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Sport, l’importanza di pianificare il post carriera

Quando Francesco Totti si ritirò, disse: “Non sono pronto a dire basta e non so se lo sarò mai”. Uno stato d’animo che accomuna molti sportivi. Ma non tutti sono stati dei campioni del mondo di calcio come lui, hanno guadagnato abbastanza in carriera, hanno avuto molte opzioni tra cui scegliere per il proprio futuro. Per molti atleti che hanno dedicato la loro vita allo sport il momento del ritiro è anche quello di una grande domanda: cosa farò ora?

Da qualche anno, ormai, ci si pone il problema di aiutare gli sportivi a costruire un percorso post ritiro. Nel 2016, per esempio, il ministero del Lavoro e il Coni hanno firmato la convenzione per un piano triennale proprio per facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro degli ex atleti.

Non esistono statistiche o ricerche recenti che raccontino cosa sia successo e quali strade abbiano intrapreso gli sportivi a fine carriera. L’unico dato a disposizione riguarda i calciatori. Si tratta di un’indagine realizzata nel 2015 dall’Aic su un campione di 2611 in attività nella stagione 1992/1993. Quello che emerge è che il 61,4% degli ex calciatori professionisti non opera a nessun livello nel mondo del calcio, nonostante i tre quarti degli atleti in questione abbia acquisito un titolo di abilitazione per farlo (di questi, ben il 97,5% quello di allenatore).

E se questo è il dato che riguarda il mondo del pallone, c’è da giurare che ancora più difficili debbano essere le prospettive per atleti di sport che godono di minori sponsorizzazioni e minori guadagni. “Questo è un aspetto importante e dunque deve essere gestito per tempo. Se il post carriera viene preparato a priori, affrontarlo risulta meno impattante da un punto di vista psicologico e la costruzione del proprio futuro professionale si fonda su basi più solide”, spiega Sergio Picarelli, president di Talent Solutions, business unit di cui fa parte LHH, leader mondiale appartenente al Gruppo Adecco che offre soluzioni in ambito HR dall’advisory al placement. E che proprio qualche giorno fa ha annunciato la nascita di LHH Sports Solutions, con l’obiettivo di progettare soluzioni ad hoc per lo sviluppo del potenziale di atleti e organizzazioni sportive. Si tratta di una gamma di servizi che include: programmi di gestione, sviluppo e transizione di carriera, percorsi di upskilling e reskilling, assessment e coaching destinati agli atleti e ai professionisti del settore sportivo.

“Ci sono tanti atleti che per loro scelta personale hanno studiato, hanno delle competenze e vogliono valorizzarle magari anche all’interno dell’ambito sportivo. – Spiega Picarelli – Il nostro approccio va da un concetto di advisor, quindi di pura consulenza, a un concetto di placement che passa attraverso l’analisi dei dati, quindi tutta la parte di diagnostica. Quest’ultima permette di realizzare un assessment, costruito su un modello che misura le caratteristiche predittive di successo organizzativo/professionale dell’atleta e le confronta con le richieste del mercato del lavoro per poi definire le eventuali necessità di upskilling e reskilling. Questo processo avviene grazie ad una metodologia e piattaforma proprietaria LHH che guida l’atleta nel suo percorso formativo”.

Già nel 2009, in Italia, la Fondazione Adecco per le Pari opportunità e il Coni avevano dato vita a un progetto dedicato all’inserimento nel mondo del lavoro degli atleti al termine della carriera agonistica. “Abbiamo ripreso in mano questo progetto un anno fa e – prosegue Picarelli – lo abbiamo strutturato non più come Fondazione ma proprio come orientamento al business, pensando non solo al target degli atleti, che è obiettivo primario, ma anche a istituzioni sportive, club e aziende. Pensiamo, ad esempio, a quegli sportivi olimpici che terminano la propria carriera senza aver maturato finanziamenti sufficienti per poter vivere nel futuro o che non appartengono a corpi militari”.

L’idea è che, proprio come un atleta si prepara a una gara olimpica attraverso vari step e non da un giorno all’altro, così debba pensare a pianificare per tempo il proprio futuro professionale. “La digitalizzazione e le tecnologie che abbiamo a disposizione – spiega ancora Picarelli – aumentano queste possibilità. Oggi facciamo formazione online al 90% delle persone, soprattutto in questo periodo. La tecnologia ci consente di affiancare atleti che hanno ancora in corso un’attività agonistica di un certo livello e che dunque necessitano di tempo per allenarsi e performare. Grazie alla tecnologia hanno la possibilità di gestire il percorso di formazione in modo flessibile, con un tutor ad hoc che li supporta. Quindi il processo diventa molto più agile”.

L’obiettivo, insomma, è quello di aiutare gli atleti a rimanere nel mondo dello sport ma con un profilo manageriale, dopo aver acquisito le competenze necessarie. “Oggi non diventi più un bravo allenatore solo perché eri un bravo atleta nella tua disciplina. Se vuoi primeggiare molto probabilmente hai bisogno di acquisire competenze, di saper analizzare dati, che è una skill sempre più importante a ogni livello, di gestire la comunicazione, sia interna che esterna”, dice ancora Picarelli.

Chiaramente il target a cui il servizio si rivolge in prima istanza è quello degli atleti che praticano sport meno remunerativi o che non godono di una consolidata fama internazionale. Ma secondo Picarelli, anche i grandi nomi dello sport, quelli che certamente non hanno problemi a ricollocarsi, necessitano di implementare le loro competenze per affrontare il mercato del lavoro del futuro. “Anche gli atleti di alto livello devono investire nelle proprie competenze perché o decidi di fare l’opinionista, il guru, e rimani attaccato alla tua immagine, opportunità che non è per tutti, oppure devi investire in alcune skill che poi ti serviranno per continuare ad alimentare la tua immagine, il tuo brand”.

Bisogna imparare, ad esempio, a gestire i social, dove anche un piccolo errore può causare un danno di immagine importante. Così come bisogna imparare ad amministrare i propri patrimoni. Secondo le statistiche Usa, per esempio, il 78% dei giocatori di football americano e il 60% di quelli dell’Nba affrontano gravi difficoltà finanziarie rispettivamente entro 2 e 5 anni dal ritiro dai campi di gioco.

Ma Picarelli è convinto che, al di là dei singoli atleti, sia necessario un coinvolgimento delle istituzioni sportive. “Noi avremo una linea dedicata alle istituzioni sportive, federazioni, Leghe, comitati olimpici. Mi auguro – sottolinea – che le leghe e le istituzioni mettano la giusta attenzione su questo aspetto”.

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