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Information Technology al femminile: servono nuovi modelli di riferimento

Le laureate italiane superano i colleghi maschi, 59,4% contro 40,6% nel 2022 . Ma fra queste, solo il 19% ha conseguito una laurea in materie Stem, contro il 40,1% dei ragazzi, e il numero scende ancora se si considerano le lauree in informatica e tecnologie Ict: le laureate sono solo 15,2% (dati Almalaurea).
E con l’occasione della giornata internazionale delle ragazze dell’Ict, istituita dall’Itu – l’istituto delle Nazioni unite specializzato in telecomunicazioni – si torna a parlare di un ‘antico problema’, quello del gap di genere nell’accesso all’innovazione e alle professioni tecnologiche.
Il tema dell’edizione 2023 è Digital Skills for life, a sottolineare la necessità di sviluppare competenze digitali per ridurre il divario nelle professioni Ict. Ne abbiamo parlato con Sonia Montegiove, esperta di informatica e parte della community ‘Women For security’ (Wfs) community di professioniste che operano nel campo della sicurezza informatica in Italia.
La situazione non è confortante nel nostro Paese, secondo la Montegiove: “I dati parlano del 15% delle specialiste che lavorano in information technology, in Europa la media è del 16%, mentre le laureate sono ancora meno. Parliamo di It e non di Stem – science, technology, engineering and mathematics – che è un contesto più ampio e comprende anche alcune specializzazioni in cui le donne sono in prevalenza rispetto agli uomini, vedi medicina o biologia”. Poi se si vanno a vedere i dati relativi ai voti, al numero dei fuoricorso, secondo la ‘conferenza dei Rettori’: “Le donne sono più brave, hanno voti migliori e si laureano nei tempi, ma sono poche”.
C’è fondamentalmente un gap di accesso che, per l’esperta, va attribuito “prevalentemente agli stereotipi di genere, che vedono il mondo dell’It a prevalenza maschile, e riconoscono nel nerd solo l’uomo. Non fa bene l’assenza di ‘role model’ o persone esperte in cui le ragazze possano riconoscersi”.
C’è poi tutta la problematica legata ai ‘manel’, i panel al maschile nei vari congressi e occasioni di confronto pubblico sul tema Information technology: “dove a parlare di innovazione digitale si trovano solo cravatte, pur essendoci figure importanti di specialiste italiane, che potrebbero dare importanti contributi”.
Alcuni esempi? “Mi viene in mente Rita Cucchiara, grande esperta di intelligenza artificiale, Donatella Sciuto, rettrice del PoliMi, Anna Vaccarelli, Dirigente Tecnologo IIT del Cnr, nonché figura di riferimento per Women for Security. Ci sono tante donne anche con ruoli apicali nel campo dell’It e che si occupano di tech, ma hanno scarsa visibilità”. E poi c’è tutto un tema legato all’attrattività delle materie tecnologiche, e alla fatica che le ragazze fanno nell’avvicinarsi a questo mondo che continua a sembrare loro come estraneo. “Con CyberTrials – un programma gratuito per le esperte digitali del futuro, organizzato dal Cybersecurity National Lab – si sperimenta un percorso di gioco e formazione”. Quello della cybersecurity è un settore che richiede figure che vanno formate, che sono difficili da reperire sul mercato del lavoro, e grazie alla leva del game, racconta Sonia Montegiove “facendole giocare, anche le ragazze dei licei classici si appassionano alle materie tecnologiche. Il modo in cui presentiamo le materie è importante, il gaming è molto appassionante anche per le ragazze”, che hanno bisogno di essere guidate alla scoperta di nuove dimensioni didattiche e professionali. ‘Girls in Ict Day’ è una sorta di call to action per ispirare le ragazze a intraprendere una carriera nelle discipline tecniche. Ma bastano questo tipo di iniziative? Non bastano, secondo l’esperta, ma sono necessarie “per far parlare del tema, per ragionare su come colmare il gap, ma molto si dovrebbe fare lavorando sulle famiglie, sull’orientamento scolastico, anche con il coinvolgimento degli uomini, perché lo stereotipo non è a senso unico. Bisognerebbe affrontare queste tematiche anche a scuola, immaginarsi attività di mentorship per le ragazze che cominciano un percorso universitario, o come fa l’università di Modena e Reggio Emilia, organizzare dei camp aperti alle ragazze, gratuiti, in cui loro possono sperimentarsi e capire se l’ambito le appassiona”.
