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Pa e smart working, cittadini (quasi) soddisfatti

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Bisogna partire da un numero per capire quante persone coinvolga, o possa coinvolgere, il rapporto tra lavoro agile e pubblica amministrazione: nel periodo pandemico in cui lo smart working è diventato spesso necessario, tra maggio 2020 e gennaio 2022, il 40,1% dei cittadini italiani di 18 anni e più (oltre 19 milioni di persone) si è rivolto ad almeno un ufficio della pubblica amministrazione. Come? Secondo l’Istat, il 37,7% dei cittadini si è rivolto alla pubblica amministrazione esclusivamente attraverso uno sportello fisico, mentre il 30,8% solo attraverso lo sportello online. Insomma, i servizi via Web hanno una quota di pubblico rilevante, rispetto agli impiegati allo sportello. Vale allora la pena capire se, dopo il cambiamento storico del lavoro a distanza sbarcato nella Pa, quel pubblico è soddisfatto.

Secondo il report ‘Cittadini e lavoro a distanza nella Pa durante la pandemia’ dell’istituto, tre cittadini su quattro considerano positivo l’impatto che la diffusione del lavoro a distanza negli uffici pubblici ha avuto sull’ambiente e sulla vivibilità delle città, evidenzia l’Istat.

Ma cosa pensano del servizio ricevuto dalla pubblica amministrazione durante il periodo caratterizzato da pandemia e (spesso) da lavoro agile? L’86,9% dei cittadini che hanno usufruito dei servizi della PA ha espresso almeno una volta molta o abbastanza soddisfazione. È invece del 20,5% la percentuale di cittadini insoddisfatti di almeno un servizio ricevuto.

Ma è pari al 64,1% la quota di cittadini per i quali il lavoro a distanza determina ritardi e difficoltà nei rapporti con la Pa. L’Istituto rileva che per più di un cittadino su due il lavoro a distanza non migliora la qualità dei servizi.

Tra chi è rimasto sempre soddisfatto dei servizi ricevuti la quota di quanti ritengono che la diffusione del lavoro a distanza determini ritardi e difficoltà, pur restando maggioritaria (57,7%), è di circa 15 punti percentuali più bassa rispetto a quanti sono invece rimasti sempre insoddisfatti dei servizi ricevuti (72,5%).

Anche per quanto riguarda gli effetti del lavoro a distanza sulla qualità dei servizi offerti emergono chiare differenze. Tra chi è rimasto sempre soddisfatto il 48,9% ritiene che il lavoro a distanza migliori la qualità a fronte di un quinto degli insoddisfatti (21,4%). In maniera analoga avere avuto un’esperienza positiva nel rapporto con la PA induce anche a ritenere positivo l’impatto del lavoro a distanza sulle condizioni di lavoro dei dipendenti della PA: lo pensa il 58,3% dei soddisfatti a fronte del 39,4% degli insoddisfatti.

L’Istat sottolinea che a rivolgersi agli uffici della Pa sono stati soprattutto gli uomini (43,9% contro 36,6% di donne), gli occupati (49,4% a fronte del 31,6% dei non occupati) e le persone più giovani (52,7% tra 18 e 44 anni contro il 20,8% degli ultrasessantaquattrenni). Non emergono differenze territoriali statisticamente significative.

Il 62,7% si è rivolto solo a un ufficio, il 24,3% a due e il restante 13% a tre o più uffici. I cittadini si sono rivolti soprattutto agli uffici comunali: lo ha fatto uno su quattro (23,9%). Il 12,5% si è rivolto all’Inps, una quota di poco minore alle segreterie degli uffici scolastici (10,9%), il 6,5% alle Agenzie delle entrate. Meno numerosi (con valori compresi tra l’1 e il 4%) quanti si sono rivolti agli altri uffici: Inail, Ministeri, uffici della Regione, Sportello unico per le attività produttive (Saup) o Sportello unico per edilizia (Sue) del Comune, rileva ancora l’Istat

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