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Cultura, il modello vincente del Maxxi | VIDEO

Intervista all’ex ministro della Cultura Giovanna Melandri: dalla sfida del museo romano a quella di Human Foundation

Giovanna Melandri, ex ministro della Cultura, ha dedicato gran parte della sua attività politica alla promozione e alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese. Impegno e visione hanno sempre animato la sua azione, dalla grande sfida vinta del museo Maxxi, all’attività di Human Foundation volta a promuovere nel mondo il concetto di economia d’impatto.

Il Maxxi di Roma ha contribuito ad avvicinare la gente all’arte. Quale modello ha seguito per raggiungere questo obiettivo?

Il Maxxi è stata una grande sfida di management culturale. Abbiamo lavorato non solo con appassionati ed esperti, ma con tutti i tipi di pubblico, dalle famiglie alle scolaresche. Siamo riusciti a far dialogare arte, scienza e tecnologia, abbattendo i muri disciplinari della creatività contemporanea. Ricordiamo che il Maxxi è Museo Nazionale d’arte, architettura e design. Abbiamo sperimentato un modello di partenariato tra pubblico e privato nel management, che ha fatto più che triplicare la collezione. La collezione è patrimonio pubblico di tutti gli italiani ed è l’anima, il cuore di un grande museo d’arte contemporanea.

Lei è presidente e tra i fondatori di Human Foundation, un’organizzazione no profit che vuole generare soluzioni innovative ai problemi sociali. Quali valori vi hanno ispirato?

Human è il nodo italiano di una rete di istituzioni che hanno lavorato per far crescere nel mondo il concetto dell’economia d’impatto. Investimenti che non guardano solo al rischio e al rendimento ma anche all’impatto generato. Ci sono modelli di valutazione dell’impatto ambientale, sociale e della generatività in termini di parità di genere e parità generazionale. In più di dieci anni Human è cresciuta tantissimo. Facciamo la ‘due diligence’ di impatto per grandi fondi, grandi investitori e grandi aziende ma anche per piccole cooperative sociali, insomma chiunque voglia valutare la dimensione generativa del proprio investimento. Oggi Global Steering Group for Impact Investment risiede in 37 Paesi e io faccio parte del board internazionale.

Nel suo saggio ‘Come ripartire’ lei sostiene che bisogna ricominciare dalla Impact economy e che “non basta una nuova stagione di investimenti keynesiani, bisogna riorientare la spesa e introdurre nel sistema la cura, la misurazione e l’intenzionalità dell’impatto generato”. Che cosa significa?

È un pamphlet che racconta la storia di un movimento diretto alla finanza d’impatto. Parlare di Impact investment e Impact Finance nel 2009 era ostrogoto anche da noi. Adesso sta diventando un tema mainstream. Io da economista ho avuto la grande fortuna di avere un grande maestro come Federico Caffè. Sono keynesiana di formazione. Keynes sosteneva la necessità degli investimenti pubblici, qualunque sia l’obiettivo, va bene anche scavare buche e ricoprirle. Da keynesiana critica dico che non basta scavare buche con i soldi del Pnrr.Gli investimenti devono essere anche generativi di impatto sociale e ambientale.

Si parla tanto di industria culturale. Come conciliare il business con la qualità dell’arte? Insomma come si fa a guadagnare con un Museo? Col Maxxi ci è riuscita?

Io sono stata manager del Maxxi per dieci anni, ma in qualche modo vittima delle mie ‘macchinazioni’ precedenti. Infatti da ministro della Cultura con la legge istitutiva del Maxxi avevo deciso di affidare il Polo nazionale del contemporaneo a una Fondazione di diritto privato. Credo molto a questo modello gestionale. È il modello che gestisce oggi Triennale, Biennale, Maxxi e Museo egizio di Torino, quattro istituzioni che sono decollate perché agili nella gestione finanziaria e del personale. Pensiamo a che cosa potrebbe accadere se gli Uffizi, Pompei, il Museo archeologico di Napoli, Brera e altri fossero affidati a fondazioni di diritto privato. Un museo così gestito non deve fare utili, deve reinvestire, deve avere un bilancio sano, capacità di autofinanziamento che significa biglietti, sponsor, vendita di cataloghi e vendere le mostre nel mondo. Non un business for profit ma un business for papers, come si dice oggi.

In Italia abbiamo direttori stranieri di musei molto importanti. È una conferma dell’universalità dell’arte o un esempio virtuoso di valorizzazione delle competenze?

Il direttore artistico del Maxxi per molti anni è stato Hou Hanru, un direttore di chiara fama internazionale di origini cinesi, francofono perché fuggito dalla Cina dopo Tienanmen, così come ci sono grandi direttori italiani di musei e istituzioni europee o internazionali. Per me non conta tanto la nazionalità, ma la competenza e le persone giuste al posto giusto. La vera riforma sarebbe quella di trasformare alcuni di questi musei in fondazioni e poi selezionare i direttori con competizioni aperte, chiamate, bandi internazionali a cui possono ovviamente partecipare anche i tantissimi direttori e curatori di chiara fama italiani.

Qual è l’importanza del digitale nell’arte e nel design? Avremo musica e arti figurative create dall’intelligenza artificiale?

Già ci sono. Noi nel 2014 abbiamo realizzato una mostra curata da Bartolomeo Pietromarchi che è stata una mostra di di rottura, in cui artisti di tutto il mondo lavoravano fianco a fianco con gli ingegneri informatici. Questa è un’area di ricerca sicuramente molto importante per l’arte contemporanea. Io ho sempre provato a tenere insieme diverse linee di ricerca. La prima è più estetica o spirituale, cioè l’arte ‘poesia’. Infatti l’arte è profondità, ma anche ricerca spirituale. Un’altra è quella che unisce arte, scienza e tecnologia.

Secondo lei chi è oggi l’artista contemporaneo più importante e perché? E il più giovane?

Col Maxxi Bulgari Prize abbiamo fatto un lavoro di scavo di giovani artisti. E da lì sono usciti da Yuri Ancarani a tanti altri giovani artisti. Adesso è in arrivo un progetto che abbiamo messo in cantiere tempo fa dedicato a Enzo Cucchi: finalmente una grande retrospettiva di un grande artista italiano.

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