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Blue economy: il soft power dell’Italia

Si chiama Blue Economy, si legge economia del mare e rappresenta un asset economico di rilievo. Vale infatti quasi il 12% del Pil europeo e circa il 9% di quello italiano, mentre si stima che influisca per l’85-90% sui volumi degli scambi commerciali nel mondo.  Interessante anche la prospettiva di crescita del settore, pari al 3,1% nel 2024 (dati Intesa Sanpaolo).

Italia leader nel Mediterraneo

L’Italia potrebbe imporsi come leader nel settore della Blue Economy. Ne è convinto Fabio Trincardi, direttore del dipartimento Scienze e sistema terra e tecnologie per l’ambiente del Centro nazionale di ricerche (Cnr), che abbiamo raggiunto telefonicamente per commentare il tema, alla luce del nuovo report presentato da Minsait – una società di Indra – insieme alla Fondazione europea per l’innovazione e l’applicazione della tecnologia (Intec): il Rapporto Blue Economy e Blue Growth 2023, che include le tecnologie più importanti per la conservazione dell’ambiente marittimo, nonché le ultime tendenze per la promozione di questo settore in Europa.

Secondo Trincardi l’Italia deve recuperare un ritardo rispetto a Paesi che hanno avviato strategie sul mare già da decenni. “L’Italia ha comunque modo di recuperare il gap,  le nostre componenti economiche e scientifiche possono creare delle sinergie, tracciare una blue italian growth, per diventare leader sicuramente nel Mediterraneo”. Le partite in gioco sono due, spiega l’esperto: “La mediterranea e l’oceanica, oltre le acque di giurisdizione. C’è un tratto di oceano che è terra di nessuno, si trova ad oltre 200 miglia dalle linee costiere dei Paesi. Non ce ne sono quindi nel Mediterraneo, ma i Paesi che si affacciano sugli oceani hanno come zona economica esclusiva le prime 200 miglia, ed il resto dell’area resta terra di nessuno, ovvero luogo aperto su cui anche l’Italia dovrebbe cominciare ad investire”.

Fabio Trincardi – direttore del dipartimento Scienze e sistema terra e tecnologie per l’ambiente del Cnr

Lo studio degli oceani

In questa direzione va l’investimento fatto dal Cnr per acquisire una nave oceanografica, l’unica in Italia. “Si chiama Gaia Blu ed è al servizio della collettività” dice Trincardi. Una nave oceanografica consente  di tracciare assessment della qualità degli ecosistemi marini profondi, “scoprire nuove specie e nuovi ecosistemi, mettere a fuoco meglio la conoscenza della pericolosità dei fattori geologici del Mediterraneo. Ad esempio il vulcano sommerso Marsili, che si trova al centro del Tirreno, è alto come l’Etna ed è attivo e causa spesso sono terremoti sottomarini e frane, e questo la nave sarà in grado di studiarlo, permettendo anche di effettuare studi propedeutici alla pesca. E poi c’è l’oceanografia fisica, che serve a capire quando si scalda l’oceano, se le correnti di acque fredde continueranno a formarsi. Tutto questo la Gaia Blu consentirà di studiarlo in modo sinottico”.

Un tema sono i mezzi a disposizione della ricerca, ma dall’altro canto bisogna considerare le novità tecnologiche, ad esempio la robotica sottomarina. E’ necessario avviare lo scambio fra mondo della ricerca e dell’industria, affinché si possa creare un concreto processo di sviluppo della Blue Economy nel nostro Paese. “Parliamo appunto di economia blu, e non di crescita”, mette in guarda lo studioso, “per non ripetere l’errore commesso sulla terra ferma: il Pianeta non può crescere all’infinito. Può esserci un’economia intelligente in continua espansione, ma non la crescita, che è transitoria. Intanto la parola blue deve diventare sinonimo di circolare, non deve essere basata su petrolio e gas come è stato in terra per tanto tempo”.

Gaia Blu, la nave oceanografica del Cnr

Lo dice l’Europa

L’Europa si è dimostrata molto sensibile al tema, e nell’ambito dell’attuale accordo quadro ‘Horizon Europe’ sono previste 42 partnership. All’Italia è stato assegnato il coordinamento sulla Blue Economy, un modo per far lavorare insieme paesi diversi ma anche ricerca e industria. “Questo ci consente di indirizzare la ricerca in economia del mare a livello europeo, e non solo  italiano o mediterraneo – sottolinea Trincardi – una grande occasione per nostro paese per cui sia industria che politica dovrebbero fare leva, occasione per dare temi prioritari, indicare problemi del mare”.

