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Semplificazioni? Sì ma con gli appalti digitali

Si fa presto a dire semplificazioni, soprattutto quando si parla di appalti, gare e opere pubbliche. Da decenni i provvedimenti si susseguono, eppure le norme diventano sempre più intricate. Nella stagione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, però, la digitalizzazione del settore è la leva che può tagliare i nodi gordiani di un sistema procedurale – dalla progettazione al bando, fino alla realizzazione e alla gestione delle infrastrutture – che non brilla certo per chiarezza e snellezza. Un obiettivo imprescindibile, tanto che un paio di riferimenti espliciti sono presenti anche nella legge delega di riforma del Codice degli appalti, approvata il 30 giugno scorso in Consiglio dei ministri.

La Commissione europea sostiene la trasformazione digitale degli appalti pubblici su svariati fronti, dall’e-submission all’e-procurement. Tuttavia, quando si parla di opere, la sigla chiave è Bim (Building information modeling). In pratica, parliamo di ottimizzazione della pianificazione, realizzazione e gestione di costruzioni tramite software in cui tutti i dati rilevanti vengono raccolti, combinati e collegati, in maniera da generare un “digital twin” del manufatto, sul quale è possibile calcolare e simulare tutte le condizioni, reazioni e i comportamenti in termini geostatici, strutturali, energetici. In particolare, il Bim consente il coordinamento agile e trasparente di tutti i soggetti della filiera delle costruzioni (committenti, stazioni appaltanti, proprietari, progettisti, tecnici, impiantisti, aziende, appaltatori, collaudatori) in un processo di condivisione dei dati che garantisce il taglio dei tempi, l’ottimizzazione dei costi, l’eliminazione delle discrasie e una maggiore qualità degli esiti costruttivi.

La sfida è centrale nella messa a terra dei progetti del Recovery plan italiano. Complessivamente, il piano indica in circa 62 miliardi le risorse per le infrastrutture e la mobilità sostenibile, uno degli aggregati di spesa più importanti. Le opportunità offerte da questi software sono enormi: basti considerare che in media i tempi della progettazione sono ridotti del 25%. Il gemello digitale consente di tarare risorse, azioni e materiali sulle necessità effettive, così da limitare i possibili errori, riducendo al minimo sprechi e varianti in corso d’opera. Inoltre, esistono software di validazione e controllo dei modelli Bim, come Solibri, che permettono di vagliare in modo rapidissimo e semiautomatico la corrispondenza di un progetto presentato al modello tecnico di riferimento (model checking) e la sua compliance rispetto alle norme in vigore inserite nello stesso software (code checking).

La diffusione di queste procedure digitali di verifica azzererebbe, ad esempio, i tempi di autorizzazione (visure degli atti abilitativi, permessi, nulla osta) degli uffici tecnici di un Comune che oggi impiega in media da due settimane a due mesi per dare il via libera a una ristrutturazione che non sia in regime di edilizia libera. Con un impatto fortissimo anche su progetti e interventi come quelli di riqualificazione urbana connessi ai bonus edilizi, superbonus 110% in testa. L’Agenzia del Demanio, una delle stazioni appaltanti più importanti del Paese, usa proprio Solibri, distribuito in esclusiva per l’Italia dall’azienda milanese Harpaceas, per la manutenzione e gestione evolutiva del suo immenso patrimonio immobiliare.

A questo punto, si tratta di capire quanto gli enti pubblici, soprattutto comuni, province, regioni, e in genere le stazioni appaltanti siano pronti al salto di qualità sugli appalti digitali. Il problema della formazione e delle competenze nella Pa è naturalmente cruciale. Secondo Oice nel 2020 le gare Bim per progettazioni e servizi tecnici sono aumentate del 17%, ma rimangono l’8,7% del totale. “Stiamo supportando la formazione attraverso docenze e collaborazioni con scuole, università e ordini professionali. Inoltre valutiamo e certifichiamo esperti Bim, nella convinzione che la leva della digitalizzazione possa dare risultati eccellenti”, spiega Luca Ferrari, direttore generale Harpaceas. D’altra parte, il lavoro da fare è tanto: secondo una indagine Assobim-Antel, solo un terzo dei tecnici del settore pubblico ha partecipato a eventi formativi e corsi sul Building Information Modeling. E a proposito della disponibilità o dell’intenzione dell’ente di appartenenza di acquistare piattaforme o software Bim specifici, l’85,7% del campione ha risposto in modo negativo. Insomma, il cammino è ancora lungo, ma i tempi imposti dal Next Generation Eu ci costringono a correre.

 

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