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Il ‘rifugio’ è sempre d’oro, ma non per i trader

L’oro è sempre l’oro e riesce a superare il tempo e lo spazio senza perdere mai valore. Eppure, è anche una questione di punti di vista. E se in questo momento si sceglie quello di un qualsiasi trader, si scopre che il concetto di metallo prezioso è stato completamente stravolto. Non oro, argento o platino ma, per esempio, nichel, rame o palladio. Tutti elementi fondamentali per le produzioni industriali. Che, però, ora scarseggiano e per questo sono diventati l’oggetto del desiderio degli speculatori.

Insomma, il combinato disposto tra la pandemia, la crisi energetica e la guerra ha cambiato anche il modo in cui leggiamo la tavola periodica degli elementi. Questo non vuol dire che il mercato dell’oro non abbia registrato dei rialzi: come sempre nei momenti di crisi, anche in questa fase, il concetto di ‘bene rifugio’ ha il suo fascino. Tanto che si è arrivati ai 2mila dollari per oncia, ovvero è stata toccata quella che viene considerata una soglia psicologica. Una definizione poco sensata, secondo Achille Fornasini, docente di Analisi tecnica dei mercati finanziari dell’Università degli studi di Brescia. “L’oro viene ricercato nei momenti di incertezza o di indefinitezza degli scenari e pertanto, insieme ad altri beni rifugio è gettonato. Ma non si tratta di performance poi così straordinarie. E’ nel giardinetto delle opzioni, unitamente a valute forti e obbligazioni ad alto standing, che si offrono nel momento in cui il timore di tracolli azionari o di altri strumenti più tradizionali si impone. Anche questa soglia dei 2000 dollari, al contrario di quello che si dice, non ha niente di psicologico se non la cifra tonda. Tecnicamente è una resistenza, cioè c’è qualcuno che nel passato ha comprato oro a quella cifra, e quindi ora è ben lieto di liberarsene”.

Ma quindi adesso è il momento di comprare o vendere oro? “Di solito – spiega – ci si dirotta su questo metallo quando si deve ‘parcheggiare’ liquidità in uscita da investimenti rischiosi. Di per sé non ha un particolare appeal rispetto a materie prime che invece hanno realizzato ben più solide e ampie performance: basta pensare al nichel, al rame, al palladio o all’alluminio. In questi mesi ci sono state delle occasioni straordinarie che i grandi player si sono giocati abbondantemente”.

Per un investitore, insomma, in questa fase sono le materie prime il vero oro. “E non parlo solo di metalli, ma anche mais e frumento, visto che è bloccata l’offerta dei maggiori produttori mondiali, Russia e Ucraina. Anche in una prospettiva di appianamento della tensione bellica, ci vorranno mesi perché si ritorni a una relativa normalità. In questo momento l’attenzione dei trader è rivolta alle materie prime che già sono scarse e, con questi eventi, diventano tecnicamente preziose”.

L’ottica del piccolo risparmiatore tuttavia è diversa, l’oro resta un bene a cui aggrapparsi. Ma il prezzo che sale incide anche su una fetta di mercato importante per il Made in Italy: quello della produzione di gioielli, come sottolinea Claudia Piaserico, presidente di Confindustria Federorafi e product manager di Fope, azienda storica del distretto di Vicenza. “Al di là delle problematiche relative all’escalation dei costi dell’energia che riguardano tutti, noi abbiamo un problema legato alle materie prime preziose che hanno tutte subito un incremento importante. Siamo a +30% per l’oro, per l’argento non c’è stato un balzo così importante, ma per esempio pesa anche il rimbalzo del palladio, che viene utilizzato nelle leghe”.

Ciononostante, però, il settore al momento non sta attraversando affatto una crisi, come hanno dimostrato la Fiera di Dubai prima e Vicenzaoro dopo, entrambe organizzate da Ieg, Italian exhibition group.

In parte questo si spiega tenendo conto che l’industria orafa italiana non dipende molto dalle aree direttamente interessate dal conflitto. Secondo le stime elaborate dal Centro Studi di Confindustria Moda c’è un impatto relativo per quanto riguarda Russia e Ucraina, con un export che vale circa l’1% del totale ma siamo i primi importatori con una quota di oltre il 20%. In generale, per il settore il 2021 è stato un ottimo anno: il valore totale dell’export è stato superiore agli 8 miliardi di euro con oltre il +15% sul 2019 e una crescita a doppia cifra rispetto a Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti e un dato di export Extra-Ue pari al 75%.

Tuttavia, il conflitto porta con sé incertezza. E l’indeterminatezza non fa bene agli affari. “Il buyer, che è il nostro primo interlocutore, è instabile nell’approccio e soprattutto – spiega ancora Piaserico – questo si riflette sulle conferme degli ordini, la situazione è troppo altalenante”.

Ma l’Italia quanto dipende dall’oro russo? La presidente di Confindustria Federorafi spiega che “per quanto riguarda l’approvvigionamento tutta la nostra filiera a monte è stata in grado negli anni di non dipendere troppo da Mosca, diversificando le fonti di approvvigionamento che oggi sono anche Nord e Sud America e Sudafrica”. “Di conseguenza – prosegue – anche le restrizioni, il delisting dei sei affinatori russi, tutto sommato non sono state un grande problema. Si tenga anche conto che grazie anche alla sensibilità che si è sviluppata negli ultimi sulla sostenibilità e l’oro circolare, molte aziende utilizzano anche oro che proviene da oreficeria già usata e quindi c’è un approvvigionamento differenziato che permette di sopperire a questa limitazione, non è questo il problema”.

Il problema, semmai, è l’effetto indiretto che riguarda di più il consumatore finale. “In generale, a penalizzarci potrebbe essere un sentiment che contamina tutto il mondo. Poi, certo, com’è noto – osserva Piaserico – il consumatore russo è uno dei big spender internazionali”.

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