Il parere di Gentiloni

La blue economy rappresenta anche un ‘soft power’ che l’Italia deve cominciare ad esercitare, in vista della prossima  COP28, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a novembre a Dubai. Lo ha dichiarato il Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, Paolo Gentiloni nel messaggio inviato alla Quarta Soft Power Conference di Venezia. Gentiloni ha poi aggiunto “In Europa, più di 10 milioni di persone sono impiegate nella blue economy e nel settore agricolo. Insieme, contribuiscono all’economia europea per circa 400 miliardi di euro di valore aggiunto lordo. Quindi, c’è una dimensione economica significativa e una dimensione di sicurezza idrica. Negli ultimi anni, l’Europa ha intrapreso azioni di vasta portata per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici. Il Green Deal europeo è anche un blue deal e assieme rappresentano un’opportunità per creare nuovi posti di lavoro e una migliore qualità della vita”.

Paolo Gentiloni – Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari

L’impegno italiano

Bisogna progettare un futuro che sia svincolato dai combustibili fossili. “La Blue economy deve essere basata su una economia carbon free. L’oceano – riprende Trincardi – offre beni e risorse biologiche che possiamo andare a cercare, come i pesci, ma anche le sabbie utilizzate per contrastare l’erosione delle spiagge. Ma ci sono anche i noduli polimetallici, che si trovano sul fondale marino, come anche il litio, il cadmio, tutti elementi  preziosi che ci servono anche per le macchine elettriche, ma che non sono rinnovabili, ed il cui sfruttamento dovrebbe essere ragionato e programmatico”.

Economia blu e sostenibile

Lo studioso lancia l’allarme anche rispetto al fatto che “il mare si sta trasformando, per errori che abbiamo fatto in economia di terra. Per esempio l’agricoltura intensiva che scarica a mare quantità importanti di fosforo e azoto. Anche il fitoplancton si sta riducendo e, come la foresta amazzonica, è un grande produttore di ossigeno e bisogna che sia in salute. L’oceano è un nostro alleato ma si sta danneggiando: l’acidificazione è aumentata, e se il processo non si inverte ci saranno molluschi e conchiglie che non avranno più le condizione per produrre i loro gusci e gli esoscheletri”.

La Blue Economy comprende anche settori come il turismo costiero e marittimo. Pertanto, una delle chiavi di questa economia è la pesca sostenibile: è necessario incoraggiare modelli di gestione responsabile che garantiscano la conservazione degli stock ittici e la loro riproduzione, grazie a misure come quote e taglie minime di cattura o aree protette per consentire il salvataggio delle specie a rischio.

Innovazione e AI

L’innovazione tecnologica è anche la capacità di gestire e razionalizzare enormi quantità di dati, e nel caso del mare e degli oceani l’utilizzo di AI può consentire di produrre dei report che contemplino e analizzino tutti i dati disponibili, per facilitare le decisioni rispetto a questo ecosistema di cui ancora conosciamo poco, ma che stiamo influenzando eccessivamente. “L’oceano è un sistema complesso, componente biologica e ambiotica che dialogano, si producono tanti dati sull’oceano e sul suo uso, sul traffico, una globalità di dati che nessun singolo ente riesce a gestire senza intelligenza artificiale – chiarisce l’esperto –  bisogna fare in modo che questi dati siano open, fruibili, e questo richiede una grande innovazione tecnologica, perché chi decide lo faccia alla luce di tutte le informazioni disponibili”. Il mare è un grande bene comune, appartiene all’umanità, è gestito però da pochi e spesso sulla base dell’interesse immediato.

La pesca sostenibile

La pesca è fondamentale, per ridurre l’impatto che abbiamo sugli animali, abbiamo frantumato la biodiversità terrestre, oggi solo il 3% dei mammiferi è rappresentato da specie selvatiche, il 66% sono le specie che alleviamo. “Spostarci sulle proteine che nascono dal mare è giusto ma deve essere fatto bene – ricorda l’esperto – la pesca deve tenere conto della complessità del sistema, adattarsi a stagioni ed eventi, e impattare meno sui fondali: anche l’Italia deve vietare la pesca a strascico e arrivare all’eliminazione della pesca fantasma, effettuata dalle strumentazioni incagliate o gettate sul fondale, attaccate a rocce continuano ad uccidere il 10-20% dei pesci pescati, risorse che perdiamo oltre che danneggiare l’ecosistema. Una soluzione intelligente può essere l’acquacultura, ma di pesci non carnivori”.

Cambiamento climatico ed eventi estremi

Il Climate change incide e inciderà sempre di più sulle sorti della blue economy. l’aumentare delle temperature porta ad un aumento del  7% di umidità dell’aria. “E’ caldo che si accumula, questo porta alle bombe d’acqua. Di fatto non ci sarebbero problemi se non piovesse su luoghi antropizzati, ma questi eventi estremi sono una roulette russa”, aggiunge il ricercatore.

In mare la situazione non cambia: “Abbiamo sempre più gente che lavora in mare. Quando le strutture vengono sviluppate, si tiene conto della cosidetta ‘onda di progettazione'”, con un impatto che è analogo all’onda massima stimata in un’area, “ma se il cambiamento climatico provoca onde alte il doppio, potremmo avere piattaforme o navi sotto dimensionate, e questo può tradursi in un danno economico o in perdita di vite umane”.

C’è bisogno di visione di scenario per fare le prossime scelte“, conclude  Trincardi.

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