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“Il leader d’azienda? Deve somigliare a uno skipper”

manager ricerca lavoro smart working

La leadership in azienda, dopo la pandemia, deve somigliare a quella di uno skipper: capace di confortare e sorreggere, ma nello stesso tempo dirigere e guidare con fermezza e autorevolezza. Parola di Giorgio Del Mare, psicologo da anni dedicato al mondo della consulenza aziendale. Una “bitonalità” del leader che deve fare i conti con la fragilità che ci lascia in eredità, in azienda e non solo, la lunga stagione del Covid-19.

“La fragilità è misurata dai dati ufficiali dell’Ordine degli psicologi – aggiunge Del Mare – nel 2020 si è fatto ricorso a terapie psicologiche con un incremento del 67% rispetto all’anno precedente. Se poi dovessimo aggiungere anche tutti gli interventi erogati anche da non iscritti all’albo arriveremmo tranquillamente a un +80% di supporti psicologici in un anno”.

Ce n’è abbastanza per capire perché nel sistema delle imprese sia sempre più importante investire sul tema del benessere, della salute, all’interno dei piani di welfare aziendale. “Sono sempre più importanti i progetti di felicità organizzativa. Tutto quello che tonifica e rafforza è necessario al lavoratore in azienda. E le imprese lo hanno capito. Il benessere non comprende solo la polizza sanitaria integrativa, ma un programma di dieta, o di meditazione, o solo degli spazi per impadronirsi del proprio tempo libero. In una parola: vince la soggettività”.

Il benessere in azienda era uno degli obiettivi che si erano affacciati anche prima della pandemia, ma oggi sembra avere sovvertito ogni gerarchia di importanza. Eppure, per molti lavoratori il luogo del lavoro e quindi dello sperato benessere, torna a essere la casa. Un paradosso?

“Diciamo che non per tutti è smart working. Ma per chi è costretto, o sceglie, di lavorare a casa, il sistema dei benefit di welfare aziendale rischia di risultare sovvertito. E’ destinato a cambiare anche il job da casa. Il mix deve essere sempre più flessibile e l’impatto più significativo riguarda i sistemi dell’organizzazione del lavoro. A casa o in ufficio”.

Più casa o più ufficio?

“Certamente molte aziende dovranno affrontare la questione della rimodulazione degli spazi di ufficio, in sede. Le superfici destinate alle scrivanie dovranno per forza ridursi. E contestualmente dovranno essere rivalutati tutti i sistemi di servizio alla persona. Questo potrebbe produrre un nuovo mix di offerta imprenditoriale: dovranno essere trovati e allestiti a livello territoriale dei luoghi multiaziendali, convenzionati con diverse imprese, dove far confluire i collaboratori che non possono o non vogliono lavorare dovendo condividere il tavolo con il figlio in Dad. Nasceranno delle comunità d’ufficio fuori dagli uffici tradizionali e fuori dalle mura domestiche”.

Il futuro dei luoghi di coworking è annunciato. Ma qualcosa si sta muovendo?

“Di sicuro il Comune di Milano sta allestendo luoghi di coworking pubblico. Ma credo che ci sia spazio per una nuova imprenditorialità. Conosco più di un fondo di investimento che ha scommesso sullo sviluppo di soggetti imprenditoriali capaci di organizzare luoghi di lavoro extra-ufficio. Serve connessione, un minimo di struttura Ict e qualche macchinetta di conforto. All’estero c’è già qualcosa di realizzato, penso sorattutto ai Paesi anglosassoni e alla MittelEuropa”.

E’ una trasformazione per tutte le imprese o è un destino solo per le medio grandi?

“Dove c’è maturità relazionale non può che affermarsi questa nuova esigenza di lavoro a metà strada, tra casa e vecchio ufficio. Anche in molte Pmi si dovrà affermare questa visione. Aver gente contenta fuori ufficio è meglio che avere degli scontenti in ufficio. Ma vale anche il contrario. D’altronde aver gente contenta di lavorare è meglio che avere persone insoddisfatte e polemiche”.

Questo nuovo equilibrio tra organizzazione del lavoro e prestazioni di welfare è destinato a toccare anche la composizione dei nuovi contratti…

“Inevitabilmente. Meno contanti? Probabilmente. Di certo le politiche di reward dovranno essere modificate e aggiornate, tenendo conto dei nuovi bisogni dei lavoratori, che sono bisogni relazionali profondi prima ancora di essere necessità da monetizzare”.

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