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Fintech, Esg e ‘attivismo’: come sta cambiando la finanza?

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Oggi, un’azionista valuta una società anche dal modo in cui riesce a “stare al mondo”. Non valuta più solo il dividendo, ma anche le strategie relative alla sostenibilità. Al di là delle prese di coscienza personali, alla base di questa trasformazione degli investitori (più verdi e in alcuni casi più ‘attivisti’, come ora sa bene il board di Exxon) c’è un aspetto prettamente finanziario: “Preservare diversity e ambiente diventa un fattore di competitività, percepito dagli investitori”, ha detto Michele Crisostomo, Presidente dell’Enel, aprendo i lavori del Forum Finance di Fortune Italia del 9 giugno.

Una società poco attenta al mondo che la circonda, in altre parole, espone un investimento a rischi a lungo termine sempre più grandi, come quelli legati ai cambiamenti climatici.

Gli investitori guardano al ritorno sull’investimento in modo diverso, o perlomeno non più solo a quello, dice Crisostomo: l’impresa deve anche evitare di “perdere competitività di lungo periodo”, trascurando aspetti, che se prima erano considerati “di contorno”, ora stanno diventando “fattori imprescindibili di business”.

Quella verde è forse la trasformazione principale della finanza, ma non è l’unica, e la pandemia, che ha cambiato le esigenze dei clienti anche nel settore finanziario, ha accelerato qualsiasi trend, da quello legato agli Esg alla digitalizzazione.

Se si parla di innovazione digitale, il settore finanziario si fa solitamente trovare pronto, e aggiornato: la sfida, allora, per gli operatori, è prendere la direzione giusta. Quale tecnologia va utilizzata? Come deve essere sviluppata? Come si mantiene l’aspetto ‘umano’ della consulenza finanziaria? Quali nuove opportunità vanno inseguite?

 

La prima tavola: le assicurazioni

Se si parla di investimenti, si parla di rischio, ma anche di assicurazioni. Per questo abbiamo dedicato la prima tavola rotonda dell’evento Fortune Finance al loro ruolo e ai nuovi profili di rischio economico, sociale e sanitario, emersi nell’ultimo anno.

Per Massimo Di Tria, Chief Investment Officer Cattolica Assicurazioni, dove i criteri Esg sono ormai inclusi in “qualsiasi strategia”, non esistono “investimenti che non abbiano impatti Esg. Quindi riuscire a classificarli è complicato”. Dal punto di vista normativo si fanno molti passi avanti (sulla disclosure, ad esempio, o sulla “tassonomia che sta chiarendo gli aspetti definitori di questa materia”). Ma è “impossibile regolamentare tutto”. L’approccio migliore per aiutare le aziende sulla sostenibilità, dice Di Tria, non è ragionare per “esclusioni”, ma cercare di realizzare un “engagement positivo spingendo gli operatori a migliorarsi”. Anche perché per Di Tria “l’impegno sulla sostenibilità è il modo migliore per ridurre i rischi sul lungo periodo”. Da parte degli investitori, questo comporta un approccio sugli investimenti diverso, perché si continua a monitorare il titolo nel tempo.

Evitare un approccio “rigido” tra l’altro conviene perché non esiste un’unica strada verso la sostenibilità: le grandi capacità di innovazione delle aziende vanno lasciate libere: “Non dobbiamo limitare l’innovazione, visto che tra l’altro abbiamo poco tempo per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050”. In sostanza, “la strada è tracciata, la direzione è giusta. Ma vanno trovati i modi per accompagnare le aziende in cui investiamo in un processo virtuoso, dialogando con loro, visto che spesso hanno grandi idee innovative”. Resta il fatto che la spinta “dell’azionariato attivo” è un elemento molto importante, testimoniato anche dal mondo obbligazionario, dove sempre più società private “emettono titoli Esg-linked che i finanziatori possono seguire nel tempo”, mentre i Governi emettono Green Bond. È importante però capire il ruolo degli investitori istituzionali come le assicurazioni (che in Europa hanno in gestione 11mila mld di euro, ricorda Di Tria).

Per Marco Scarrico, Commercial Director di Euler Hermes Italia, per le imprese il rischio di insolvenza aumenterà, ma sarà una tendenza graduale, che va analizzata in un contesto più ampio. “Dal punto di vista dell’assicurazione del credito in questo passaggio prevediamo un rientro alla normalità con una certa verticalità nell’analisi del rischio. Emergeranno aziende che hanno rischi di solvibilità e bisognerà capire come sostenerle”, ma questo con una certa prospettiva verticale sul loro intero settore.

