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Italiani e cibo: non è solo questione di gusto

Domagoj Vrbos

Intervista a Domagoj Vrbos, responsabile della ricerca sociale dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.

Buono o cattivo, salutare o goloso, familiare o sconosciuto, tradizionale o novità: quanti sono gli aspetti che teniamo in considerazione quando facciamo la spesa? Parliamo di cosa sta dietro alle scelte alimentari degli italiani con Domagoj Vrbos, responsabile della ricerca sociale dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.

Allora, partiamo con le basi: a cosa prestano attenzione i consumatori Italiani quando si parla di scelte alimentari?

Se guardiamo ai fattori che influenzano le decisioni d’ acquisto, i nostri dati svelano che gli italiani danno la priorità alla provenienza degli alimenti tanto quanto alla loro sicurezza. Il gusto viene al secondo posto, seguito dal costo. Rispetto alla media Ue, in Italia la sicurezza alimentare e l’origine sembrano giocare un ruolo maggiore, e questo dato è in linea con la notevole attenzione nei confronti dei prodotti a “chilometro zero”, del “Made in Italy” e di cibi Dop/Doc. La realtà è naturalmente più complessa, questi dati non devono essere considerati singolarmente. Quando facciamo la spesa compriamo un prodotto perché ci piace, perché lo fanno vicino a casa tua, forse perché comporta meno rischi per la salute o anche perché è la cosa che costa di meno. Quando si parla di scelte alimentari e, soprattutto, si fa comunicazione in questo settore, è dunque importante dare spazio sia ad aspetti più legati alla salute o al potere d’acquisto sia ai valori, preferenze o gusti personali, chiamiamolo un mix di dovere e passione.

Sembra quindi che i consumatori a volte prestino meno attenzione alla sicurezza alimentare… 

Ecco questo è un punto interessante: abbiamo chiesto alle persone se non ci pensano perché danno per scontato che il cibo in vendita sia sicuro. In Italia, per più del 40% è proprio così; più o meno la stessa percentuale però pensa che le informazioni sulla sicurezza alimentare siano spesso troppo tecniche o complesse. Sono dati che offrono un ampio spazio sia alla riflessione che all’azione: il primo è decisamente incoraggiante in quanto parla della fiducia nel sistema; il secondo è un buon motivo per sviluppare contenuti accattivanti e di facile comprensione. Ad esempio, tornando al punto di prima, se vogliamo parlare di caffè che piace a tanti, forse possiamo anche ricordare che è meglio non superare 4 espressi al giorno (evitando altre fonti di caffeina). O, se vogliamo promuovere il consumo di frutta e verdura, pensiamo a  quanto sia buono uno smoothie fatto la mattina con frutta e verdura che abbiamo in casa. Insieme alla ricetta, però, inseriamo anche qualche spunto su buone pratiche da seguire; per esempio non frullare verdure crude scongelate. Pensiamo anche alla lettura corretta delle date di scadenza come un mezzo per ridurre gli scarti alimentari. Insomma, ci sono varie possibilità e chi fa il nostro mestiere non può non tenere conto di quanto le scelte alimentari siano un fatto decisamente personale.

Secondo lei, mangiare sano e mangiare sicuro dovrebbero essere la stessa cosa?

Per la maggior parte degli italiani, alimentazione sana e sicurezza alimentare hanno la stessa importanza, ma significati diversi. Questo trend si vede in tutta l’Ue. Se entriamo nei particolari dei dati italiani, consumare maggiori quantità di  frutta e verdura e meno grassi, insieme al consumo di alimenti di produzione locale, sono considerati i componenti più importanti di una dieta sana. Dall’altro lato, le preoccupazioni più comuni sulla sicurezza alimentare riguardano i residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne, le malattie riscontrate negli animali, e gli additivi come coloranti o aromi. Ed ecco che si conferma nuovamente la dimensione ‘locale’ per gli italiani: in effetti è più alta sul podio nel Belpaese che nella media dell’Ue. E lo confermano anche le percezioni dei rischi dove le questioni legate all’agricoltura vengono viste come vicine alle nostre tavole.

Ha menzionato diversi elementi della catena alimentare – piante, animali – è tutto collegato?

Sì – ultimamente si parla sempre più spesso di One Health, un approccio che richiede di prendere in considerazione la salute vegetale, la salute e il benessere degli animali e l’ambiente all’interno delle politiche agricole e di salute pubblica. In Italia lo si sente molto: quasi 9 su 10 riconoscono l’impatto che ambiente e animali possono avere sulla salute umana. Non stupisce che proprio in questo Paese si sia registrato un alto numero di firme a sostegno dell’iniziativa dei Cittadini Europei ‘End the Cage Age’. Terza dopo Germania e Olanda, la cittadinanza italiana che ha partecipato ha chiesto migliori condizioni per gli animali d’allevamento.

Il rapporto guarda anche alle fonti di informazioni sul cibo: allora, qual è il canale migliore da utilizzare quando si parla di questi argomenti?

I dati in tutta l’Ue mostrano che la Tv rimane un’importante fonte di informazione quando si parla di rischi alimentari, probabilmente anche come modo più ‘passivo’ di riceverle . Ma se guardiamo alle fasce di età più giovani, questo cambia: in Italia,  per gli under 40, internet, social media e le interazioni con la famiglia e gli amici si avvicinano alla percentuale della Tv. Se guardiamo solo alla fascia 15-24 anni, Internet sale in pole position: social media, Tv e amici sono al secondo posto. Credo che se si voglia parlare di cibo e si voglia ottenere un certo impatto non si possa oramai non ricorrere a sviluppare contenuti digitali. All’EFSA abbiamo fatto ricerca sociale su un argomento di grande dibattito come gli zuccheri aggiunti. I risultati indicano che è il mix di conoscenze e percezioni che deve dettare le scelte di comunicazione, potrebbe essere un medico come anche un blogger o un influencer il volto più adatto per amplificare i vostri messaggi. Dipende sempre da chi è il vostro target.

Questo è molto interessante: ok il pubblico a cui ci si rivolge, ma da chi sarebbe meglio provenisse il messaggio?

Quando guardiamo a quelli di cui si fidano di più gli italiani quando si tratta di alimentazione sicura, sul podio abbiamo medici, esperti scientifici che lavorano presso organizzazioni pubbliche, così come le organizzazioni che tutelano i consumatori. Agricoltori e produttori primari, Ong e istituzioni nazionali ed europee godono della fiducia di più di 2 consumatori su 3. Curioso anche il dato relativo ai food influencer: in Italia più del 30% dei consumatori li trova un’importante fonte di informazione, una delle percentuali più alte in Ue. Insomma, quando comunichiamo sul cibo o semplicemente ne parliamo, lo facciamo in tutte le sue dimensioni e davvero con tutti. Ricordiamoci sempre che l’equilibrio di punti di vista diversi può dipingere un quadro più completo per (noi) consumatori. Basta bilanciare la passione con il dovere.

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