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Conou, gioco di squadra per una eccellenza europea

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L’Italia, eccellenza europea nella raccolta e rigenerazione degli oli minerali usati (vanta un tasso di rigenerazione superiore al 98% vs una media Ue del 61%) deve sicuramente il suo successo nell’economia circolare (nell’olio usato come in altre filiere di riciclo) al modello Consorzi, varato 39 anni fa proprio con il Conou (il consorzio oli usati). Nato sotto l’egida di un antesignano principio di Epr (responsabilità estesa del produttore) comprende circa 1.000 imprese, per la stragrande maggioranza dedite alla produzione e vendita di lubrificanti. Partecipano al consorzio anche circa 60 imprese di raccolta e due imprese di rigenerazione degli oli usati con tre impianti.

Questa vasta galassia di aziende (diversissime fra loro per taglia, numerosità, grado di centralità del business lubrificanti) concorre in modi diversi alla vita del consorzio. Potremmo paragonare questo complesso sistema a un organismo vivente nel quale le tante imprese che vendono lubrificanti possono essere assimilate alle cellule che gli trasferiscono con continuità l’alimento e l’energia, quelle di raccolta ne costituiscono il sistema circolatorio che pervasivamente raggiunge ogni luogo del Paese (in oltre centomila punti fra officine e fabbriche) e, da ultimo, quelle di rigenerazione ne costituiscono i polmoni dove ha luogo la purificazione finale, mentre il Conou batte come un cuore senza fermarsi.

L’ampio e distribuito sistema circolatorio della raccolta è quello che garantisce al consorzio la possibilità, nonché la certezza, di raggiungere ogni luogo del Paese, dalla grande fabbrica in pianura alla piccola officina meccanica nel villaggio sulla montagna. Il suo punto di forza è il radicamento nel territorio, la dettagliata conoscenza dello stesso e del tessuto produttivo. Ovviamente raggiunge i 100.000 punti per tramite di mezzi di raccolta, condotti da autisti propri che sono ben di più che semplici ‘camionisti’. Essi sono esperti conoscitori della zona, hanno rapporti storici consolidati con i singoli interlocutori, dal meccanico al magazziniere del parco rifiuti della fabbrica. Sono anche dei piccoli laboratori chimici viventi, che con olfatto e vista riescono a cogliere al volo possibili anomalie, contaminazioni o inquinamenti nell’olio usato che vanno ad aspirare con il loro mezzo dedicato.

Le imprese di raccolta del Conou, normalmente familiari, nascono in maggioranza negli anni ’50-’60, con la prima generazione di imprenditori che ha iniziato raccogliendo soltanto olio usato magari con un ‘Ape’ con due fusti sul cassone e hanno proseguito con una seconda generazione (i figli) che sono stati capaci di costruire un’impresa moderna, con un ampio deposito dei rifiuti autorizzato, mezzi moderni e diversificati per la raccolta e il conferimento, personale che da poche unità è diventato di numerose decine e fin sopra il centinaio.

Questa seconda generazione di imprenditori ha ampliato la gamma dei rifiuti gestiti, aggiungendo all’olio i pneumatici, i filtri, le batterie, o anche l’olio vegetale, le emulsioni o i RAEE (i rifiuti di apparecchiature elettriche). Ha anche allargato le proprie attività in termini industriali, inserendo, oltre allo stoccaggio, anche impianti di trattamento, come le centrifughe per separare l’olio dalle emulsioni, gli impianti di triturazione plastiche oppure quelli di trattamento e separazione dei filtri olio motore da cui recuperare, oltre all’olio, anche metalli o altri materiali.

Il consorzio ha operato, in questi 39 anni, sostenendo queste imprese e la loro crescita, non solo con incentivi economici, ma anche favorendo la loro positiva evoluzione sia impiantistica che di organizzazione.

Le regole e i requisiti per accedere alla qualifica di ‘Concessionario Conou’, trasparenti e aperti a tutti, hanno garantito e garantiscono nel tempo un’attenta selezione delle imprese; pur diverse e indipendenti, esse costituiscono un unico team e, pur operando in aperta competizione fra loro sul mercato per la fidelizzazione dei clienti, si muovono in modo coerente ed omogeneo.

Il passaggio generazionale di queste imprese che sono, come detto, in gran parte familiari, è una sfida difficile, spesso coincidente con quello dalla II alla III generazione. Una sfida che mette in discussione le forme, l’evoluzione e le performance future del sistema, in qualche modo la sostenibilità. Esistono testi, in letteratura, che qualificano le varie tipologie di successione dal punto di vista della generazione al momento al potere, la quale può in vario modo cercare di eludere, rimandare o, al contrario, programmare o attuare ex abrupto la successione stessa; oppure che identificano le difficoltà create dalla generazione subentrante, che può approcciare il tema esigendo o confliggendo per salire al potere o, magari, inserendosi in modo naturale e cooperativo.

