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Corte costituzionale, no al differimento della liquidazione per i dipendenti pubblici

corte costituzionale Job act

No al differimento della liquidazione per i dipendenti pubblici. Firmato Corte Costituzionale. La Consulta ha deciso che “il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (T.F.S.) spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio” contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, “di cui tali prestazioni costituiscono una componente”.

Secondo la Consulta la giusta retribuzione non riguarda solo l’ammontare corrisposto con la liquidazione, ma anche la “tempestività della erogazione”. Il trattamento di fine servizio, in particolare, è “un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana”.

Pochi giorni fa la Uil aveva ricordato in un’analisi come in Italia ci sono “1 milione e 600mila lavoratori pubblici il cui diritto alla liquidazione del Tfs/Tfr è stato e continua ad essere leso contro ogni legittimità costituzionale. Per ottenere l’anticipo della liquidazione, la cui procedura è tra l’altro lenta e dall’esito non scontato, si arriva a pagare più di 2000 euro tra tassi di interesse e commissioni”.

Liquidazione dipendenti pubblici, un “rilevante impatto finanziario”

La Consulta è consapevole del “rilevante impatto finanziario” conseguenza del superamento del differimento. Deve quindi essere il “legislatore” a capire come “individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria”.

La decisione sulla liquidazione dei dipendenti pubblici è contenuta nella sentenza n.130 (redattrice la giudice Maria Rosaria San Giorgio), con cui sono state dichiarate inammissibili le “questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni”.

Sul dl del 2010 aveva sollevato la questione del differimento il Tar del Lazio in riferimento all’art. 36 della Costituzione.

“La discrezionalità del legislatore al riguardo – ha chiarito la Corte – non è temporalmente illimitata”. E non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n.159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame.

La Corte ha poi rilevato che la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio prevede temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati. Comunque, conclude la Corte, tale normativa – che era connessa a esigenze contingenti di consolidamento dei conti pubblici – in quanto combinata con il differimento della prestazione, “finisce per aggravare il rilevato vulnus”.

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