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Atlante Geopolitico, Tunisia: spunti per una rapida e sana gestione dei flussi migratori

“Un piano criminale per trasformare la Tunisia in un paese africano e non un membro del mondo arabo-islamico: è il momento di mettere fine a tutto questo”. Sono parole forti, lapidarie. Mette i brividi pensare che a pronunciarle sia stato Kais Saied, Presidente della Repubblica Tunisina. Da tempo conduce un’opera di distrazione di massa ponendo l’attenzione su una presunta invasione migratoria (non si discosta dai toni utilizzati spesso anche nel nostro paese).

Una crisi economica e un razzismo dilagante che, altro non fanno, che aumentare esponenzialmente il numero degli sbarchi registrati nel nostro paese dall’inizio del 2023: quasi 126.000 (in tutto il 2022 sono stati meno della metà, 48.000). Una pressione senza precedenti sul punto di primo approdo: la meravigliosa isola di Lampedusa. Il suo centro di accoglienza è continuamente al collasso.

La guardia costiera italiana porta avanti, giorno dopo giorno, un lavoro instancabile. E a scappare dalla Tunisia, imbarcandosi dalle coste di Sfax, non sono solo migranti sub-sahariani, in particolare dalla Costa d’Avorio e dalla Guinea, ma soprattutto giovani tunisini, anche molto istruiti, bramosi di fuggire da un paese che non gli garantisce un futuro libero, democratico ma soprattutto lavorativo. Sono sempre di più ad accalcarsi, stremati, sulle coste tunisine, in cerca del primo trafficante che possa traghettarli verso una vita migliore.

Ecco perché l’Italia è in prima linea. Diverse e costanti sono le interlocuzioni tra Roma e Tunisi la quale decide oggi di chiudere le sue porte alle delegazioni straniere. L’Italia, tuttavia, continua ad insistere. Si tratta di una questione assolutamente prioritaria per il governo, di vita o di morte. Per Roma ma non solo. Molti dei paesi nord-europei temono i cosiddetti “movimenti secondari”, ovvero lo spostamento in massa dei migranti dal paese di primo approdo agli altri dagli sbocchi lavorativi più interessanti.

E, scendendo più nel concreto, tre sono stati i protagonisti di questo processo di lobbying a livello internazionale che, ad oggi, possiamo dichiarare fallito: Giorgia Meloni, la Presidente illustrissima, Mark Rutte, Presidente dimissionario dei Paesi Bassi e il capo dell’Esecutivo europeo, Ursula von Der Leyen. I tre si sono recati alla corte di Saied con lusinghe e affabulazioni per cercare di strappare un accordo. E così è accaduto.

A luglio è stato siglato un Memorandum tra Unione Europea (maggior partner commerciale del paese) e Tunisi per il quale sono stati messi sul piatto 100 milioni di euro necessari a supportare il governo in un controllo più efficiente e serrato dei confini, in particolare delle coste. Denari europei vincolati, tuttavia, all’approvazione di tutti e 27 gli Stati membri che, purtroppo, ad oggi ancora non c’è stata. L’obiettivo è intercettare alla radice i barconi della morte e riportarli a terra, bloccando nei limiti del possibile le partenze. Roma si è anche spesa, a livello internazionale, per garantire alla Tunisia il prestito da 1,9 miliardi offerto dal FMI, con una proposta: devolverlo in due tranche attraverso una graduale implementazione, successiva all’erogazione del finanziamento, delle riforme tanto temute da Saied.

L’UE ha anche rilanciato un piano da 900 milioni di euro vincolati, però, all’esborso del prestito da 1,9 miliardi. E dunque? Un nulla di fatto. Nei termini degli accordi c’è chiaramente ben altro: alleanze commerciali, con un occhio di riguardo alla nascente industria delle rinnovabili del paese. Un do ut des continuo e un copione già letto e riletto. Pensiamoci. Era il 2016, e i governi europei, in prima linea la Germania, stipularono un accordo con la Turchia affinché si tenesse parte dei migranti provenienti dalle rotte est. L’accordo era però di ben altra entità: 6 miliardi contro i 100 milioni attuali non ancora pervenuti nelle casse dello Stato.

The Prime Minister Giorgia Meloni and the President of Tunisia Kais Saied during the International Conference on Development and Migration at the Farnesina, Rome, 23 July 2023. ANSA/ANGELO CARCONI

E dunque, anche stavolta si paga l’autocrate di turno per bloccare le partenze. Si approccia alla questione prettamente da un punto vista emergenziale, tappando dove si può i buchi. Un modus operandi deleterio. Ne siamo oramai ben consapevoli. Saied non sarà eterno. Non sarà lui a bloccare i suoi stessi connazionali dalla ricerca di un futuro migliore in Europa, visti i chiari di luna delle sue ricette politiche.

