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Prepariamoci al capitalismo retrò

La ‘everything bubble’ è scoppiata, e i millennial potrebbero non apprezzarne le conseguenze

Vi confesso: è vero, sono un giornalista economico che scrive per Fortune, ma sono anche un millennial – e sono scettico sul capitalismo come il resto della mia generazione. Perché non dovremmo esserlo? Siamo diventati maggiorenni in un sistema economico che ci ha ripetutamente deluso: due recessioni prima di compiere 40 anni (e un’altra in arrivo); una crisi abitativa pluridecennale che sta tenendo molti di noi lontani dal cosiddetto ascensore sociale di cui godevano i nostri genitori; e un disastro ambientale sempre più innegabile con cui fare i conti.

Non c’è da stupirsi che alla mia generazione piaccia lamentarsi di come il ‘tardo capitalismo’ ci abbia forgiato, dal nostro atteggiamento (informale) al luogo di lavoro alle nostre decisioni (rinviate) di pianificazione familiare.

La nostra ambivalenza è così forte che sembriamo aver capovolto la tradizionale tendenza a diventare politicamente più conservatori con l’andare avanti dell’età, secondo una recente analisi del voto negli Stati Uniti e nel Regno Unito fatta da John Burn-Murdoch per il Financial Times.

I meme sul tardo capitalismo che evocano Karl Marx o Slavoj Zizek esprimono la nostra sensazione di vivere gli ultimi giorni di un’era economica di corruzione, che sta collassando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni e, forse, sta cedendo il passo a un nuovo sistema.

L’icona socialista dei millennial, Bernie Sanders, ha contribuito a rendere popolare questa idea durante la sua campagna presidenziale del 2016: “Non è necessario avere una scelta di 23 deodoranti per le ascelle o 18 diverse paia di sneakers quando ci sono bambini che soffrono la fame in questo Paese”, aveva tuonato a un certo punto.

Poi c’è stato il 2022, e ora chi profetizzava la fine imminente del capitalismo ha qualche rospo da ingoiare. Anche in un anno in cui ha impazzato l’inflazione, i mercati hanno tremato e i potenti sono stati trascinati in basso, è diventato chiaro che questo sistema economico non sta per crollare o bruciare permettendo al socialismo di rinascere dalle sue macerie.

Semmai, l’anno passato è stato una conferma, nel bene e nel male, della forza del capitalismo.

Qualcuno direbbe che è già stato superato, e non in senso positivo. Alcuni anni fa un piccolo ma influente gruppo di economisti ha iniziato a sostenere che il capitalismo si stava trasformando in qualcosa di più oscuro, una versione moderna dell’oppressione economica del Medioevo preindustriale.

Il ‘tecno-feudalesimo’, sostenevano, era il sequel distopico del tardo capitalismo, e i millennial – e poi la Generazione Z – ne hanno subito l’impatto più forte. Il centro del potere economico sembrava essersi spostato da Wall Street alla Silicon Valley, e le azioni più attraenti erano quelle delle big techFaang’ (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google, ndr).

I miliardari che controllano queste aziende hanno ampliato i loro imperi in maniera allarmante, rivendicando diritti sul trasporto ferroviario, sulle imprese giornalistiche e sull’industria dell’intrattenimento. E se il dominio economico e culturale della tecnologia avesse corrotto il libero mercato del capitalismo e avesse spinto l’economia da uno stato di progresso a uno di regressione? Se fossimo diventati tutti dei poveri ignoranti con gli iPhone? Mentre nel frattempo, come signori feudali, gli uomini più ricchi del mondo costruivano razzi per lanciare nello Spazio se stessi, i migliori offerenti e William Shatner.

Nella Silicon Valley, i lavoratori sono stati traghettati da autobus aziendali verso campus recintati, dove sono stati nutriti e intrattenuti. E mentre i fedeli vassalli dei signori della tecnologia lavoravano sodo all’interno, altri lavoratori tremavano per il freddo dalla parte sbagliata del fossato. Naturalmente, i capitalisti hanno accumulato fortune scandalose e le hanno gettate in progetti eccentrici e schemi di dominio del mondo per tutto il tempo in cui il sistema economico ha retto. Il Ceo di Tesla, SpaceX e Twitter Elon Musk potrebbe essere una nuova versione di Luigi XIV ma ricorda anche la stravaganza dei magnati del XX secolo, come Howard Hughes.

