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Atlante geopolitico, Indo-Pacifico: l’alleanza strategica dei nemici-amici Corea del Sud e Giappone

Il vento sta cambiando. Antiche rivalità vengono ora sopite per pura convenienza e poiché, per fortuna, l’inedita congiuntura storica che stiamo vivendo impone oggi soluzioni differenti. Il 17 maggio, per la prima volta dopo 12 anni, il primo ministro giapponese Kishida è atterrato a Seoul. Al suo seguito, una numerosa e motivata delegazione diplomatica. Obiettivo: incontrarsi con il suo omologo sud-Coreano appena eletto, Mr. Yoon, e lavorare insieme affinché possa inaugurarsi una nuova era, una rinnovata stagione di distensione tra i due paesi. Questo riavvicinamento tra le due potenze, orchestrato in silenzio da chi per molto tempo ne è stato il protettore, gli USA, si inserisce all’interno di una chiara strategia difensiva: sganciarsi da una forte dipendenza commerciale con la Cina, i cui interessi sull’intera area dell’Indo-pacifico e su Taiwan impongono una cooperazione rafforzata e creare, al contempo, un fronte unito allineato agli interessi occidentali. Un’eventuale invasione dell’Isola di Formosa e una conseguente militarizzazione del Pacifico imporrebbero a Seoul e a Tokyo di scegliere da quale parte stare. Le mosse fin qui intraprese suggeriscono un avvicinamento all’asse occidentale-statunitense.

L’incontro storico tra i primi ministri segna un cambiamento nelle relazioni bilaterali

Eppure, da 12 anni le relazioni bilaterali tra Giappone e Corea del Sud non sono state delle migliori. Da quando la Corte Suprema coreana emanò, nel 2017, una sentenza storica, ordinando a due aziende giapponesi un risarcimento danni nei confronti di 15 sud-coreani obbligati ai lavori forzati durante la seconda guerra mondiale. Una ferita, quella tra Seoul e Tokyo, che non si è mai rimarginata del tutto dal tempo dell’occupazione giapponese della Penisola coreana, inaugurata nel 1910. Alleato con le potenze dell’Asse, tra le quali la nostra “Italietta” fascista e il Reich hitleriano, il regime nipponico, da un carattere squisitamente nazionalista, imperialista e militarista, si macchiò in Corea del Sud di atroci meschinità.

La dominazione giapponese promosse lo schiavismo come forma di lavoro per soddisfare i propri interessi bellici e industriali. Ma cosa ancor più grave, il Sol Levante cercò di cancellare in tutti modi la cultura coreana e l’identità della Corea stessa come Nazione. I giapponesi imposero il culto scintoista in un paese che era a maggioranza buddhista e cristiana. Cancellarono in tutti i programmi scolastici l’insegnamento della storia e della lingua coreana per poi, infine, bandirla tout-court.

E per non farsi mancare nulla, sfruttando il più possibile una mano d’opera a costo zero, deportarono durante la seconda guerra mondiale più di mezzo milioni di uomini coreani, impiegati nell’esercito giapponese e costretti a combattere una guerra che gli era totalmente estranea. Le donne, le circa 200.000 donne, è bene ricordarlo, vennero arruolate, usando un’espressione coniata al tempo, come “donne di conforto”: stuprate e ridotte in schiavitù sessuale. In Corea, sono ancora in molti a portarsi dietro le cicatrici della brutale dominazione giapponese che capitolò, Dio sia lodato, nel 1945.

Incontro del 21 maggio 2023. Il presidente Usa Joe Biden incontra il premier giapponese Fumio Kishida e il presidente coreano Yoon Suk Yeol

La strategia difensiva per sganciarsi dalla dipendenza commerciale con la Cina

Insomma, non c’è molto da interrogarsi sul perché questi due paesi non vadano d’amore e d’accordo. Tuttavia, oggi qualcosa sta cambiando. Prima di tutto, e scusate il gioco di parole, i primi ministri, a sottolineare come la politica abbia un peso considerevole nelle dinamiche internazionali. Il neo-eletto primo ministro sud-coreano (conservatore), Mr. Yoon, a differenza del suo predecessore di sinistra, persegue un approccio più conciliante nei confronti del vicino nipponico, nonostante le frizioni commerciali intercorse in questi ultimi anni.

Ad ogni modo, a cambiare sono anche gli interessi economici in ballo. È notizia recente che Samsung, gigante coreano del tech, abbia stanziato ben 222 milioni di euro per aprire un nuovo impianto di sviluppo di micro-chip a Yokohama, in Giappone. Da sempre legatissime al Dragone, le aziende tech sud-coreane cercano ora di sganciarsi dalle dipendenze cinesi in materia tecnologica.

