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Quirinale, terza votazione. Centrodestra verso il no al conclave

La terza giornata di votazioni per l’elezione del presidente della Repubblica, l’ultima con il quorum dei due terzi, non sarà certamente quella decisiva, ma potrebbe comunque rappresentare una svolta.

Ieri la coalizione guidata da Matteo Salvini ha proposto una rosa di nomi: Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio. Ma la vera carta, neanche troppo coperta, è quella del presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, che potrebbe essere tirata ufficialmente fuori domani alla quarta votazione, quando cioè il quorum scenderà a 505. Il leader della Lega non nega questa ipotesi. “E’ la seconda carica dello Stato, non ha bisogno di essere candidata”, dichiara.

Il centrosinistra intanto ha già risposto ‘no, grazie’ alla terna di nomi, ma ha rinunciato a presentare una rosa propria da contrapporre e, soprattutto, ha chiesto che si tenga un conclave di tutti i leader in pianta stabile fino a quando non emergerà una figura condivisa. Il centrodestra però sembra intenzionato a non accettare l’invito.

Questa volta si inizia a votare alle 11. Si prevede un’altra valanga di schede bianche. Il centrodestra, che inizialmente sembrava intenzionato a contarsi scrivendo sulla scheda il nome di Carlo Nordio, ha deciso invece di non farlo. Si distingue solo Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che si conterà su Guido Crosetto. Nessun candidato di bandiera neanche per il centrosinistra.

Resta in piedi lo scenario, molto temuto soprattutto dal Pd, che Matteo Salvini opti per la prova di forza e decida di schierare appunto il presidente del Senato dalla quarta votazione per cercare di raccogliere voti sparsi nelle altre forze politiche, a cominciare dal M5s che all’inizio della legislatura votò Casellati come seconda carica dello Stato. Da allora sono passati però quattro anni e bisogna ricordare che quella elezione era collegata a quella del 5stelle Roberto Fico alla presidenza della Camera, oltre che prodromica alla nascita del primo governo Conte sostenuto da grillini e Lega.

Rischia di tramontare anzitempo, invece, l’ipotesi che i leader decidano di chiudersi in una stanza “a pane e acqua”, come ha proposto il segretario del Pd Enrico Letta, fino a quando non troveranno il nome su cui convergere in maniera unitaria.

Tra i nomi che ancora vengono considerati in gioco come possibile soluzione c’è quello di Pier Ferdinando Casini oltre che l’extrema ratio del Mattarella bis.

Sullo sfondo resta sempre il ruolo del presidente del Consiglio, Mario Draghi, che potrebbe tornare in gioco a partire dalla quinta votazione. Sulla carta il numero di partiti che sono pronti a votare per un suo trasloco al Quirinale si assottiglia. Ma se queste sono le posizioni ufficiali, va sempre tenuto conto che quasi nessuno dei segretari può contare sulla compattezza dei gruppi parlamentari, a cominciare soprattutto da Giuseppe Conte. L’ex premier è tra quelli maggiormente contrari all’ipotesi di di Mario Draghi, ma il ministro degli Esteri Luigi Di Maio rema in un’altra direzione. Il Pd è ufficialmente invece il partito più propenso, ma anche in questo caso ci sono correnti – per esempio quella guidata da Dario Franceschini – non proprio allineate.

Intanto, con i mercati che guardano e la crisi in Ucraina che incombe, è cominciato il pressing perché da domani si passi a due votazioni al giorno in modo da provare ad accelerare una soluzione.

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