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Ceo sulla difensiva: i freni di pandemia e guerra sull’M&A

imprese familiari family business coronavirus

I Ceo mondiali, e in particolare italiani, si preparano a un 2022 fatto di scossoni economici e geopolitici. Pronti sulla difensiva, limitano le acquisizioni, concentrando gli investimenti sulle attività che ci sono, non su quelle del futuro. Il 66% degli intervistati per il Ceo outlook survey di Ey dice che, a fronte di pandemia e tensioni geopolitiche, darà priorità a investimenti per consolidare le attività esistenti, per la trasformazione digitale e per la sostenibilità, racconta Marco Daviddi, Strategy & transactions markets leader Europe West di EY.

I dati EY relativi alle acquisizioni dei primi mesi del 2022 sembrano suggerire che ci sia stato un rallentamento in termini di volumi e numero di operazioni rispetto allo stesso periodo del 2021 (-35% in quanto ai volumi e -13% per il numero di operazioni). In sostanza, si può dire che i Ceo si stanno preparando mettendosi sulla difensiva?

Mi sembra una lettura corretta. Mi hanno molto colpito alcuni dati che, peraltro, riguardano principalmente le risposte date dai Ceo italiani. Solo il 18% degli intervistati in Italia ha espresso l’intenzione di dedicare risorse e investimenti allo sviluppo di nuovi servizi, prodotti o modelli di business che possano avere rilevanza e portare ritorni nel prossimo futuro, mentre a questa domanda i CEO a livello global hanno risposto positivamente nel 25% dei casi. Ne emerge un quadro che ben rappresenta il momento cruciale, che implica l’importanza di assumere scelte molto ponderate, in cui i nostri CEO si trovano in questa fase così complessa. Chiaramente c’è una grande focalizzazione sulle esigenze di breve periodo, perciò permane il rischio di perdere capacità d’innovazione e potenziali opportunità future. Occorre un grande equilibrio, visione e, diciamolo, nervi saldi. In questo contesto, la leva trasformativa del M&A mantiene una sua rilevanza, forse con un carattere più opportunistico. Il 44% degli intervistati in Italia, infatti, dichiara di voler perseguire operazioni di investimento nel 2022; questo dato nel 2021 era molto più basso (35%), ma abbiamo visto che l’anno precedente ha raggiunto livelli record, anche grazie alla forte operatività dei fondi di PE. L’intenzione di investimento quindi sembra crescere, seppure i dati dei primi mesi dell’anno in corso effettivamente segnano un leggero rallentamento. L’effetto dirompente sul mercato di shock esogeni, prima la pandemia, soprattutto nella fase del 2020 precedente alla campagna vaccinale, e da marzo 2022 il conflitto nell’Europa orientale, hanno spinto le aziende a posticipare vari processi di acquisizione, in attesa di una normalizzazione dei trend di mercato. Questo effetto di rallentamento dei processi M&A in Italia è stato percepito in questo primo trimestre dell’anno soprattutto dai comparti più penalizzati dall’aumento del prezzo della materie prime e dell’energia, come alcuni comparti della manifattura e dell’agroalimentare, su cui l’impatto dei costi dell’energia e delle commodity sono precipui.

Ci sono altre differenze tra le opinioni espresse dai CEO italiani (e europei) e quelli mondiali?

Le differenze ci sono, non sempre marcate, ma in alcuni casi sono rilevanti. Innanzitutto relativamente agli effetti della pandemia legata al Covid-19, i Ceo Italiani sembrano essere più consapevoli degli impatti a lungo termine. Ad esempio, il 34% degli intervistati italiani ha evidenziato che la pandemia ha di fatto trasformato dalle fondamenta l’industry in cui operano, a fronte di un 21% che ha dato una simile risposta a livello globale. Parallelamente, il 37% degli intervistati a livello globale ha indicato che la pandemia ha avuto e avrà soprattutto effetti a breve termine, mentre una simile risposta è arrivata solo dal 17% dei CEO italiani intervistati. Si tratta di una lettura molto diversa della situazione, da cui emerge una grande consapevolezza da parte dei capi d’azienda del nostro Paese. Al contrario, le percezioni relative alle trasformazioni dei modelli di business innescate dalle tensioni geopolitiche, di recente sfociate in conflitto, sono molto simili: ciò appare assolutamente spiegabile con il fatto che lo scenario appare ancora molto fluido e in evoluzione, pertanto non si è ancora in grado di mettere a fuoco i cambiamenti che l’attuale contesto innescherà.

Cambierà il tipo di acquisizione rispetto allo scorso anno? Che ruolo potrebbe avere l’open innovation? Potrebbe paradossalmente beneficiare di un clima difficile?

Il mercato sta subendo qualche rallentamento, non solo in Italia ma con un trend simile a livello globale. In parte questo fenomeno era atteso, perché il 2021 ha segnato livelli di investimento effettivamente extra-ordinari e già dopo l’estate si era registrata una riduzione di volumi. La fase attuale, poi, caratterizzata da grandi incertezze, ha ulteriormente suggerito, in particolare in alcuni settori, qualche riflessione. Ma in termini di razionali e modalità d’investimento, il mercato si muove in continuità rispetto ai trimestri precedenti, con driver rappresentati dalla necessità di accelerare transizione energetica e innovazione tecnologica. In questo scenario, percorsi e progetti di Open Innovation sono auspicabili, soprattutto per dare risposte concrete e tempestive alle nuove esigenze delle aziende. Ma non bisogna rinunciare a continuare l’investimento sulla ricerca e sviluppo. L’Italia è agli ultimi posti tra i partner europei principali per questa categoria di spesa e per gli investimenti in start-up e scale-up, anche se, fortunatamente, questo trend è in crescita. Come evidenziato dagli ultimi dati raccolti per la pubblicazione dell’EY Venture Capital Barometer 2021, gli investimenti in Venture Capital in Italia nel 2021 hanno raggiunto e superato la soglia del miliardo di euro, toccando i 1.243 milioni di euro (+118% rispetto ai 569 milioni di euro del 2020) con circa 334 deal (rispetto ai 111 dell’anno precedente). I settori foodtech, fintech, energy, proptech, healthcare e life science sono i primi 5 comparti per valore di investimento, rappresentando circa il 75% del capitale investito in startup nel 2021. Inoltre, proprio l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha determinato cambiamenti nei comportamenti di consumo e nei modelli operativi delle aziende, in risposta ai quali molte startup hanno ridefinito il proprio posizionamento e la propria strategia e per questo sono state premiate dal mercato e dagli investitori.

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