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Diritti tv e club a buon mercato: perché i ricchi Usa amano il calcio europeo

Gli ultimi affari conclusi sono il Genoa e la Spal in Italia, l’olandese Den Bosch e il Lugano. Investimenti non colossali, certo, ma elementi della geopolitica del calcio europeo che negli ultimi anni ha preso altre forme, con l’invasione di proprietari americani nei principali tornei nazionali d’Europa. Al momento sono 46, come rivelato di recente da un’indagine del Cies Observatory, il centro studi di cui si serve l’Uefa.

Oltre il 60% delle acquisizioni con matrice americana si è verificata negli ultimi tre anni. Non è ovviamente un caso, il raggio d’azione degli americani si è ingigantito perché nel frattempo i colossi cinesi – su volere del governo di Pechino – hanno battuto la ritirata nel calcio europeo, sono rimasti in pochi e tra questi, come il Gruppo Suning all’Inter, ora la parola d’ordine è autofinanziamento.

Insomma, quelle spese pazze dalla Cina sono finite, restano in orbita i petroldollari degli sceicchi, come dimostra l’investimento del gruppo PIF al Newcastle, in Premier League, oppure il City Group che possiede le quote di maggioranza del Manchester City, oppure il ricchissimo Psg, in Ligue 1. E ci sono ancora alcuni oligarchi russi, il primo della serie è stato Roman Abramovich al Chelsea, con oltre un miliardo di euro investito negli anni, con due Champions League nella vetrinetta dei trofei, assieme a diversi titoli nazionali.

Perché gli americani nel calcio europeo

Rocco Commisso, chairman del provider Mediacom e proprietario della Fiorentina dal giugno 2019 per 170 milioni di dollari, nell’intervista recente sul Financial Times che tanto ha fatto discutere, con bordate agli Agnelli, alla Figc e all’obsolescenza degli stadi italiani, indica proprio nello sfruttamento intensivo dei ricavi da stadio la chiave per la crescita del calcio italiano ed europeo.

La valorizzazione degli impianti – ancora pochi sono quelli di proprietà delle società – è chiaramente un fattore, ma ce ne sono altri che motivano l’arrivo di diversi fondi americani nel calcio europeo. Secondo i dati di KPMG, nel corso della pandemia i media rights di Bundesliga, Serie e Ligue 1 hanno perso quota, in sostanza i broadcaster hanno rinegoziato verso il basso gli accordi per lo sfruttamento dei diritti televisivi. La Serie A, con il passaggio da Sky a Dazn per il prossimo triennio incassa il 4,7% in meno rispetto al precedente accordo, la Bundesliga oltre il 5%, la Ligue oltre l’11%.

Si è salvata solo la Premier League, che non ha perduto una sterlina e ha incassato l’1% in più la Liga spagnola. Qui, secondo gli investitori americani, ci sono margini di manovra per il calcio europeo, la distanza con la Nfl o la Nba anche in tempo di pandemia, è notevole: il campionato di football americano ha firmato un accordo con diversi network per 110 miliardi di dollari in 11 anni, entro il 2025 partirà il nuovo accordo della Nba. Il broadcaster è ancora sconosciuto, ma la base di partenza saranno 75 miliardi di dollari in nove anni.

Insomma, è la torta dei diritti tv che interessa. Ma incide sull’arrivo degli americani in Europa anche il costo ridotto per acquistare un club: sempre secondo KPMG il valore medio dei primi 32 club in Europa si aggira su 1,3 miliardi di dollari, assai meno rispetto a Major League Baseball (1,9 miliardi), Nba (2,5 miliardi) e Nfl (3,5 miliardi). Un dettaglio rilevato anche da Fortune.com in un articolo di oltre un anno fa, a proposito dell’acquisto del Parma della famiglia Krause.

Inoltre la pandemia, con il ribasso delle valutazioni dei club europei, avrebbe creato la finestra temporale ideale per un investimento, secondo quanto spiegato alla Cnn da Joseph DaCrosa Jr (presidente del Kapital Football Group), proprietario del Bordeaux (Ligue 1) dal 2018 e in trattative anche con un paio di club di Premier League.

