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Come recuperare la competitività delle imprese

Le imprese hanno perso competitività e la Pandemia Covid ha impattato fortemente sul PIL italiano facendolo tornare ai livelli del 1998. Ma anche prima della pandemia l’Italia non se la passava molto bene, visto che nel 2019 il PIL italiano era ancora uguale a quello del 2008 ed eravamo già crollati al dodicesimo posto nel ranking mondiale, dopo il Messico. Peggio ancora se si considera il PIL pro capite, dove in termini nominali eravamo scesi al 27° posto e in termini di potere d’acquisto (PPA) addirittura al 33°.

L’onda della ripresa

Ora sembra esistere una importante confluenza di fattori che può aiutarci ad alimentare una potente onda di ripresa. Il primo fattore è costituito dalla prevista iniezione di liquidità da parte dei programmi di finanziamento post Covid. Essa può rappresentare il “carburante” finanziario per il previsto sviluppo dell’economia green e per aiutare le imprese a innovare e digitalizzare i loro prodotti/servizi. Il secondo fattore è costituito dal previsto piano di realizzazione di nuove infrastrutture che costituiranno uno zoccolo sostanzioso per la ripresa dell’economia di base e per il rilancio dell’occupazione. Il terzo fattore è costituito dalla autonoma ripresa del mercato (già in corso), dove i consumatori, dopo le costrizioni subite, tornano a spendere anche su spinta emotiva (”revenge shopping”). Ciò creerà un picco straordinario di propensione al consumo alimentato anche dall’utilizzo del notevole risparmio forzato creato dal periodo pandemico.

La competitività da recuperare

Esiste quindi ora una occasione per cercare di recuperare anche la competitività persa negli anni prima del 2019. Ma per sapere cosa fare per sfruttare al meglio la ripartenza è bene capire il come mai eravamo caduti così in basso. Cosa ci era successo? E’ successo che i problemi di competitività li avevamo già da tempo. La pandemia, con la sua “bassa marea” economica, ha portato chiaramente alla luce tutti gli “scogli” del nostro ecosistema economico, rendendoli ora inequivocabilmente palesi a noi tutti. Essi vanno assolutamente considerati prima di impostare qualunque altro piano perché sono fatti strutturali e/o endemici, cui ci siamo via via abituati e rischiamo di non valutarli adeguatamente. Dobbiamo infatti essere consapevoli che a questo punto non sarà più sufficiente aumentare la produttività dell’ecosistema italiano semplicemente “migliorandolo”. Occorre cambiare velocemente paradigmi e modelli di business, tenendo ben presente la forte evoluzione del business verso forme più “digitali” verificatasi in questi anni. In effetti quest’ultimo trend, accelerato dalla pandemia (con un elevato contributo da parte dell’e-commerce), rappresenta ora contemporaneamente il maggior problema e la maggior opportunità per un veloce riposizionamento competitivo del nostro ecosistema economico. Per competere nel nuovo scenario occorre rivedere i Modelli di Business in logica digitale, la qual cosa non significa semplicemente digitalizzare le attività esistenti. Lo stesso Piano “Industria 4.0”, con i suoi finanziamenti per digitalizzare le nostre imprese, non poteva con le sue logiche aumentare significativamente la produttività del paese e il suo PIL.

Le aspettative eccessive

Le eccessive aspettative a riguardo da parte di alcuni derivavano dalla equivoca storica interpretazione italiana del come si aumenta il PIL. Si tratta della implicita diffusa assunzione che la maggior leva per aumentare il PIL sia l’aumento della produttività intesa come maggior efficienza nelle produzioni dei beni fisici sui quali siamo in competizione nei mercati globali. Tale assunzione è stata quindi spesso anche collegata al fattore “costo del lavoro” (inteso come incidenza sul costo del prodotto). Sembriamo dimenticare che l’impatto sul PIL di un paese avanzato da parte dell’Industria Manufatturiera rappresenta una quota limitata, compresa tra il 15 e il 23% del totale. La maggior parte del PIL è infatti ovunque costituito dal Business dei Servizi (70- 85%). Anche in paesi ad alta vocazione manufatturiera, come l’Italia e la Germania, il contributo del manufacturing è rispettivamente pari solo al 20% e al 23% del totale. La Produttività dell’industria manufatturiera italiana è peraltro inferiore a quella della Germania. Ciò perchè i prodotti tedeschi sono contemporaneamente ad alto volume e ad alto valore (chimica, automobili, farmaceutici, ecc..). In Italia invece abbiamo volumi relativamente elevati come totale, ma con un rapporto valore/costo molto più basso. Ciò è dovuto al fatto che buona parte di quel volume è costituito da produzioni di sub-fornitura in filiere sfruttate da altri sul mercato (ad esempio tutta la fornitura alla filiera automotive tedesca) o da produzioni che sono sì ad alto valore, ma solo di nicchia, e quindi con basso volume assoluto. Si consideri anche che la filiera “automotive” è destinata a ridursi notevolmente come volumi, data la minor necessità di parti meccaniche delle auto elettriche. Le frequentemente citate “eccellenze italiane” non creano purtroppo neanche alti volumi di occupazione.