L’eredità storica di tensioni tra Giappone e Corea del Sud

La troppa dipendenza è causa di debolezza strategica: lezione imparata dalla guerra in Ucraina e durante il Covid. Quando le catene del valore globali si interrompono, i primi a pagarne le conseguenze sono le grandi aziende. I secondi, naturalmente, noi consumatori. Dunque, diversificare, diversificare, diversificare. Questa è la parola d’ordine. E la Corea del Sud ha deciso di farlo proprio investendo nella sua rivale naturale, Tokyo, sancendo di fatto un riavvicinamento, anche a livello militare, tra le due potenze in chiave anti-cinese. Gli USA stanno, forse, per realizzare il loro sogno: costituire una cooperazione trilaterale difensiva con Giappone e Corea del Sud in caso di guerra a Taiwan come deterrente per stemperare le mire espansionistiche di Pechino sull’intero Indo-Pacifico.

Ecco perché gli USA giocano su due fronti. Da una parte, mirano a rafforzare i legami con Tokyo, da sempre alleata (nonostante la distruzione inflittagli con il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki del ’45… ma questa è un’altra storia). Esercitazioni militari congiunte, aumento della spesa militare: decisioni storiche da parte di uno Stato, come il Giappone, che è stato costretto dai suoi alleati e dalla sua stessa Costituzione a rimanere neutrale e smilitarizzato per mezzo secolo. Sono inoltre stati stanziati corpi di marines americani permanenti presso l’isola di Okinawa e sulla catena delle isole Nansei, collocate in posizione strategica per difendere Taiwan da una probabile invasione cinese. Tokyo è stata inserita, infine, in uno schema di interoperabilità tra le forze armate statunitensi, britanniche e australiane. Mossa molto astuta da parte di Washington.

Nuovi interessi economici e la diversificazione delle dipendenze

Dall’altra parte, gli USA possono considerarsi, solo in parte, poiché ad esserne la causa principale è forse più il contesto storico che altro, fautori di una rinnovata collaborazione tra Tokyo e Seoul. In materia di intelligence, con la condivisione in tempo reale di tutte le informazioni utili. In campo militare, attraverso l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte sempre più frequenti.

Il ruolo degli USA e la risposta di Pechino

La risposta di Pechino non si è fatta attendere. È consapevole che un tale riavvicinamento economico-militare tra i due paesi rischia di alterare gli equilibri dell’intera regione indo-pacifica. E così, utilizza la solita arma a disposizione: il suo incredibile potere economico. Essendo la prima partner commerciale di Seoul, la Cina è convinta di poter esercitare un’influenza sul governo di Mr. Yoon, anche per quanto riguarda i delicatissimi rapporti con la Corea del Nord. Pechino è infatti da sempre garante di sicurezza e stabilità nella penisola coreana e ha subito tenuto a precisare come, qualora venisse oltrepassata una line rossa (basi militari statunitensi sul suolo sud-coreano, iniziative nucleari congiunte tra Tokyo e Seoul, supporto dell’indipendenza di Taiwan) sarebbe pronta a bloccare, o comunque ad ostacolare, l’intero commercio con Seoul.

Svelato, dunque, seguendo questa logica, anche il motivo per cui le grandi aziende coreane come Samsung siano alla ricerca di nuovi sbocchi produttivi che non siano la Cina.

La sfida comune dei cambiamenti climatici

Osserviamo come le pedine nell’area compresa tra i due oceani, indiano e pacifico, si incomincino a posizionare. Testimoni del fatto, e la storia tra Giappone e Corea del Sud ne è un esempio, che quando un nemico più grande si abbatte sulla tua terra, non c’è altra soluzione migliore che quella di allearsi, nonostante i dissapori, le antiche rivalità e il rancore legato al passato. Così, applicando questa logica su scala molto più ampia, e chiedo scusa per questo volo pindarico della mente, il buon senso dovrebbe spingere i governi di tutto il mondo ad allearsi per combattere insieme un nemico ben più grande delle sterili rivendicazioni territoriali e delle manie di dominio sino-occidentali. Sono i cambiamenti climatici a rappresentare la più grande minaccia che la razza umana si trova innanzi. Mi concentrerei su questi aspetti ed investirei denaro non tanto sulle armi, bensì su una sana innovazione tecnologica che possa trovare delle soluzioni efficaci. Cerchiamo, almeno proviamoci, di guardare oltre.

 

 

 

 

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