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Afganistan: la condizione delle donne diventi una priorità

“Il Corano dice che siamo tutti uguali, e non parla solo delle donne, si riferisce a tutte le minoranze”. Fatima Gailani è stata uno dei 21 negoziatori afgani degli accordi di Doha con i talebani, ed è una delle donne afgane intervenute al ‘Women for Peace: the Afghan challenge. Insights from the Task Force of Afghan women’ la conferenza volta creare una rete di solidarietà a sostegno della partecipazione nel processo di stabilizzazione del Paese delle donne afghane, con ruoli di leadership che proseguono la loro attività nel Paese e nella diaspora.
L’evento è stato ospitato alla Farnesina, e ha visto la partecipazione di diverse componenti della Task-Force istituita dall’antenna italiana di Women In International Security (Wiss), presieduta da Loredana Teodorescu. L’associazione internazionale dedicata alla promozione della leadership e all’avanzamento professionale delle donne nell’ambito della pace e della sicurezza internazionale – con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Il tema Afganistan

‘Bisogna rendere i Talebani responsabili, dal punto di vista politico ed economico’. E’ uno dei temi ricorrenti che emerge dal confronto della task force ospitato alla Farnesina. Dal tavolo di lavoro emerge anche la necessità che i Governi facciano pesare il loro ruolo di sostenitori economici del paese, chiedendo ai Talebani di  essere trasparenti nella gestione, e di restituire identità e dignità alle donne. Ammontano a 2,3 mld di dollari gli aiuti umanitari dati all’Afghanistan, fino al  giugno 2022, dai Paesi occidentali, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Unocha). Un contributo arrivato soprattutto da Stati Uniti, Regno Unito, Banca asiatica di sviluppo, Banca Mondiale.
Soldi destinati alla sicurezza alimentare, a favorire l’istruzione e a garantire la sanità. Ma i fatti raccontano di impegni disattesi. Il popolo afgano deve rientrare nelle priorità delle agende politiche internazionali: due terzi della popolazione afgana ha meno di 25 anni, e deve poter  vivere in sicurezza nel proprio paese, per godere del diritto a lavoro, istruzione.

La condizione delle donne

Sono 16 milioni le donne afgane, e sono state completamente dimenticate, cancellate, dal regime talebano. Non sono state coinvolte nemmeno nelle operazioni di consegna umanitaria, a causa  delle restrizioni introdotte dalle autorità talebane, come il divieto di viaggiare per più di  72 km di distanza dalla loro abitazione,  o di salire a bordo di voli nazionali e internazionali senza un ‘mahram’, un guardiano, che deve essere necessariamente un uomo, parente stretto. Le donne hanno l’obbligo di coprirsi il volto in pubblico e di uscire di casa solo in caso di assoluta necessità. Alle ragazze e alle bambine è stato vietato l’accesso all’istruzione, molte donne sono state licenziate. L’Afganistan vive una condizione di guerra che dura da quasi 40 anni, molte donne sono vedove, e prigioniere delle loro case se non hanno un uomo, un parente, che possa accompagnarle quando escono di casa. Una situazione in rapido e continuo peggioramento.

L’impegno dell’Italia

La sottosegretaria di Stato agli affari esteri e cooperazione internazionale, Maria Tripodi, è intervenuta al dibattito, tracciando un’analisi della situazione afgana e dell’impegno pluriennale diffuso dal nostro Paese a sostegno delle minoranze e della condizione femminile in quel paese. La Tripodi ha fornito elementi di dettaglio, parlando di “crisi economica gravissima, che sta interessando l’Afganistan, con recenti stime di una perdita economica pari a 1mld di dollari, ovvero il 5% del Pil. Questa condizione sta accelerando la crisi umanitaria in cui versa il paese oggi”. La sottosegretaria ha quindi sottolineato l’importanza degli aiuti umanitari, ma soprattutto la spinta per la  “partecipazione egualitaria delle donne a processi di pace e alla vita socio economica di quel paese, che  è una priorità assoluta. Bisogna puntare ad ottenere la partecipazione delle donne nei processi di mediazione” e questa era già stata una priorità per Italia, manifestata con forza durante la presidenza del G20 del 2022. “Ormai cinque anni fa – prosegue la Tripodi – abbiamo lanciato la rete di donne mediatrici del mediterraneo, a dimostrazione del convinto impegno dell’Italia nell’agenda Onu, che si riassume in tre parole: donne, pace, sicurezza”.

Proposte per il futuro

E’ quanto mai necessario lavorare per creare più progetti incentrati sul genere, e lo è fornire sostegno psicologico alle donne  in Afganistan, garantendo la loro sicurezza fisica e prevenendo atti di violenza. Questo è quanto è  emerso con forza dai lavori del primo anno di vita della Task-Force composta da mediatrici di pace, negoziatrici ed esperte di genere e sicurezza. Ma è ancora più fondamentale – sempre secondo le valutazioni delle componenti del gruppo di lavoro – creare attività che consentano alle donne di disporre di un proprio reddito, ed è indispensabile sostenere la cooperazione tra donne in campo politico, sociale, economico e culturale. Ma soprattutto, sarebbe bene che le mediatrici e negoziatrici afghane fossero coinvolte in qualsiasi trattativa riguardante il loro paese.

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