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Energia: il Canada, la Russia del futuro

canada russia energia

Troppo spesso visti solo come un’estensione degli Usa, durante la crisi dell’energia i cugini del Canada diventano fondamentali. La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio-agosto 2022.

“Volete investire in Canada, o preferite collaborare con la Cina?”. Sembra che la domanda della ministra degli Esteri canadese Mélanie Joly, rivolta ai partner europei del comitato ministeriale misto Ue-Canada, riunitosi a Bruxelles, non sia caduta nel vuoto. L’argomento che l’ha suscitata è stato quello, vitale per il nostro futuro, della sicurezza energetica e degli approvvigionamenti di minerali e materiali critici, punti caldi all’ordine del giorno del comitato presieduto da Joly e da Josep Borrell, l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ha visto anche, fra gli altri, la partecipazione del nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Istituito sei anni fa, nell’ambito dell’accordo di partenariato strategico bilaterale (Aps), il comitato ministeriale misto è lo strumento che ha recentemente permesso di sviluppare importanti sinergie nonché una cooperazione sempre più intensa e proficua tra Ottawa e Bruxelles.

Le due – è bene ricordarlo – sono anche legate istituzionalmente, dal 2017, dall’accordo economico di libero scambio (Ceta), un trattato internazionale ancora in corso di ratifica in Italia e in altri Paesi membri.

Nonostante questo solido quadro istituzionale bilaterale e il grande patrimonio di valori condivisi, gli europei (italiani inclusi) sono storicamente abituati a vedere il Canada, un membro del Commonwealth, come un’estensione degli Usa, una sorta di Paese fotocopia, da sempre legato al potente vicino americano e quasi all’ombra dello stesso.

La guerra in Ucraina ha tuttavia modificato questa percezione, contribuendo a mettere il Paese nordamericano, visto dall’altra sponda dell’Atlantico, sotto un’altra luce: non solo come uno dei partner più stretti e affidabili dell’Ue, ma anche come un alleato strategicamente importante per la sicurezza energetica e per il successo della transizione digitale e green, avviate dall’Europa ben prima dello scoppio delle ostilità. Non a caso, i primi a guardare il Canada con occhio diverso sono stati, in Europa, i Paesi che, come l’Italia, dipendono maggiormente dalle importazioni russe di petrolio e gas.

Tra marzo e aprile, non appena è apparsa evidente la necessità di liberarsi dalle forniture di Putin, a detta del ministro Cingolani “anche per motivi etici”, il titolare del Mite è volato prontamente Oltreoceano per verificare con Usa e Canada la disponibilità a fare arrivare via nave più gas liquido per i nostri rigassificatori.

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Per riuscire a sostituire entro il 2025 tutto il gas russo, l’Italia ha dovuto in realtà trattare con altri cinque paesi incluso l’Azerbaigian (cruciale per raddoppiare la capacità del Tap) la Libia e l’Algeria, mettendo momentaneamente da parte le proprie convinzioni su quanto sarebbe preferibile stabilire accordi e rapporti strategici con Paesi pienamente democratici, che rispettano i diritti umani e le regole dell’ordine multilaterale. Ma il punto critico resta, come ha ripetuto Di Maio al comitato ministeriale di Bruxelles, perché se dobbiamo diversificare le nostre fonti, “meglio rivolgersi ad altre potenze democratiche: Usa e Canada in testa”. Ucraina docet.

Nel breve periodo, quindi, l’obiettivo Ue sarà di incrementare le importazioni di Gnl canadese attraverso investimenti infrastrutturali che sono utili anche alla transizione green visto che nell’Ue e in Italia, non è pensabile convertirsi al rinnovabile senza attraversare una fase intermedia caratterizzata da un graduale passaggio dalle fonti a combustione fossile altamente inquinanti (carbone e petrolio) a quelle meno inquinanti (gas). Ed è proprio per garantire questo passaggio intermedio che il ruolo del Canada diventerebbe cruciale per l’Ue: se sostituire il petrolio russo (il terzo maggiore produttore di oro nero al mondo dopo Usa e Arabia Saudita) sulla carta è più facile, le alternative al gas russo (il 40% di tutto il gas importato dall’Ue, ovvero 155 miliardi di metri cubi di cui 29 importati dalla sola Italia) non sono né facili né rapide. E neppure economiche. Sempre che non si voglia riaprire le centrali di carbone, facendo un sostanziale passo indietro nella transizione. Oppure convincere gli europei a consumare meno energia (ma basterebbe questo?) o investire massicciamente per costruire reattori nucleari di nuova generazione.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio-agosto 2022.

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