La leva dei servizi

Tornando al PIL e al fatto che nei paesi industrializzati il Business dei Servizi ne costituisce la maggior parte, occorre prendere atto che essi rappresentano la leva più importante per il suo aumento. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove i Servizi costituiscono oggi l’80% del PIL, essi hanno anche generato l’80% dell’aumento dello stesso negli ultimi 20 anni. Si consideri inoltre che i Servizi, essendo erogati nei paesi di loro fruizione, laddove richiedono apporto di personale locale, non sono penalizzati dal suo costo del personale, in quanto localmente uguale per tutti i concorrenti. Alla domanda sul come l’ecosistema Italia può aumentare il suo PIL e il suo livello di occupazione, occorre dunque rispondere che ci si dovrebbe concentrare su due linee guida strategiche.

Le linee strategiche

La prima strategia dovrebbe essere quella di riorientarsi al più presto verso prodotti/servizi di maggior valore percepito/riconosciuto dal mercato. Sarebbe un grande errore distribuire le previste disponibilità finanziarie in modo generalizzato in un sistema produttivo con basso valore prodotto. Occorre evitare la logica di tentare di salvare tutte le aziende col prioritario obiettivo del mantenimento dell’occupazione nell’attuale configurazione. Significherebbe confermare quanto ci ha reso perdenti negli ultimi due decenni e continuare sullo stesso piano inclinato. L’effetto negativo sull’occupazione dovrebbe essere compensato dall’avvio di quanto previsto dal Recovery Plan, e cioè dall’esecuzione di grandi opere pubbliche e di infrastrutture, nonché dai piani di incentivazione di attività “Green” e Digitali. Occorre però essere consapevoli che tali infrastrutture costituiscono un fattore necessario per abilitare nuovo business, ma non sono di per sé stesse condizione sufficiente per svilupparlo e affermarlo sul mercato. Dovrebbe però sicuramente sfruttarle bene il business turistico, re-impostandosi adeguatamente su una offerta di maggior valore. E’ inutile continuare a dire che siamo il Paese più ambito al mondo quando invece stiamo continuamente perdendo posizioni. Nel 2019 siamo scesi al quarto posto in Europa, superati anche dalla Germania. Francia e Spagna hanno avuto un numero di presenze di ben il 50% superiore alle nostre. Maggiore ancora la differenza sul fatturato, prova che vendiamo il nostro prodotto turistico ad un valore inferiore agli altri. Come è peraltro spiegabile il fatto che Barcellona abbia più presenze di Roma? L’aumento del valore dei nostri prodotti/servizi deve diventare una nostra priorità strategica. Già conosciamo bene questo concetto nel settore moda, dove un prodotto del costo di poche decine di euro può essere venduto a migliaia di euro. Spesso purtroppo già quel valore associato a prodotti “made in Italy” viene consolidato altrove e a volte, acquisito il brand, viene anche prodotto altrove. La seconda strategia, più importante come volume di impatto (per quanto già spiegato), dovrebbe essere quella di puntare ad un deciso aumento del volume dei Servizi in generale (oltre ai già citati servizi turistici). Ciò implica una maggiore e migliore comprensione di cosa si può fare in più o invece nel nuovo scenario digitalizzato. A questo riguardo vale la pena di notare che buona parte del nuovo business digitale è costituito proprio dalla “servitizzazione” dei prodotti, cioè dal passaggio dalla logica del prodotto venduto e comprato come tale a quello della sua fruizione attraverso un servizio (si pensi all’auto data in uso me parte di una flotta o allo smartphone usufruito attraverso un abbonamento telefonico). La Servitizzazione degli attuali prodotti può rappresentare una interessante strategia di continuità per lo sviluppo lineare dei nostri paradigmi di business, in quanto consente di partire dai prodotti stessi, cambiandone solamente le modalità di vendita. Ciò però significa inequivocabilmente dover entrare in modo deciso nel mondo del Business Digitale. Il Digitale è infatti l’abilitante della maggior parte dei prodotti “servitizzati” (cioè venduti attraverso un servizio), ma, fatto più importante, spesso è esso stesso il generatore dei nuovi business. Esempi di business di servizi digitalizzati in forte espansione, oltre al già diffuso e-commerce, sono la Telemedicina (aumentato di cinque volte negli USA come esito post pandemico), i servizi delle Smart city (si sono individuati più di mille nuovi servizi), i servizi connessi alla mobilità, i servizi nel business del turismo e il business della gestione dei Big Data, cioè di tutti i dati che noi consumatori rendiamo disponibili attraverso l’utilizzo di internet, degli smartphone con le loro app, attraverso i nostri pagamenti digitali, i nostri spostamenti, ecc.. Si consideri che il business generato dallo sfruttamento dei nostri dati personali vale già tra 300 e 500 miliardi di euro nella sola Europa e si prevede un business di ben 11 trilioni di dollari a livello globale entro 4 anni. Dobbiamo assolutamente entrare anche noi nell’arena di questi business globali e giocarcela con le nostre grandi doti di creatività e di iniziativa imprenditoriale. Abbiamo l’obbligo morale di usare i finanziamenti ora disponibili per garantire il futuro al nostro paese e in particolare ai nostri figli e nipoti, ai quali per ora abbiamo lasciato solo debiti. Il momento è irripetibile. Dobbiamo metterci tutti nella posizione di considerare gli attuali problemi come una grande opportunità. Dovremmo fare nostra la nota massima: “l’imprenditore vincente è colui che in ogni problema vede opportunità per migliorare la sua posizione competitiva, mentre l’imprenditore perdente è colui che in ogni opportunità vede possibili problemi”.

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