Per ora il rischio insolvenze è diminuito rispetto all’anno precedente, ma adesso quel rischio si sposterà nel medio lungo periodo, con gli effetti mitigati dall’accelerazione dovuta al Pnrr. Al di là del contesto generale, chi valuta il rischio dovrà però considerare le peculiarità di ogni settore. Alcuni sono più colpiti dalla carenza di alcune materie prime, ad esempio. Altri vedono la propria supply chain trasformarsi, con dinamiche legate all’onshoring. Il “rischio reale non sarà generalizzato”, come era successo con la crisi finanziaria del 2008-2009. “Secondo me tra rischio reale e percepito sarà l’analisi verticale di ogni settore a fare la differenza: dal punto di vista dell’azione governativa che deve aiutare le aziende, ad esempio. Ma anche per noi sarà importante andare a analizzare in maniera puntuale ogni situazione”.

 

La seconda tavola: il fintech

La grande accelerazione impressa dall’ultimo anno di pandemia alla trasformazione digitale ha cambiato definitivamente i comportamenti e le esigenze dei consumatori di banche e consulenti. Una trasformazione così profonda che sta anche cambiando anche il modo con cui gli operatori decidono di evolvere: va sviluppato tutto internamente o bisogna affidarsi all’open innovation? Durante la tavola ‘Innovazione digitale e servizi finanziari: fintech a supporto del cliente’, moderata da Pietro Italo Torresan, docente in amministrazione e gestione d’impresa MIP Politecnico di Milano, si è parlato di questo: i nuovi player, generalmente indicati con il termine fintech, non solo hanno cambiato profondamente il mercato dei pagamenti digitali ma anche aperto spazio per l’utilizzo di nuove tecnologie, dall’AI all’IOT.

Il fintech sta aiutando, quindi, i clienti del settore finanziario? “Stiamo puntando sulla soddisfazione del cliente che avviene attraverso l’ottimizzazione dei processi finanziari per l’accesso al credito”, dice Adriano Gerardelli, Head of Financial Service Italy Minsait (Indra company). Per Gerardelli sono 3 le aree su cui il settore finanziario dovrebbe concentrarsi, sempre mettendo il cliente al centro di ogni strategia: i sistemi di pagamento, i modelli di relazione banche/clienti, e “l’ottimizzazione processi tramite automation”. Bisogna, quindi, lavorare sui dati, che vanno “unificati”. Per farlo “è necessaria la creazione di una piattaforma CDP (Customer Data Platform), un archivio in cui sono memorizzate le informazioni sui clienti: raccoglie i dati, li unifica e estrae insight di valore”. La conseguenza di una visione più “olistica” del cliente, e dell’uso dei Big Data, è un miglioramento del servizio che gli si può offrire

Tra gli operatori principali del fintech ci sono le challenger bank: cosa sono esattamente? Rappresentano una sfida al sistema tradizionale o un operatore destinato all’accorpamento da parte delle big? Per Antonio Valitutti, CEO di Hype, esiste una terza strada: quella basata su open innovation e specializzazione. Per challenger bank di norma si intende “un operatore che si porta dietro un concetto di sfida a un sistema tradizionale, se ne sente parlare sempre in questi termini”. Secondo altri queste “challenger rientrano prima o poi in operatori incumbent, la loro strada di accorpamento è segnata”. Ma per Valitutti c’è una “terza via, che è la collaborazione tra operatori diversi attraverso l’open banking, anche se sono apparentemente in competizione. Attraverso il concetto chiave della specializzazione si possono creare modelli virtuosi”.

Per Piergiorgio Zuffi, Socio e Direttore Commerciale di Innova Finance, nell’evoluzione futura del settore non va dimenticato il ruolo della finanza agevolata, il collegamento tra le aziende che devono evolvere per essere competitive e i finanziamenti post pandemia. Solo il Pnrr “vale 235 mld”, dice Zuffi. La parte dedicata alla digitalizzazione “ne vale 50”, e questi “non sono gli unici fondi disponibili per aiutare le aziende, se considerano i miliardi messi a disposizione dal piano Horizon, da quello per i fondi strutturali, dal Sure. La totalità delle risorse disponibili, insomma, è enorme. “Sicuramente ora viviamo un periodo di difficoltà economica”, ma le aziende hanno “retto abbastanza bene, al netto dei mesi di lockdown totale. Stanno continuando a pensare gli investimenti, anche di dimensione rilevante”. Stanno capendo, insomma, che “per valorizzare le risorse bisogna innovare. Per innovazione si intende la formazione delle persone, la digitalizzazione, e molto altro. Dobbiamo mettere l’innovazione al centro di tutto il sistema produttivo del Paese”, dice Zuffi. “È cambiata la finanza agevolata: qualche anno fa non avevamo a disposizione tutte le agevolazioni di oggi. In un panorama così articolato bisogna quindi accompagnare le aziende, aiutandole a programmare al meglio il loro piano di investimenti”.

