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Le amministrative non sono le politiche. Ma qualcosa dicono

Le amministrative non sono le elezioni politiche. Questa premessa è necessaria per qualsiasi ragionamento sul risultato che ha consegnato al Centrosinistra cinque grandi città su cinque e segnato una netta sconfitta per il Centrodestra. Qualcosa però questa tornata elettorale dice rispetto allo stato di salute della politica italiana e agli equilibri fra le forze politiche. I pochi cittadini che hanno scelto di votare al secondo turno delle ammnistrative, con il dato dell’affluenza definitiva al 43,94 per cento e un crollo di circa 9 punti rispetto 52,67 del primo turno, hanno espresso indicazioni nette, che vanno anche oltre il risultato dei singoli ballottaggi.

Il primo dato inconfutabile è che il centrosinistra ha vinto e che il centrodestra ha perso. Un risultato che il leader del Pd Enrico Letta può considerare la conferma di una ritrovata centralità, semplicemente impensabile solo un anno fa. Un risultato che deve aprire una riflessione profonda per i due principali leader del centrodestra, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che hanno capitalizzato malissimo la loro posizione di vantaggio accreditata dai sondaggi nazionali.

Il secondo dato evidente è che il Movimento Cinquestelle ha completamente esaurito la sua forza propositiva. Quello che resta del consenso largo costruito sulla rottura del bipolarismo non basta più a definire un’area che inevitabilmente deve collocarsi, guardando alle alleanze, o riassorbirsi, guardando all’elettorato, nello schieramento di centrosinistra o in quello di centrodestra. È una novità sostanziale, forse la più importante se si vuole cercare una conseguenza nazionale al voto locale. Sono state le esperienze di governo delle città, basta guardare a quella di Virginia Raggi a Roma ma a anche a quella di Chiara Appendino a Torino, la grande prova fallita dai grillini.

Il terzo dato rilevante riguarda la risposta dell’elettorato alla scelta dei candidati. L’incapacità del centrodestra di esprimere una classe dirigente credibile ha spianato la strada a vittorie larghe dei candidati di centrosinistra. Vittorie che in alcuni casi sono andate oltre i numeri attesi e, forse, anche oltre la consistenza reale dell’elettorato di centrosinistra. Un Paese che resta sostanzialmente moderato e in cui le forze del centrodestra possono ancora contare su un consenso maggioritario ha quasi ovunque scelto i sindaci migliori, quelli più credibili e quelli più affidabili.

Emblematica, in questo senso, la scelta dei cittadini romani. Roberto Gualtieri è il nuovo sindaco, profondamente diverso dal suo predecessore e anche dal suo sfidante al ballottaggio. Enrico Michetti è stato considerato un candidato non all’altezza, non solo evidentememte dagli elettori di centrosinistra ma anche da una parte consistente di quelli di centrodestra, che non hanno avuto la forza di votare per un esponente della società civile che ha collezionato più gaffes che proposte e idee. A caldo, ha scelto di definire “laconico” l’esito del voto, sbagliando ancora una volta parola e analisi.

Molti degli elettori del centrodestra, come molti elettori cinquestelle, hanno scelto l’astensione. E due sono le considerazioni principali che un’affluenza al voto così bassa suggerisce.

Primo, la disaffezione degli elettori. Un segnale pericoloso che andrebbe analizzato a fondo, perché una politica per pochi non è solo una sconfitta della politica ma anche un rischio per la tenuta della democrazia. La mancanza di rappresentanza è un tema che riguarda soprattutto i più giovani e che si lega anche al rischio che le tensioni sociali possano restare senza mediazione politica.

La seconda conseguenza logica di un’astensione così ampia è che la partita sul piano nazionale è ancora più contendibile. Ci sono elettori da conquistare sia per il centrosinistra, che intorno al Pd torna uno schieramento capace di vincere, sia per il centrodestra, che esce da da queste amministrative ridimensionato e con una perenne contesa sulla leadership da gestire. E ci può essere spazio anche per nuove proposte. Sia al centro, dove il risultato di Calenda a Roma può costituire un punto di partenza per qualcosa di diverso, sia in quello che resta del grillismo, dove l’area più movimentista potrebbe cavalcare la delusione per arrivare a una scissione dal nuovo Movimento di Giuseppe Conte.

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