Fino agli 11-12 anni le ragazze sono interessate alle Stem tanto quanto i ragazzi, mentre a 15 anni la percentuale crolla: 5% rispetto al 18% dei ragazzi. “Già a 8/9 anni i bambini cominciano a fare la distinzione fra lavori da maschi e da femmine – avverte l’esperta – però c’è anche qui un tema anche di formazione degli insegnanti della scuola primaria, che dovrebbero presentare le materie scientifiche anche in maniera più coinvolgente. Anche in questo caso, ricorrere al gaming aiuterebbe”. Il tema è molto ampio, culturale, ad esempio bisogna fare attenzione al linguaggio, perché sia più inclusivo: chiamare l’ingegnera al femminile non suona male, è che sono in prevalenza uomini, non siamo abituati a declinare i termini per genere”.
E non è detto, però, che le materie tecnologiche debbano piacere a tutti: “Tutto quello che facciamo dobbiamo farlo con passione – dice la Montegiove – le competenze si allenano col tempo, lo studio, la pratica e l’esercizio. Bisogna dare l’opportunità alle ragazze di venire a contatto con questo mondo, se poi a loro non piace va bene, ma devono capire che volendo c’è anche quella possibilità”. Anche per garantire un maggior accesso al mondo del lavoro, è utile comprendere in che direzione questo si evolve. Di recente la ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha lanciato un allarme: c’è un milione di posti di lavoro da coprire nelle aziende italiane. “E di questi, secondo i dati Arpal, circa il 50% delle aziende è alla ricerca di figure specializzate in It. È tanta roba, un’azienda su due”, fa notare l’informatica. “C’è sicuramente bisogno di figure tech, persone che lavorano nell’informatica. Anche nel mondo della Cyber ci sono stime che dicono che saranno 3mio le offerte di lavoro che non riusciremo a coprire nel prossimo futuro, ma ragionare per allarmi non ci aiuta, dobbiamo ragionare in termini di programmazione”.
Per fare un esempio pratico, “in questo periodo sto facendo una docenza in Cybersecurity in un Istituto tecnico superiore (Its), dove si formano anche dei bravi tecnici, persone che sono in grado di lavorare pur non avendo un percorso universitario. Beh, nel corso ho una ragazza su 33 iscritti, i numeri sono questi, le ragazze pensano che la materia non faccia per loro”. Il lavoro da fare, quindi, è anche culturale. “È quello che stiamo facendo con Women for security: parlare di sicurezza, di accesso ad internet, ma anche presentare le donne che lavorano nel settore. Wfs è nata così, quasi per scherzo, visto che lavoriamo tutte nella Cyber, ci siamo dette, proviamo a capire come aiutare le ragazze ad entrare in questo mondo. Organizziamo diverse attività, eventi, presenza nelle scuole, partecipazione al Clusit – Associazione italiana per la sicurezza informatica – di cui alcune di noi sono membri del direttivo portare voce femminile dove è possibile, e poi vorremmo attivare mentorship o accompagnamento per le ragazze che vorrebbero intraprendere questo percorso. Vorremmo aiutarle a capire che si può essere felici, belle e realizzate anche facendo un lavoro come il nostro”. Anche perché, se è vero che fra dieci anni ci saranno lavori che oggi non sappiamo immaginare, secondo Sonia Montegiove, possiamo dare per scontato che “la competenza più importante sarà quella degli informatici: sapersi trasformare continuamente, cambiare le proprie competenze, studiare sempre senza smettere mai. Gli informatici lavorano in un ambito che è in continua evoluzione, e nel momento in cui smettono di studiare, che è sicuramente la parte più bella, potrebbero anche smettere di lavorare. E questo dovremmo capire noi tutte, che questo tipo di professione ci dà un super potere: avere la mente aperta e gli occhi aperti sulle trasformazioni che avvengono nel mondo intorno a noi”.

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