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PayWall e diritto alla privacy monetizzato sul web, l’analisi di Guido Scorza

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Da qualche settimana su molti siti italiani, prevalentemente d’informazione, il classico cookie wall che chiede agli utenti di accettare o rifiutare i “biscottini tecnologici” utili alla navigazione – ma anche di profilazione e analytics –  è stato sostituito da una sorta di pay wall.
Si chiede ora di scegliere se pagare per visualizzare il contenuto web o, in alternativa, di prestare consenso affinché l’editore possa trattare alcuni dati personali, e profilarci attraverso i cookie.

Questo modello, che in Europa è già stato utilizzato da varie testate, come Der Spiegel e Le Monde, crea una chiara valorizzazione economica dei cookies, che consente alla testata web di ottenere un profitto proprio dallo sfruttamento commerciale dei nostri dati.
In Francia la Commission nationale de l’Informatique et des Libertes, l’equivalente del nostro Garante della Privacy, si è espressa a favore di questa pratica, mentre il Garante italiano non ha ancora dato indicazioni in merito, perché da noi l’avvio di questa modalità è molto più recente, ed in fase di valutazione.

Fortune Italia ha intervistato Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, per approfondire il tema, analizzando opportunità e rischi connessi a questo nuovo modello di business.

Per la prima volta, il consenso al trattamento dei dati personali viene presentato come alternativa di pagamento ad un corrispettivo in denaro. Diverse testate italiane propongono i pay wall per consentire l’accesso ai contenuti editoriali, in cosa questo può essere lesivo per la privacy degli utenti?
Il business va alla costante ricerca di nuove fonti di sostentamento rispetto all’abbonamento tradizionale. E del resto più si conosce il proprio lettore o utente, maggiori profitti possono giungere dall’investitore pubblicitario, che potrà profilare la proposta di adv, proponendo l’utilitaria a chi può permettersi l’utilitaria, ad esempio.  Questa dinamica di business ci interessa poco, come autorità di protezione, non è un problema nostro governare il mercato. Dal nostro punto di vista, l’attenzione viene posta sul ‘baratto’, questo modello si basa sullo scambio di una porzione di diritto: quando l’utente accetta di farsi profilare cede parte della sua privacy in cambio di un contenuto, e questo potrebbe creare un problema, perché si tratta di ‘diritti inalienabili’, non vendibili, che non hanno un prezzo.

Guido Scorza
Guido Scorza – componente del Garante per la protezione dei dati personali

 

Quindi la cessione di quel diritto deve essere libera
Si, ed è per questo che dobbiamo domandarci se è di fatto libero il consenso che dò a un editore che mi pone davanti all’alternativa tra accettare o abbonarmi per leggere un contenuto che sino al giorno prima era ad accesso gratuito.
In pratica, mi si dice che se non presto il consenso non posso leggere il contenuto, o come nella più parte dei casi, non lo posso leggere salvo che non perfezioni un contratto di abbonamento. Forse, così facendo, si finisce col restringere troppo la libertà, c’è una sorta di induzione a prestare quel consenso anche se l’utente potrebbe non volerlo fare, ma dal momento in cui è interessato a leggere e, tradizionalmente non è abituato a pagare, finisce con accettare la profilazione.

C’è quindi più di una questione aperta.
Il primo vero problema è di protezione dei dati: quanto resta libero questo consenso se l’utente non ha la percezione di disporre di una reale alternativa? Dal canto suo, l’editore dice: ‘ma io quel contenuto non ho mai inteso regalarlo, per produrlo io sostengo dei costi’.
L’altro problema di cui si sta discutendo è che i dati personali, che sono un diritto fondamentale per come la vediamo noi, diventano merce di scambio, un’alternativa alla moneta. Ma i diritti fondamentali sono inalienabili, non posso vendermi un pezzo del mio diritto al pensiero libero, a esempio. Però è  di fatto quello che sta avvenendo: quella proposizione commerciale suggerisce, brutalizzando molto: scegli tu se pagare in denaro o in privacy.