I contributi dei capitani d’industria dell’epoca d’oro erano più tangibili e più facili da misurare perché ci vendevano acciaio e petrolio, prodotti che potevi trovare sugli scaffali dei supermercati o parcheggiare nel tuo garage, piuttosto che social network o piattaforme informatiche. I baroni della moderna Era del tech hanno cambiato le nostre vite in meglio? Il declino degli standard di vita e la lenta morte della classe media nell’ultima generazione suggeriscono il contrario. Nel frattempo, le arti liberali stanno appassendo mentre i giovani più brillanti si affollano nelle facoltà STEM, indirizzandosi verso attività in cui possono programmare tutto il giorno indossando una felpa. Da Adam Smith a Friedrich Hayek, i più grandi sostenitori dell’economia di libero mercato hanno sottolineato il suo potenziale per liberare l’individuo (anche se un’economia competitiva ha sia vincitori che vinti). Ma in una economia tecno-feudale dove non puoi permetterti l’acquisto di una casa, dove ogni tua mossa online è tracciata e monetizzata, e non hai alcuna possibilità di rinunciare alla sfera digitale, quanto puoi sentirti veramente libero?

Alcuni hanno respinto l’idea che il tecno-feudalesimo fosse qualcosa di più di una forma particolarmente rapace di capitalismo. Ma questo potrebbe essere un punto da discutere perché nel 2022, la gloria dei Re Sole di questa seconda età dorata ha iniziato a svanire. Il tecno-feudalesimo ha perso il suo lustro. L’anno è stato un annus horribilis non solo per i mercati azionari ma anche per il mondo tecnologico. Mark Zuckerberg ha perso 100 mld di dollari in 12 mesi (e 11 mld in un solo giorno) avviandosi verso un clamoroso crollo del 66% del prezzo delle azioni di Meta. Elon Musk, saldo in sella all’inizio dell’anno, ha perso circa 182 mld di dollari, insieme al titolo di uomo più ricco del mondo, dopo aver strapagato Twitter.

Al posto del tecno-feudalesimo, sta emergendo una sorta di capitalismo prosaico e senza razzi spaziali. Chiamiamolo capitalismo retrò. È qualcosa che la mia nostalgica generazione di millennial ha raramente sperimentato. A quanto pare, tutta la ricchezza tecnologica del mondo non è stata all’altezza dei vecchi strumenti del capitalismo tradizionale, in particolare delle banche centrali. Il lungo predominio degli asset rischiosi è stato messo a tacere dal più aggressivo rialzo mondiale dei tassi d’interesse della storia finanziaria. L’indice composito Nasdaq, a forte contenuto tecnologico, è in calo di oltre un terzo dopo un anno massacrante per i titoli del settore.

La fine dell’era del QE (quantitative easing) ha rivelato come il tecno-feudalesimo sia sempre stato una bolla delle banche centrali: i titoli tecnologici sono stati gonfiati da decenni di speculazione sul capitale di rischio che ha dato origine a investimenti ancora più rischiosi, in particolare le criptovalute, che si sono ridotte di oltre due terzi l’anno scorso dopo aver raggiunto un picco di oltre 3.000 mld. L’era del denaro facile è finita, facendo scoppiare quella che la giornalista finanziaria Rana Foroohar ha chiamato “everything bubble”. A questo cambiamento dovrà corrispondere, da parte della mia generazione, un cambio di mentalità. Forse i millennial sono diventati negativi sul capitalismo – e curiosi, se non utopistici, sul socialismo – perché hanno sperimentato soltanto un’economia disfunzionale nel corso della propria vita.

