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Non è un Sud per giovani: -1,6 milioni in 25 anni

Negli ultimi 25 anni il Sud ha perso oltre 1,6 milioni di giovani mentre, allo stesso tempo, l’occupazione è cresciuta quattro volte meno che nel resto del Paese. E’ la poco confortante fotografia scattata dall’Ufficio studi di Concommercio in un’analisi sull’economia del Mezzogiorno dal 1995 a oggi. Dal report emerge come il tema della produttività al Sud, quello delle condizioni economiche e sociali di vita e quello della scelta di risiedere o di emigrare, siano strettamente collegati. La dimensione quantitativa del problema della perdita di popolazione al Sud, soprattutto giovane, sottende quello dell’occupazione.

Nel periodo analizzato, spiega l’associazione, si ha conferma della riduzione del peso del Sud in termini di popolazione (dal 36,3% al 33,8%). Ben più grave è la questione della popolazione giovane. L’Italia nel complesso perde 1,4 milioni di giovani nel periodo considerato: da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni. Tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali. Mentre nelle altre ripartizioni il livello assoluto e anche la quota di giovani rispetto alla popolazione di qualsiasi età restano più o meno costanti, nel Mezzogiorno si registra un crollo. “In queste condizioni ed estrapolando questi trend – osserva Confcommercio – anche l’eventuale e improbabile rapida risoluzione del problema della produttività potrebbe risultare insufficiente a migliorare il processo di costruzione di benessere economico e sociale del nostro Mezzogiorno, almeno in termini aggregati”.

Sconfortanti sono poi i dati relativi al mercato del lavoro. Tra il 1995 e il 2019 la crescita del Mezzogiorno è stata del 4,1% contro il 16,4% della media nazionale, con distanze ancora maggiori rispetto alle regioni del Centro e del Nord. Secondo lo studio, nemmeno la particolare vocazione turistica delle regioni meridionali sembrerebbe essere di aiuto a spingere l’economia di quest’area, visto che, anche rispetto a un anno “normale” come il 2019, i consumi dei turisti stranieri al Sud sono risultati molto inferiori di quanto speso nelle regioni del Centro e del Nord-Est.

La riduzione degli occupati, come conseguenza della perdita di popolazione e i deficit di lungo corso – eccesso di burocrazia, illegalità diffusa, carenze infrastrutturali e minore qualità del capitale umano – hanno determinato un continuo e progressivo calo del Pil prodotto dal Sud ampliando ulteriormente i divari con le altre aree del Paese. Nei 25 anni presi in considerazione, infatti, il peso percentuale della ricchezza prodotta da quest’area sul totale Italia si è ridotto passando da poco più del 24% al 22%, mentre il Pil pro capite è sempre rimasto intorno alla metà di quello del Nord e nel 2020 è risultato pari a 18.200 euro contro 34.300 euro nel Nord-Ovest e 32.900 euro nel Nord-Est. Tuttavia, nel 2020, l’impatto della crisi da Covid-19 al Sud è stato più contenuto rispetto alle altre aree del Paese che hanno patito maggiormente il blocco delle attività produttive durante la pandemia (Pil -8,4% contro il -9,1% al Nord rispetto al 2019.

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