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Natalità, il valore aggiunto della genitorialità e il modello Bolzano

Cinquecentomila nascite all’anno per salvare il sistema Paese. La terza edizione degli Stati Generali della Natalità è iniziata. E i dati, riferiti al 2022, sono più allarmanti che mai: a fronte di 700mila morti, nell’anno precedente si sono registrate solo 339mila nascite. Nel 2014 erano oltre 500mila.

Rispetto al 2014 i residenti in meno sono 1,5 milioni. Prosegue, dunque, la tendenza alla diminuzione della popolazione, sebbene con un’intensità minore rispetto al biennio 2020 (-6,7%) – 2021 (-3,5%), in cui ha inciso la pandemia di Covid-19.

Gigi De Paolo, presidente della Fondazione della Natalità, è stato chiaro: bisogna assolutamente invertire questa tendenza. “Se non cambia qualcosa, tra qualche anno crollerà tutto. Calo demografico significa squilibrio generazionale e impoverimento delle risorse innovative. In una frase: meno siamo, più invecchiamo e ci impoveriamo”.

Papa Francesco, Gigi de Paolo e la premier Giorgia Meloni durante gli Stati Generali della Natalità. Fonte: Ansa 

Negli ultimi dieci anni la popolazione italiana è diminuita di un milione e mezzo di abitanti. La crisi demografica del nostro Paese – non diversamente rispetto al declino del resto d’Europa – è pesante. E le conseguenze economiche, in un contesto già poco positivo, rischiano di diventare sempre più forti.

Fonte: Eurostat

Secondo uno studio del 2018 condotto da Bankitalia, la decrescita demografica del nostro Paese porterà, da qui al 2061, a una diminuzione del Pil pro capite del 16,2% (rispetto al livello del 2016). Il Pil totale invece si contrarrà del 24,4%.

“Per contenere le conseguenze economiche del calo delle nascite serve aumentare la produttività. Ma l’immigrazione non basta a compensare la perdita di forza lavoro”, aveva dichiarato a maggio scorso il governatore di Bankitalia Ignazio Visco.

Analizzando i dati Istat, tuttavia, emergono alcune considerazioni interessanti.

Inverno demografico, i dati Istat

Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat, ha fornito una panoramica sui futuri trend demografici. Di questo passo, ha sottolineato Blangiardo, “l’Italia conterà 11 milioni di abitanti in meno nei prossimi anni”.

Fonte: Istat

Ma non sarebbe sufficiente raddoppiare le migrazioni per ottenere un’efficace azione di contrasto? Se dai 131mila immigrati netti che si conteggiano annualmente nelle previsioni Istat si passasse ai 252mila annui ipotizzati negli scenari proposti da Eurostat, quali cambiamenti si avrebbero?

La verità è che, come affermato con parole diverse anche dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida – parole che hanno sollevato un po’ di polemica – un maggiore apporto migratorio (entro limiti ragionevolmente compatibili) non basterebbe a invertire la tendenza.

“Meno migranti, più figli”, è stata l’equazione suggerita da Lollobrigida. E in effetti, come si evince dal report Istat, raddoppiando le migrazioni nette si attenuerebbe unicamente la caduta del totale dei residenti (sostenuto dall’apporto dei maggiori flussi di ingresso), mentre il numero di nati non subirebbe alcun aumento significativo. Ecco perché, occorrerebbe anche (e soprattutto) una “iniezione di vitalità” (scrive l’Istat): investire nella vita.

Le ragioni della denatalità e il caso Bolzano

Le ragioni dietro alla curva demografica in calo nel nostro Paese e nei Paesi più sviluppati sono molteplici. Ma le difficoltà nel conciliare maternità e lavoro rappresentano, tra le altre cause, una dei principali motivi di rinvio, che spesso diventa rinuncia, dei progetti riproduttivi delle famiglie italiane.

I dati sui tassi di occupazione – minimi in presenza di figli piccoli e massimi per le donne single – sottolineano come il rischio di allontanamento dal lavoro sia un fattore determinante nello spiegare la domanda di figli insoddisfatta. Ciò si coglie con maggiore evidenza sia per le donne con minore istruzione, sia per quelle che vivono nel Mezzogiorno d’Italia.

Tuttavia, se “riportare la curva in alto” è possibile, prendendo spunto anche dagli esempi di Stati a noi vicini come la Francia (con 1,84 bambini nati per donna, seguita da Repubblica Ceca con 1,83 e Romania con 1,81), modelli virtuosi di città che fanno più figli ci sono anche in Italia.

Il modello Bolzano

Al primo posto, la culla d’Italia è Bolzano. E subito dopo Trento. Ciò non deve stupire: le province autonome godono di una conciliazione tra famiglia e lavoro, bonus bebè, sostegno alle giovani coppie e assistenza all’infanzia maggiori rispetto al resto della Penisola.

Vi sono poi Modena, Reggio nell’Emilia, Brescia e Bergamo. E in fondo alla classifica Cosenza, Isernia, Campobasso, Oristano, Cagliari e Sud Sardegna.

Fonte: Istat

L’obiettivo, comunque, rimane quello della premessa: cinquecentomila nascite all’anno per salvare il sistema Paese. “Dove si riuscisse a portare il numero medio di figli per donna dall’attuale 1,24 a 1,60 nel 2030 si avrebbe modo di raggiungere l’obiettivo di convergenza a mezzo milione di nati nel 2030”, dice l’Istat. “Questi sarebbero i parametri di un Pnrr nel segno di una riconquistata vitalità”.

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