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Venezia 80, Biennale College Cinema, una fucina di talenti

Il progetto Biennale College si è ormai fatto un nome e costruito una sua identità, dopo essere stato lanciato undici anni fa dalla Mostra del cinema di Venezia per dotarsi di un “lab” interno come ormai è prassi nel circuito festivaliero globale. È un modo di sponsorizzare, formare e guidare le voci autoriali di domani (solitamente formate da team di registi e produttori), raccolte attorno al brand veneziano in un rapporto che tutti si augurano essere il più duraturo possibile.

Il rituale che si ripete ogni anno prevede la selezione delle migliori idee tra le tante domande presentate, le quali vengono finanziate con 200.000 euro di budget, girate e poi presentate nell’edizione successiva del festival, a ideale completamento di un percorso che aiuta nell’esperienza pratica del fare cinema e della diffusione verso un pubblico tanto di appassionati quanto di addetti ai lavori.

Nel suo decennio di vita il progetto si è arricchito poi con la sezione di realtà virtuale, e ha prodotto nel complesso 83 opere provenienti da ogni continente e da 48 paesi. Viene accompagnato da panel e discussioni che ogni anno si avvalgono della partecipazione di importanti critici e storici del cinema (Peter Cowie ne è stato a lungo il volto organizzativo, e assieme a lui voci come quella di Stephanie Zacharek e Glenn Kenny). Tra i film che sono stati parte di Biennale College in questo decennio, si ricordano tra  quelli di maggior successo This Is Not a Burial, It’s a Resurrection di Jeremiah Mosese (nella foto in evidenza), opera del Lesotho che fu nominata agli Oscar nella categoria Miglior film internazionale. Oppure nel 2021 Our Father, The Devil della regista di origine camerunense Ellie Foumbi,  nominato agli Spirit Awards. E ancora The Fits, uno dei primi successi del programma che poi portò la regista Anna Rose Holmer (nella foto qui sotto) al Sundance.

Molti di questi film sono stati visti dal pubblico italiano grazie alla Sala Web della Mostra del Cinema, in collaborazione con MYmovies, che durante l’evento rende disponibili in contemporanea streaming una selezione dei film delle varie sezioni. Non hanno fatto eccezione i prodotti più recenti, dell’annata 2022, che hanno visto un’opera italiana, Come le tartarughe di Monica Dugo, di fianco a film che
indagano il contemporaneo come Banu di Tahmina Rafaella, che in Azerbaigian racconta una piccola storia privata sullo sfondo del conflitto con l’Armenia. Tutti titoli che rimangono fedeli all’idea iniziale, quella di cercare nella fascia realizzativa del microbudget il respiro globale del cinema di oggi.

Monica Dugo al Giffoni Film Festival 2023

Nelle parole del direttore Alberto Barbera, nel saggio contenuto in un volume celebrativo del decennale di Biennale College, fondamentale è sempre stato il risultato concreto della realizzazione: “un percorso che contemplasse non solo lo sviluppo di sceneggiature e le modalità di accesso al mercato, ma una vera e propria attività di produzione di opere prime e seconde.”

Oltre a guardare indietro a quanto fatto finora, la macchina Biennale College si appresta naturalmente a vedere i frutti dell’infornata 2023.
Tra coloro che faranno il loro esordio al Lido durante l’ottantesima Mostra del cinema ci sarà anche stavolta una partecipazione italiana, quella di L’anno dell’uovo, opera prima di Claudio Casale (già apprezzato regista di corti e documentari) con l’aiuto della produttrice Francesca Vargiu. A fargli compagnia ci saranno per l’Ungheria Árni di Dorka Vermes, e per il Messico Lumbrensueño di José Pablo Escamilla.

Venice Immersive, il cinema e i linguaggi del futuro

Nell’ambito di una Mostra del cinema di Venezia che nel lungo regno Barbera si è ben posizionata sul mercato e sul rapporto con le majors americane, trovando un grande prestigio internazionale, c’è un ottimo risultato di cui si parla meno: quello dello sviluppo della sezione
dedicata alla realtà virtuale, che negli anni si è forgiata attraverso una piena concezione artistico-competitiva ed è diventata un riferimento per la nascente industria dei contenuti “extended reality”.

Il 2023 vede la conferma di Venice Immersive, l’ultima configurazione di un progetto che ha più volte mutato forma, che si è prima espanso e poi contratto a causa della pandemia, e che ora torna a essere un fiore all’occhiello del Lido, anzi dell’isola del Lazzaretto Vecchio che da sempre fa da suggestiva cornice alle attività cosiddette XR, per andare oltre perfino l’idea di VR.

The Venice Virtual Reality all’isola del Lazzaretto Vecchio durante la 74ma edizione della-Mostra Internazionale del Cinema (2017)

Sezione competitiva, con 28 progetti selezionati da tutto il mondo, ma anche una vetrina/hub in cui si vedranno installazioni e performance dal vivo, grazie a piattaforme tech che cercano di abbracciare la produzione di contenuti in modo più ampio possibile.

Oltre al concorso principale c’è anche il gruppo di film VR di Biennale College, una serie di presentazioni fuori concorso a fare da showcase per il meglio della produzione globale, e 24 visite guidate immersive per il progetto Worlds Gallery, create da artisti indipendenti.

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