fra i candidati idonei si procederebbe al sorteggio dei cinque. Non potrebbe essere nominato consigliere chi ha avuto nei cinque anni precedenti cariche elettive, di governo e ruoli nei partiti. Prevista anche la soppressione della Commissione di Vigilanza, oltre a modifiche alle modalità di elezione dell’Agcom.

La terza proposta è quella dell’ex ministro Gasparri che interviene a modificare l’articolo 49 del Testo unico dei servizi dei media audiovisivi e radiofonici. La principale novità è la cancellazione della figura dell’amministratore delegato (che poi era l’innovazione maggiore della riforma Renzi) e il ritorno al direttore generale, con un sensibile ridimensionamento dei suoi poteri. Per esempio, partecipa senza diritto di voto alle riunioni del Consiglio di amministrazione, che a sua volta torna decisamente centrale. Non nomina più i dirigenti di primo livello ma fa delle proposte al Cda, inoltre viene eliminata la possibilità di firmare atti e contratti aziendali che siano di importo superiore a 10 milioni di euro senza passare dal parere dei consiglieri.

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