Come è stata accolto questo tema a livello europeo?
In Europa il nodo non è stato sciolto, questa iniziativa degli editori ha preso tutti in contropiede. Il rischio reale è che questo modello metta a repentaglio il carattere dell’universalità, che è proprio di tutti i diritti fondamentali.
In pratica, chi ha più soldi e non percepisce come un sacrificio eccessivo pagare l’abbonamento ad un giornale, ma magari anche altri servizi digitali, non presta il consenso e non rinuncia alla sua privacy. Chi invece ha meno disponibilità economica e percepisce il pagamento dell’abbonamento come un eccessivo sacrificio economico è quindi è più portato a ‘cedere’ la sua privacy. Questo incrina la tenuta del diritto alla privacy, in un momento in cui è già sotto attacco. A livello internazionale penso alla vicenda al provvedimento del comitato dei garanti europei verso Meta e Facebook, che mette sull’avviso rispetto al fatto che non si possano profilare tutti gli utenti, semplicemente dicendo loro che la profilazione è necessaria ai fini dell’esecuzione del contratto e del funzionamento del social.
Di fatto  è strumentale al modello di business, non a garantire il funzionamento del servizio per gli utenti.

Le testate giornalistiche italiane come hanno avuto “l’intuizione”?
Non parlerei di vera intuizione. Il modello di business di internet è da sempre basato sullo sfruttamento commerciale dei dati personali ma fino ad ora non si era così palesemente chiesto agli utenti di scegliere se pagare in dati personali o in moneta. Ora gli editori hanno fatto emergere una questione con la quale ci confrontavamo già da qualche anno e siamo a un bivio.
Fino a un anno fa, quando approdavamo sulle pagine dei grandi editori, venivamo ‘accolti’ da un popup che ci informava che, scorrendo la pagina o cliccando in un punto qualsiasi di essa, avremmo prestato il consenso all’installazione dei cookie di profilazione. La più parte di noi, naturalmente, lo faceva spinta dalla volontà di leggere il giornale.  Poi abbiamo emanato nuove linee guida, proprio allo scopo di rendere più trasparente  la possibilità di scelta, da parte dell’utente, se prestare o meno il consenso all’installazione dei cookie.
E quando sono state applicate queste nuove regole, una percentuale significativa dei fruitori ha smesso di prestare il consenso all’installazione dei cookie. Gli editori parlano di un crollo dal 30% al 50% dei consensi raccolti.

Quanto vale e quanto dura il consenso concesso per la profilazione?
Se si accede sempre dallo stesso computer, questo registra il cookie che comprova il rilascio del consenso e quella informazione può rimanere archiviata per sei mesi, quindi se riaccedo allo stesso sito dallo stesso pc in realtà non dovrei ricevere nuove richieste di profilazione. Al riguardo decide, comunque, il singolo editore e noi ci siamo limitati a prevedere un termine massimo di durata del consenso prestato dall’utente.

Quali sono, se ci sono, i margini di rischio per le testate che hanno applicato questa procedura?
Ci sono delle istruttorie aperte che qualora venisse accertata la violazione, potrebbero condurre, una volta concluse, a provvedimenti di blocco di questa pratica, e a volte anche sanzioni pecuniarie fino al 2% o al 4% del fatturato dell’anno precedente.

Per gli utenti tutto questo cosa comporta?
Gli utenti ora stanno di fatto consegnando un po’ del proprio sé, delle proprie abitudini e delle proprie preferenze, nella mani di una filiera che comincia con l’editore e poi arriva agli investitori pubblicitari e alle grandi piattaforme. Le informazioni che forniamo online sono relative al modo in cui viviamo, più informazioni personali concediamo nella dimensione digitale, maggiore è il rischio che corriamo di veder compresso il nostro diritto all’autodeterminazione. Chi ti conosce meglio sa come meglio prenderti e portarti dove vuole, che si tratti di scelte di consumo, politiche o culturali. E l’universo di quei ‘terzi’ a cui consentiamo di conoscerci è sempre più ampio, perché i dati circolano, ed il rischio è quello che terzi possano acquisire la capacità di manipolare la nostra libertà di scelta negli ambiti più diversi.

 

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