La terza tavola: il wealth management

‘Risparmio gestito e Wealth management, come cambiano gli investimenti’ è il titolo della terza tavola rotonda dell’evento di Fortune Italia, moderata da Carlo Alberto Carnevale Maffè, Professor of Strategy della SDA Bocconi. Le trasformazioni del settore finanziario stanno cambiando anche le preferenze di investimento. L’impatto del mondo Esg porta gli investitori a prodotti di investimento nuovi. Come si stanno adeguando gli operatori del risparmio gestito e del Wealth management?

Per Carlo Giausa, Responsabile Wealth Management del Gruppo Sella, stanno cambiando i processi di investimento di tutti. Quando si parla di ESG “non parliamo più di una sola asset class, ma di un criterio trasversale” in tutti gli investimenti, anche perché “quando misuri il rischio sostenibilità, misuri la grandezza dell’evento che può causare un danno al tuo investimento”.

Anche nel mondo degli investimenti, della gestione del risparmio, al centro di tutto c’è il rapporto con il cliente, e l’equilibrio tra la componente umana rappresentata dai consulenti e tra la tecnologia che si è rivelata così importante durante la pandemia.

Secondo i partecipanti alla tavola, un pezzo dell’industria finanziaria come le banche reti si è accorta in anticipo dell’importanza del rapporto con il cliente, e nel 2020 ne ha raccolto i profitti, con numeri senza precedenti relativi alla raccolta. Ora secondo Giausa “anche i banker si stanno convertendo”, perché con la pandemia hanno cominciato a capire come vada ‘umanizzata’ la tecnologia: “Nei lockdown abbiamo capito imparato dalla lezione di dover tranquillizzare e parlare con il cliente attraverso la tecnologia”.

L’altra grande trasformazione degli investimenti è quella sostenibile, e anche qui c’è chi si è mosso prima degli altri. Secondo Luca Giorgi, Managing Director, Head of iShares and Wealth Italy, Greece and Malta di BlackRock, “abbiamo iniziato prima degli altri perché in questo percorso ci crediamo davvero. Non riusciremo ad arrivare a una net zero economy se non ci sarà aiuto da parte di aziende e governi. Ma parliamo anche di una grandissima opportunità di investimento”.

Alberto Martini, Wealth Manager di Banca Mediolanum, ricorda come la strada non sia totalmente in discesa. Non è facile far capire il valore degli investimenti verdi a una popolazione sempre più anziana come quella italiana, ad esempio. Ma “c’è una luce ‘verde’ in fondo al tunnel”, nonostante l’età anagrafica sia spesso un peso nel rinnovare gli investimenti: “L’opportunità di rapportarsi a interi nuclei familiari, o relazionali”. Basare cioè la consulenza su “una continuità generazionale che permetterà aumentare la volontà di investimento green nei portafogli dei clienti”. Il tutto, condito dall’ingrediente base, per i consulenti: la personalizzazione, la focalizzazione sugli obiettivi di vita del cliente, la conoscenza “dei cassetti mentali” in cui divide obiettivi e il denaro necessario per raggiungerli.

Secondo Claudia Vacanti, Responsabile Sviluppo Prodotti Banca Generali, ormai il punto di partenza della consulenza finanziaria “non è l’opportunità di mercato, ma la rivelazione dei bisogni, ora in evoluzione come il modello della consulenza stessa”. Questo cambiamento, sottolinea, ha bisogno dell’acquisizione di dati. “Come banca private ci stiamo dotando di una serie di investimenti in tecnologia sui dati del cliente e del suo patrimonio, proprio per poterli poi elaborare e trattare”. Una “tokenizzazione” che deve consentire di dialogare con i clienti, e che permette al consulente di essere molto più efficiente.

 

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