Ovviamente esiste sempre l’altro lato della luna, i fondi che hanno piazzato il capitale nel calcio europeo, specie in Premier League, sono stati spesso oggetto di critiche. Su Usa Today, uno dei siti di riferimento dello sport a stelle e strisce, c’è stata una dura analisi sul fallimento della Superlega, il torneo delle 12 grandi d’Europa nato e svanito in due giorni la scorsa primavera su iniziativa di Barcellona, Real Madrid e Juventus, coinvolgendo Manchester United, Liverpool, Chelsea, Arsenal e Manchester City, uscite dal progetto dopo poche ore a causa dell’insurrezione dei tifosi (e del governo) in Inghilterra. Secondo Usa Today i tycoon americani non possono pensare di gestire un club di Premier come se fossero nella Nba o nella Nfl, perché nel Regno Unito il calcio è molto più legato alla passione popolare, in alcuni casi alle sue radici operaie.

La passione americana per la Premier league

La Premier resta il mercato di riferimento del calcio europeo e un fattore nell’economia britannica, con un contributo da 10,4 miliardi di euro nel 2020, secondo uno studio Ernst & Young, dando lavoro a 94 mila persone, con i club che pagano quasi cinque miliardi di euro in tasse.

In Premier ci sono gran parte dei 16 club di proprietà americana che hanno investito nel Regno Unito. I pionieri dello sbarco da questa parte dell’Atlantico sono stati i (discussi) Glazer, al Manchester United dal 2005. Poi al Liverpool c’è il Fenway Sports Group, fondo con sede a Boston, con il 40% delle azioni al magnate John Henry e che vede tra gli azionisti l’ex patron della Roma, James Pallotta e la star dell’Nba, Lebron James. E c’è traccia americana anche all’Arsenal con il milionario Stan Kroenke (possiede quote anche di squadre Nba e Nfl), poi Wes Edens (private equity, con quote ai Milwaukee Bucks campioni in carica Nba) socio all’Aston Villa, poi ALK Capital al Burnley, per restare nel raggio dei club di Premier, vista a lungo come la Nba del calcio europeo, tra stadi pieni, merchandising che vola e l’arrivo dei migliori calciatori del panorama internazionale.

Serie A, gli americani ci credono

Il Genoa è finito al 777 Partners, che ha acquistato anche una fetta del Siviglia. In precedenza, solo per restare agli ultimi tempi, c’è l’affare che ha portato Krause al Parma, l’avvocato Joe Tacopina (ex investitore al Catania, Venezia) si è comprato la Spal, poi il finanziere Robert Platek lo Spezia, qualche mese prima i Friedkin hanno staccato un corposo assegno per prendersi la Roma da James Pallotta. Prima ancora, Commisso alla Fiorentina, preceduto nel tempo dal fondo Elliott che ha acquisito il Milan, con l’obiettivo di risanare i conti, portarlo di nuovo al vertice italiano, per poi rivenderlo con margine di profitto.

Sono otto al momento le proprietà americane nel calcio italiano, che sempre attira in Nordamerica, come mostra anche l’accordo monstre  – quasi otto milioni di dollari netti annui fino al 2027 – che porterà il capitano del Napoli Lorenzo Insigne al Toronto (Major Soccer League) da luglio. Secondo quanto detto al Financial Times da Platek, che ha acquistato un anno fa lo Spezia, oltre che dirigente senior di MSD Capital, il calcio italiano sarebbe ancor oggi uno dei tornei “più entusiasmanti al mondo”.

Nell’analisi del quotidiano britannico, lo status della Serie A e la fanbase in crescita in Nordamerica e Asia sarebbero il magnete per i fondi americani, nonostante l’arretratezza degli impianti, la difficoltà a realizzare strutture moderne (anche per i lacci della burocrazia) e la grave situazione debitoria di diversi club.

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