La bolla delle dotcom è scoppiata quando abbiamo preso il diploma liceale all’inizio del millennio e, nel giro di un decennio, la crisi dei mutui subprime ha quasi fatto crollare il sistema finanziario mondiale. A questo è seguita una ‘ripresa senza lavoro’ e quella che Larry Summers ha definito “stagnazione secolare”, annunciando la possibile fine della stessa crescita economica.

Dopo la presidenza Trump e la pandemia, il difficile mercato del lavoro degli anni 2020 ha dato ai millennial più potere contrattuale di quanto non ne abbiano mai avuto prima, ma anche molte criticità derivanti dal recente passato economico. Le catene di approvvigionamento instabili, l’inflazione e le crisi energetiche sono tutti problemi economici decisamente retrò e richiedono soluzioni capitaliste retrò. È presto, ma i maggiori sforzi legislativi del presidente Biden finora hanno fatto riferimento a un programma di lavoro vecchio stile. Insieme al più grande impegno per la ricostruzione di strade e ponti nel corso di una generazione, gli sforzi per invertire decenni di delocalizzazione stanno guadagnando terreno: l’era che ha visto la Cina diventare ‘la fabbrica del mondo’ si sta esaurendo mentre i disordini nelle fabbriche cinesi minacciano gli iPhone di Apple.

‘Nearshoring’ e ‘friendshoring’ crescono, al posto dell’offshoring degli ultimi decenni, e Biden sta facendo tutto il possibile per accelerare questo processo. Lo storico dell’economia Adam Tooze ha recentemente sostenuto che la politica commerciale di Biden potrebbe rappresentare “un profondo cambiamento nel posizionamento del potere degli Usa nei confronti dell’economia mondiale”, una svolta netta rispetto all’ordine commerciale in vigore dal 1990. La Casa Bianca sostiene che la legislazione di Biden sarà la chiave per creare un “atterraggio morbido” per l’economia ed evitare una recessione. Per quanto riguarda i tecno-feudatari, sta già diventando chiaro quanto sarà dolorosa la caduta per coloro che hanno dimenticato la forza del capitalismo.

Massicci licenziamenti stanno sconvolgendo il settore tecnologico. Le Faang stanno perdendo terreno rispetto alle buone vecchie azioni dei settori industriale ed energetico, e agli investitori viene consigliato di tornare alle strategie pre-internet. Era una buona strategia di investimento “comprare azioni tecnologiche e andare in vacanza”, ha detto al mio collega Will Daniel Jon Hirtle, presidente esecutivo di Hirtle Callaghan & Co, una società di Cio in outsourcing, ma “è improbabile che questo valga in futuro”.

“Si scopre che le cose reali e tangibili contano nell’economia moderna proprio come in quella vecchia. A dire il vero, la tensione tra uno stile retrò di capitalismo e la tendenza dell’età dorata del XXI secolo a creare livelli medievali di disparità di ricchezza probabilmente non è stata risolta. L’ascesa dell’intelligenza artificiale è solo all’inizio. I miliardari del tech sono ancora miliardari e le aziende tecnologiche controllano ancora molti aspetti della nostra vita, dalla comunicazione in ufficio agli appuntamenti. È ormai chiaro che gli anni 2020 non sono affatto ‘ruggenti’, ma non sono nemmeno una strada verso la servitù della gleba.

Tuttavia, è un brusco risveglio per i millennial e per chiunque si sia guadagnato da vivere con i settori contigui al tardo capitalismo negli ultimi due decenni. Gli impiegati del settore tecnologico, abituati a raddoppiare il loro stipendio grazie a stock options e premi in equity, dovranno accettare uno standard di vita inferiore (anche se ancora piuttosto confortevole).

E il resto di noi potrebbe doversi accontentare di una o due paia di sneaker, invece di 18. Cosa significa per la politica il fatto che noi millennial invecchiamo? Bene, se il capitalismo retrò funziona, allora qualcos’altro potrebbe seguire: un ritorno al vecchio schema di persone che diventano più conservatrici nel tempo.

Forse se noi millennial vedremo il capitalismo lavorare davvero per noi, per un cambiamento, sceglieremo di investire nel sistema. È così che dovrebbe funzionare, dopo tutto.

 

 

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