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Consiglio nazionale dei giovani: se non si interviene giovani in pensione a 74 anni

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Se sei un ragazzo o una ragazza giovane, molto probabilmente penserai alla pensione come ad un miraggio, un concetto amorfo, talmente lontano nel tempo da non dargli un senso concreto, reale. Crescente precarizzazione, discontinuità lavorativa, retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali sono solo alcuni dei problemi che ogni giorno i giovani devono affrontare nel mondo del lavoro. Tutti fattori che, secondo Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani (Cng), rendono “più difficile il loro percorso di ingresso nel mercato, la stabilità contrattuale e i livelli retributivi”. È necessario “un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali, che tenga conto anche delle esigenze delle giovani generazioni”, ha detto la presidente in occasione della presentazione della ricerca ‘Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani’, realizzata dal Cng assieme a Eures.

Per fare un esempio, secondo Cng per i giovani entrati nel mondo del lavoro nel 2020 all’età di 22 anni in Italia si prevede il raggiungimento dell’età pensionabile solo a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei. Non solo. I dati mostrano come nel 2021 più di un lavoratore under 35 su quattro abbia percepito una retribuzione annua inferiore a 5.000€. Nell’arco di dieci anni, tra il 2011 e il 2021, sono diminuiti peraltro i contratti a tempo indeterminato per i giovani, passata dal 70,3% al 60,1% ed è cresciuta l’incidenza dei contratti a tempo determinato e quella dei contratti atipici passata dal 29,6% al 39,8%. Solo nel 2021, i lavoratori under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro, il 40% della retribuzione media complessiva, mentre i lavoratori tra i 25 e i 34 anni hanno ricevuto in media 17.076 euro, il 78% della retribuzione media.

Secondo i calcoli effettuati da Unimpresa sull’ultimo Def, la spesaper le pensioni che era pari a 296,9 miliardi nel 2022 (15,6% del PIL) arriverà a 317,9 miliardi nel 2023 (15,8%), 340,7 miliardi nel 2024 (16,2%), 350,9 miliardi nel 2025 (16,1%) e 361,8 miliardi nel 2026 (16,1%). Per Eurostat si tratta di una delle spese pensionistiche più alte nell’Ue, molto superiore alla media europea del 13,6%. Secondo il rapporto della Ragioneria generale dello Stato, la spesa per le pensioni nel biennio 2023-2024 potrebbe crescere significativamente portandosi addirittura al 16,2% del PIL. Il picco successivo sarà invece toccato nel 2042 al 17%.

Fanno da contraltare le proiezioni sul valore delle pensioni atteso nei prossimi decenni per coloro che oggi hanno meno di 35 anni. Secondo la ricerca di  Cng e Eures se la permanenza si protraesse fino al 2057, determinando così un ritiro quasi a 74 anni (73,6), per i lavoratori dipendenti l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.577 euro lordi mensili (1.099 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale. Per i lavoratori in partita iva l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.

pensione

“Una stima – ha affermato Alessandro Fortuna, Consigliere di Presidenza con delega alle politiche occupazionali e previdenziali – che evidenzia la grave distorsione del sistema pensionistico, così come attualmente definito, che non soltanto proietta nel tempo le diseguaglianze reddituali, rinunciando a qualsivoglia dimensione redistributiva, ma addirittura risulta punitivo verso i lavoratori con redditi più bassi, costretti a permanere nel mercato del lavoro (al di là dell’anzianità contributiva) per tre o addirittura sei anni più a lungo dei loro coetanei con redditi più alti e maggiore stabilità lavorativa”.

“La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ mettono ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico – gli ha fatto eco Pisani – Questa tendenza impone ai cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti”. Secondo l’analisi di Eures la combinazione di discontinuità lavorativa e retribuzioni basse per i lavoratori under 35 determinerà un ritiro dal lavoro solo per vecchiaia, con importi pensionistici prossimi a quello di un assegno sociale. Una situazione che sarà socialmente insostenibile.

Proprio lo scorso 11 luglio si è tenuto al ministero del Lavoro il primo incontro tecnico tra l’Osservatorio sulla spesa previdenziale e le parti sociali per discutere della pensione di garanzia per i giovani. Una misura fortemente rivendicata dal Consiglio nazionale dei giovani che chiede vengano previsti strumenti di sostegno e copertura al monte contributivo per i periodi di formazione, discontinuità e fragilità salariale dei giovani. “Interventi cui dovranno accompagnarsi, se non si vuole ignorare il rischio di povertà cui sono esposte intere generazioni, modifiche strutturali che consentano un acceso stabile e di qualità nel mercato del lavoro restituendo, peraltro, sostenibilità a un modello previdenziale a scambio generazionale”, ha detto Fortuna.

“Abbiamo bisogno di un dibattito nazionale più aperto e inclusivo sulle pensioni – ha concluso Pisani – È una questione di giustizia intergenerazionale e di sostenibilità del nostro sistema sociale”.

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