Preferisco tuttavia guardare al problema esaminando alcune casistiche, di cui abbiamo avuto evidenza a volte anche nella nostra filiera.

Iniziamo con i possibili rischi: L’azienda giunge al momento del passaggio con un gruppo molto ampio di III generazione (tutti nipoti, cugini fra loro) variamente inseriti in azienda. Può accadere che questa compagine proprietaria non trovi l’equilibrio, magari per mancanza di un leader sufficientemente forte nella seconda generazione. Poiché è più facile dividere un capitale finanziario che un capitale industriale e commerciale, l’esito della crisi può essere la cessione dell’impresa, magari a un gruppo forte che voglia integrarsi verticalmente.
L’azienda giunge al passaggio generazionale trovandosi due gruppi familiari (facenti capo, per esempio, a due fratelli di seconda generazione) con opinioni divergenti sulla centralità del business e sul futuro. In questo caso uno dei due, più interessato al business, potrebbe farsi carico di rilevare la quota dell’altro, finendo, in tal modo, per esaurire le risorse da destinare allo sviluppo. Esiste poi il caso di un inserimento complicato del ‘figlio di terza generazione’: la difficoltà non è ovviamente mai dovuta a una parte sola; essa può nascere, per esempio, con un mancato percorso di gavetta che rende difficile per l’emergente acquisire autorevolezza. Ovvero una ‘non volontà’ da parte del padre di rinunciare davvero al suo ruolo (non solo nella forma). Spesso tutto ciò, peraltro, viene addebitato, non di rado a torto, alla incapacità del figlio che paga lo scotto di non essere identico al padre. Ha luogo anche un caso più attuale o meglio, di cui oggi più facilmente si ha contezza a differenza che in passato, che è connesso al tema della parità di genere; può accadere infatti che, nella generazione emergente, si tendano a privilegiare i maschi rispetto alle femmine anche quando attitudini, professionalità e impegno suggeriscono il contrario e ciò può portare al fallimento della desiderata successione maschile a scapito di un potenziale successo di quella , non apprezzata, al femminile.

La verità è che la successione va gestita come un processo critico e strategico, dove l’imprenditore in sella è e deve recitare da primo attore, nonché pianificare nel lungo termine la crescita professionale dell’emergente, la sua idoneità ma anche il suo cammino di progressione in responsabilità. Un paio di fotografie in merito, apparentemente semplici, che propongo come esempi e paradigmi di successo: l’imprenditore di scarsa scolarità che, tuttavia, ha fatto percorrere al figlio una strada di studi elevati, ma ha saputo coniugarli con una pratica di lavoro sul campo formativa (“è ingegnere, ma al mattino va sul camion, così si deve fare”); l’imprenditore leader in famiglia nella sua generazione che via via aumenta in progressione le responsabilità del figlio, facendolo muovere nelle diverse divisioni aziendali, all’insegna, tuttavia, di un principio che ci appare indiscutibile (“io ho avuto la possibilità di fare i miei errori, devo darla anche a lui”).

È pur vero che sono utili anche altre condizioni che possono favorire il percorso successorio: la generazione al potere riuscirà nell’obiettivo più agevolmente se annovera al suo interno un leader riconosciuto ed equanime verso tutti i componenti della famiglia, ma, nel contempo, in grado di far valere la sua esperienza nell’assegnare a ciascuno della generazione emergente il giusto ruolo e incarico e gestendo i possibili conflitti intra-generazionali. Può essere necessario che la generazione al potere esamini in modo professionale e approfondito come suddividere la successione fra i componenti della terza generazione, salvaguardando l’equanimità nella suddivisione patrimoniale (spesso voluta o obbligata), ma garantendo una stabile disomogenea ripartizione del potere, correlata ai ruoli diversi acquisiti dai diversi soggetti. Il processo successorio è forse quello più critico dell’impresa familiare e richiede un’attenta programmazione, a volte analisi professionali degli aspetti tecnico-legali, una continua attenzione al tema, nonché la capacità di fare tesoro dei feedback che via via si ricevono dalla attuazione del programma. Se tutto ciò mancasse o fosse gestito distrattamente, pur sempre auspicando la buona sorte, il processo potrebbe avere un esito negativo sia per le persone che per la sostenibilità dell’impresa.

*Presidente Conou. Anconetano, 68 anni, laureato in ingegneria nel 1978, intraprende una lunga carriera in Eni che lascia nel 2016. Dopo una collaborazione con il WEC Italia, dal 2018 ha ricoperto, con responsabilità su progetti operativi, la carica di Vicepresidente del Conou

 

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