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Risorse umane, Kimpele (SumUp): “Ecco come è cambiato il mondo del lavoro”

A partire dalla pandemia, il mondo del lavoro è cambiato sia per le imprese sia per le persone. Oggi il concetto di organizzazione arriva prima dei bisogni del singolo e ai lavoratori, sempre più inclusi nei processi aziendali, viene chiesto di interrogarsi sui propri valori e sulle proprie motivazioni. Mentre è sempre più importante per le aziende considerare non solo gli obiettivi finanziari ma anche i bisogni delle loro persone, affrontando le sfide del lavoro a distanza e diventando sempre più inclusive. Ne abbiamo parlato con Lea Kimpele, Head of People Development, People Tech and Analytics di SumUp, azienda specializzata a livello globale nella tecnologia finanziaria, dove si dedica all’empowering delle persone e in particolare alla valorizzazione dei talenti femminili.

Quali pensi siano stati, in questi anni, i principali cambiamenti nel mondo del lavoro?

Credo che, complice la pandemia e gli anni passati in smartworking, oggi sia cambiato il modo di concepire il lavoro: ci si concentra sul concetto di collaborazione, sullo spirito di squadra, sull’allineamento con i valori dell’organizzazione. Penso anche che, dal momento che gran parte del lavoro continua ad avvenire in modo asincrono e che non tutti si trovano fisicamente nello stesso luogo, sia diventato sempre più importante trovare nuovi modi per costruire il senso di appartenenza. Del resto oggi molte persone scelgono un’organizzazione non tanto per lo stipendio, ma per qualcosa di più profondo: il desiderio di sentirsi parte di  una comunità e di avere un impatto positivo sulla stessa e sul mondo.

Qual è il ruolo delle risorse umane oggi?

Le risorse umane hanno il compito di monitorare quanto accade all’esterno e di domandarsi: cosa significa tutto ciò per la nostra organizzazione? Un altro aspetto su cui penso che le risorse umane debbano focalizzarsi è lo sviluppo della leadership, affinché i leader comprendano a pieno il proprio ruolo di “attivatori” all’interno dei team, assicurandosi che ognuno svolga il proprio lavoro e instillando nei collaboratori una visione chiara. É compito delle risorse umane mettere i leader nella condizione di sentirsi motivati e sicuri, così da restituire questo sentimento al loro team. Per farlo, occorre che le risorse umane abbiano la piena comprensione della direzione in cui si muove l’azienda ponendosi domande come: “Per chi sto risolvendo il problema?” o “Qual è l’impatto che ho nel team?”, o, ancora, “Di quali competenze ha bisogno il team?”, “Abbiamo bisogno di assumere più ingegneri? Disponiamo di programmi di sviluppo per ingegneri e fasce salariali che corrispondono alla posizione ricercata?”. Per supportare nel trovare soluzioni, quindi, è necessario che le risorse umane abbiano piena percezione del business e dei problemi aziendali.

Pensi che i dati possano essere di supporto ai leader e alle risorse umane?

Quando si tratta di dati, si aprono moltissime possibilità. Oggi ci sono organizzazioni che guardano ai dati solo per compilare rapporti, per esempio sul numero di dipendenti che hanno lasciato l’azienda, ma, a mio avviso, questo tipo di dati non offre una reale risposta in merito al comportamento degli individui, né è in grado di guidare l’azienda. La domanda da porsi, invece, è: cosa guida la nostra organizzazione? I dati possono aiutarci a rispondere. Attraverso i dati potremo osservare se l’employer branding sta funzionando e se i dipendenti dell’azienda la raccomandano all’esterno diventando parte del processo di recruiting. Possiamo conoscere la valutazione che il team dà al proprio leader (e viceversa), oppure verificare se il tasso di promozione sia salutare, ossia se circa due terzi della squadra venga promosso ogni anno. Immaginando tutti questi indicatori all’interno di un unico sistema in grado di confrontarli, potremmo effettivamente dimostrare che l’azienda ha una leadership che funziona, che i team sono coinvolti e tutti usufruiscono delle stesse opportunità.

Pensi che il mondo del lavoro arriverà a una piena automazione?

L’automazione fa sicuramente risparmiare tempo, ma sono convinta anche che raggiungere questo risultato sia un processo lungo che richieda grande impegno. Sicuramente è utile automatizzare alcuni processi, per esempio la creazione di contenuti, l’accesso al management, all’onboarding e offboarding. Tuttavia, ci sono alcune parti dell’organizzazione che non potranno mai essere automatizzate: capire cosa guida lo sviluppo o qual è la motivazione degli individui, infatti, richiede una conoscenza dei singoli e dei gruppi di lavoro che nessun processo di automazione potrà raggiungere.   

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