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Semiconduttori, perché Technoprobe in Borsa punta su Egm

La quotazione risale al 15 febbraio. Dai 5,7 euro per azione fissati inizialmente dal processo di collocamento si è arrivati a 7,3 euro, con un rialzo totale superiore al 25%. Ma quello che colpisce di più dell’arrivo in Borsa della società brianzola Technoprobe, è la valutazione iniziale: 3 miliardi e mezzo (ora sopra i 4 mld), praticamente un quarto del valore del listino (da 176 società) scelto per la quotazione, ovvero Euronext Growth Milan, il mercato dedicato alle pmi ad alto potenziale di crescita.

L’Ipo ha fatto parecchio rumore, tanto da far arrivare alla Banca d’Italia proposte per l’inserimento di limiti alle dimensioni delle società ammesse sul listino Growth. E, secondo Roberto Crippa, vicepresidente esecutivo di Technoprobe e figlio del fondatore Giuseppe, ha permesso alla società brianzola di prendere le misure ai mercati, prepararsi al salto sul listino principale (“tra 18 mesi”, dice Crippa. “Ci stiamo preparando per il salto”), e raccogliere capitali per un piano che tra crescita e acquisizioni punta a far raddoppiare il fatturato in 5-6 anni, sfruttando la crescita del mercato dei semiconduttori e un vantaggio rilevante: Technoprobe è tra le 2 principali società al mondo nel campo dei prodotti che servono a testare i microchip, secondo Crippa, che offre anche il suo punto di vista sulle conseguenze del conflitto ucraino sul mercato dei chip, prevedendo “forti rialzi nel breve periodo” per i semiconduttori ma effetti più contenuti per Technoprobe.

La scelta Egm

Con la quotazione su Egm “abbiamo scelto di iniziare con una certa gradualità. L’Egm ci dà il tempo di mettere a posto le procedure interne” prima del passaggio al listino principale di Piazza Affari. “Di fatto è un banco di prova, per iniziare a capire cosa significa essere quotati”, dice Crippa.

Ma è anche un modo per avere capitale: “Ci siamo quotati per avere una capacità di investimento molto maggiore di quella che avevamo. Negli ultimi due anni solo considerando capex e R&D superiamo i 200 milioni, tutti autofinanziati”.

La quotazione dà risorse (700 mln, dopo l’esercizio dell’opzione greenshoe del 25 febbraio) per acquisire altre società: “Sono due le aziende che ci interessano”, dice Crippa. Non specifica quali siano, ma dice che la società punta “ad acquisire aziende con tecnologia evoluta che sia complementare alla nostra”. La stessa filosofia che ha portato all’acquisizione nel 2018 di un’azienda americana di stampa 3D: “Servono aziende che abbiano un qualcosa che ci permette di evolvere come sviluppo tecnologico” e di “espandere il portafoglio prodotti”.

L’impatto della guerra in Ucraina

Ma quale è lo scenario? Il mercato dei microchip è fondamentale nell’era della trasformazione tecnologica. È entrato anche nel discorso geopolitico, presente subito nelle sanzioni imposte dagli Usa alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Il Paese invaso da Putin è a sua volta fondamentale per la produzione di neon, materia prima presente nei semiconduttori, mentre la Russia colpita dalle sanzioni produce palladio: non è da escludere quindi una ripercussione sulle supply chain mondiali. “Personalmente”, dice Crippa, “prevedo forti rialzi nel breve periodo perché sia l’Ucraina che la Russia sono molto importanti come fornitori di tali materiali. Noi utilizziamo molto palladio, ad esempio. Abbiamo fatto un grosso ordine a dicembre al prezzo di 55 euro/grammo. Oggi siamo vicini agli 80 euro grammo. Fortunatamente per noi l’impatto delle materie prime e dei costi energetici è limitato e non impatterà in modo significativo sulla marginalità complessiva”.

La crisi dei semiconduttori, naturalmente, è stata tra le conseguenze economiche principali della pandemia. Secondo Crippa, l’effetto collo di bottiglia sulle supply chain ha colpito più negativamente alcuni settori, come gli elettrodomestici o l’automotive, “che nel 2020 ha cancellato in massa i suoi ordini di semiconduttori”. Altri settori, come il gaming e la telefonia, hanno invece retto il colpo. Technoprobe intanto ha chiuso il bilancio 2020 con 320 milioni di fatturato. “Non c’è stato calo di business, anzi, di chip se ne sono prodotti molti di più”. Il vantaggio dell’azienda brianzola è che non sono molte le aziende che testano microchip: “Se noi ci fermassimo, si fermerebbe anche la filiera dei telefonini”.

E adesso i grandi player del settore stanno facendo “investimenti spaventosi”, racconta Crippa. Anche in Europa: si parla di un piano da 80 mld per il continente, con 8 mld di euro riservati alla costruzione di un impianto in Italia, secondo quanto riferito da Reuters a dicembre.

La crescita del mercato

Intanto, il mercato dei semiconduttori cresce. Nonostante si preveda che non si torni alla normalità prima del 2023, il chip shortage non ha rallentato la crescita del mercato in termini di fatturato neanche nel 2020, quando ha registrato un +6,8% a 440 mld di dollari. Secondo i numeri di un report dello scorso autunno del World Semiconductor Trade Statistics, il 2021 registra una crescita del 25%, arrivando a 550 mld e segnando il più grande passo in avanti dal 2010, quando ci fu un aumento del 31%. Per il 2022, la crescita attesa del mercato mondiale dei semiconduttori è dell’8,8% (601 miliardi di dollari). Ma aumenterà anche il divario tra le altre regioni e l’Europa, che vedrà crescere il giro d’affari del 7% a 50 mld, lontani dai 370 mld dell’Asia Pacifico (più i quasi 50 del Giappone) e dai 130 delle Americhe.

Per questo anche l’Europa ha deciso di entrare in gioco con la proposta per un European chips act, che prevede investimenti complessivi per 43 mld di euro. “Sono finanziamenti abbastanza contenuti, ed è una strategia che funzionerà solo parzialmente, abbiamo permesso che le aziende delocalizzassero finora: si sta tentando di mettere una pezza. Nei prossimi 5 o 6 anni non colmeremo il gap. Solo per mettere in piedi un nuovo impianto di produzione di microchip ci vogliono 2-3 anni”, dice Crippa.

Technoprobe, intanto, ha 11 sedi nel mondo e registra in Italia solo il 2% del suo fatturato, ma è qui che produce buona parte della sua componentistica, racconta Crippa. I numeri del personale in Italia: 1350 persone, di cui 800 assunte negli ultimi due anni, altre 600-700 previste entro il 2025. L’impegno sull’Italia è stato uno svantaggio competitivo? “No, è stato un enorme vantaggio: abbiamo trovato personale qualificato, anche se ne avremmo bisogno di molti di più: è molto più difficile trovare questo livello di professionalità fuori dall’Italia. Oltretutto, in altre regioni, come in America, c’è un turnover spaventoso, mentre qui riusciamo a tenerci stretti i dipendenti. “Questo è fondamentale per un’azienda che vive di conoscenza. I brevetti non bastano, il know how sta nella testa delle persone”.

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