NF24
Cerca
Close this search box.

Sgarbi culturali: Vittorio, poliedrico ‘campione’ della cultura italiana | VIDEO

Vittorio Sgarbi

Sgarbi è un brand di successo che rappresenta due persone, Elisabetta e Vittorio, apparentemente diverse tra loro, con una grande passione in comune: quella per la cultura. Insieme, i due fratelli, contribuiscono in modo significativo alla promozione internazionale e alla diffusione della cultura italiana, diventando punti di riferimento per appassionati e addetti ai lavori. Vittorio, critico e storico dell’arte, saggista, uomo politico, collezionista, è impegnato su più fronti nella sua instancabile ricerca della bellezza.

Vittorio Sgarbi, le faccio una domanda banale, ma non troppo: che cos’è per lei la cultura?

Vi sono varie declinazioni di cultura e meritano tutte rispetto. Nel mio caso la cultura che si è imposta sin da subito è stata quella letteraria. Quando ero ragazzo ero affascinato dalla figura di mia madre, grande letterata, e da tutte le persone che frequentavano casa. Mia sorella ha vissuto le stesse mie esperienze, rimanendo però un po’ in ombra. Ha lavorato duro per essere alla mia altezza. Fino al momento in cui molti anni fa qualcuno le ha chiesto: “Lei è la sorella di Vittorio?”. E lei ha risposto: “No, è Vittorio a essere mio fratello”. Alla fine ci siamo fatti del bene a vicenda, perché mentre io portavo a casa personalità come Montanelli, lei mi presentava tutti quelli che sono diventati gli scrittori della Nave di Teseo.

A scuola si impara soprattutto la ‘tecnica’. Un tempo la tecnica era un mezzo, oggi è il nostro mondo. L’economia domina e il calcolo annichilisce l’emotività delle persone. Come si fa a insegnare ai giovani il gusto del bello e a invitarli a esprimere la loro creatività?

Di creatività ce n’è fin troppa. Se parliamo di una creatività che non si manifesta solo con la natura, l’istinto, la vocazione. Ormai un buon pittore può anche evitare di usare i pennelli e lavorare con il computer, molto più creativo di lui. Occorre però che la sua intelligenza sia più forte dell’intelligenza della macchina.

Come si pone lei rispetto a testi, musica o immagini create dall’intelligenza artificiale? Crede si possa parlare di arte?

Non so se sia arte. Ma tutto quello che esiste, ci mette davanti a qualcosa che possiamo guardare con attenzione e ammirazione. Io ho evidentemente dei limiti della mia generazione, però sono pronto a riconoscere la bellezza di qualcosa fatta con strumenti che non conosco. Penso che la capacità di chi usa con ottimi risultati l’intelligenza artificiale derivi dal suo saperla dominare. Io ho avuto maestri, e un maestro è colui che è degno di essere emulato. Il maestro di oggi può essere un computer? Chi lo sa. In fondo, lo ripeto, i maestri non sono a scuola e se la tecnologia può aiutare a costruire qualcosa di bello va benissimo.

In generale qual è il suo rapporto con l’arte?

Annusarla, toccarla. Come se avessi un rapporto fisico. Quasi sessuale. Le opere d’arte sono come persone, perché contengono un’anima. Sono delle presenze viventi, delle creature. E in quanto creature possiedono anche una parte dell’anima di chi le ha create. Avere davanti un’opera d’arte è entrare in confidenza con qualcuno.

L’Italia possiede il più grande patrimonio culturale e artistico del mondo. Saremo in grado di utilizzare (e bene) i fondi del Pnrr per valorizzarlo?

Sono preoccupato. Le risorse ci sono, ma a volte è meglio fare una cosa buona con pochi soldi piuttosto che una cosa sbagliata con molti soldi. Ci sono monumenti che non sono stati toccati e che sono più vivi di quelli curati da restauri. L’altro giorno parlavo col sindaco di Urbino che mi mostrava la facciata di un palazzo per cui il Pnrr ha speso 4 mln di euro. Il progettista ha voluto un milione per sé. Al restauratore l’operazione è costata 48.000 euro. Non siamo in grado di gestire e controllare correttamente questi fondi. E poi: il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Resilienza è una parola orribile. Un termine di moda come ‘location’.

La spesa pubblica italiana per la cultura in rapporto al Pil è tra le più basse d’Europa. C’è qualcuno che ha detto che con la cultura, o meglio con l’arte, non si mangia. Lei da anni prova a invertire questo racconto superficiale. È cambiato qualcosa negli anni del suo impegno nelle istituzioni?

È un errore di Tremonti, che poi ha negato di averlo detto. Questo magari vale per settori come il cinema, il teatro, attività culturali che senza sostegno non producono. Ma uno scrittore di successo che è bravo produce, vende e mangia eccome. Senza pensare alla cultura legata al turismo. Ho fatto il sindaco in diversi luoghi e quando il turismo si è quadruplicato è avvenuto grazie alla cultura.

In Italia abbiamo direttori stranieri di musei molto importanti. È una conferma dell’universalità dell’arte, un esempio virtuoso di valorizzazione delle competenze o cos’altro?

No. È una forma di provincialismo che il ‘governo Franceschini’ ha voluto per i grandi teatri stabili, per i grandi musei. Tutte cose che altrove non accadono. Oggi lo straniero è atteso e sembra quasi colui che risolverà i nostri problemi. Mi pare una penosa forma di provincialismo.

Lei dice che “l’arte è una diversa percezione del mondo, che anticipa quello che noi saremo”. L’arte italiana del ‘900 o del terzo millennio riesce ancora ad anticipare questa percezione futura del mondo?  

Senza dubbio. Seguendo il passaggio dal ’300 a Masaccio, dal ’500 a Caravaggio, dalla pittura dell’800 ai futuristi, emerge come l’arte indichi una visione del mondo che anticipa quello che accadrà. Bertolt Brecht diceva: “Se vuoi diventare una guida devi dubitare delle guide”. E questo vale per qualunque atto della vita. Per fare la guida devi trovare un’altra strada, e l’arte è essenzialmente questo. Anche oggi un artista originale è qualcuno che indica una strada nuova.

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.