È particolare osservare, inoltre, come in Italia i toni sul fronte immigrazione sembrino inspiegabilmente acquietarsi. Ma come? Proprio ora che si registrano sbarchi da record? I cori, le urla anti-migranti sono sempre meno frequenti proprio da parte di chi, sulla pelle di persone innocenti, ha fondato intere campagne elettorali, polarizzando il dibattito e fomentando l’odio. Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle infrastrutture, dall’opposizione – ma anche nel governo di cui lo stesso faceva parte – era solito postare nel 2020 due tweet al giorno sul tema.

Oggi, udite udite, solamente 6 dall’inizio dell’anno. I governanti di turno si rendono conto che non basta ululare ai quattro venti “chiudiamo i porti”, i flussi non si fermano con i proclami. Anzi, saranno sempre più sostenuti. La questione va gestita, in Europa come con i governi dei paesi d’origine. Ma non basta neanche ripetere come un mantra “aiutiamoli a casa loro”, poiché è vero, senza dubbio sarà fondamentale, tuttavia questo è un processo che richiede tempo, una soluzione poco credibile per il qui ed ora.

epa10750343 A handout photo made available by the Tunisia Presidency’s press service shows (L-R) Dutch Prime Minister Mark Rutte, European Commission President Ursula von der Leyen, Tunisia’s President Kais Saied, and Italian Prime Minister Giorgia Meloni during a press conference after the signing of a ‘strategic partnership’ agreement between Tunisia and the EU at the presidential palace in Carthage, Tunis, Tunisia, 16 July 2023. European leaders are in Tunisia for a meeting on a proposed migration deal between the European Union (EU) and Tunisia. EPA/TUNISIA PRESIDENCY / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Occorre, piuttosto, delineare strategie di breve, medio e lungo periodo. Nell’immediato, la questione è una: alleggerire la pressione sugli hotspot di primo approdo. Bisogna rafforzare i presidi della guardia costiera italiana e ricostituirne una europea tutelando, al contempo, il lavoro delle ONG che salvano vite in mare. Sarebbe ideale, ma non so quanto applicabile, limitare per quanto possibile l’immigrazione clandestina, aprendo nuove e più numerose vie legali per l’accesso in Europa.

Occorrono più navi, italiane ed europee, al servizio dell’hotspot di Lampedusa per smaltire continuamente il centro di accoglienza, preparandolo a nuovi arrivi. I migranti, dopo un conteggio totale, dovrebbero essere poi smistati, con tutti i mezzi a disposizione in dote dall’Unione Europea (navi, aerei, pullman), nelle diverse regioni italiane. A questo punto, una volta registrati, schedati e inseriti in un sistema di tracciamento europeo, dopo averne attentamente valutato le richiesta d’asilo, andrebbero redistribuiti proporzionalmente, in base ad una serie di indicatori previamente concordati, nei diversi paesi dell’Unione (considerando anche l’importanza del sacrosanto vincolo del ricongiungimento familiare). 

Nel medio periodo, bisogna poi modificare le regole di accesso all’UE. Per cambiarle, tuttavia, occorre forgiare alleanze, e sicuramente non con i sovranisti ungheresi e polacchi che non ne vogliono sentir parlare di ricollocamenti, ma con la Francia, con la Germania. Chi si si opporrà ai meccanismi di redistribuzione non potrà più usufruire dei fondi strutturali europei a loro destinati. Questi, piuttosto, verranno automaticamente raccolti e impiegati in un fondo europeo per l’immigrazione, di novella istituzione, che supporterà economicamente i paesi più fragili nel gestire i flussi e finanziarie la creazione di nuovi centri di accoglienza e smistamento. 

Nel lungo periodo, infine, questo stesso fondo dovrà essere impiegato per finanziarie politiche di integrazione e di formazione della forza lavoro che tanto necessita un paese in declino demografico come l’Italia. Quanti industriali, quante aziende abbisognano di nuove leve. È necessario rendersene conto ora. Non solo, se si pensa al tessuto urbano italiano, caratterizzato da una moltitudine di paesini in forte crisi demografica che stanno irrimediabilmente “desertificandosi”, una idea potrebbe essere proprio quella di ripopolarli a partire da giovani migranti a cui possa essere insegnata l’arte dell’artigianato, della gastronomia. In questo modo si unirebbero assieme quella tradizione delle arti e dei mestieri tipica della cultura italiana alla quale il conservatorismo è estremamente legato, con il progetto di un’Italia più aperta, plurale, progressista, in due parole, più forte.

Già oggi, ma gli effetti si manifesteranno solo nel lungo periodo, vanno infine stretti partenariati strategici con i paesi d’origine. Bisogna investire in Africa, nel suo progresso endogeno, nella formazione del suo capitale umano, nel suo sviluppo sociale attraverso investimenti in istruzione, infrastrutture, centri di ricerca. I risultati, confidate, ci saranno. Agiamo ora dunque.

L’incontro a Tunisi. Il presidente Saied e la premier italiana Giorgia Meloni

Nel frattempo, la Tunisia sta implodendo. Grazie ad un sincero aiuto occidentale forse riuscirà a stabilizzarsi. Rimane il fatto che Saied, autocrate modello, tiene stretto a sé lo scettro del potere, chiudendo, al contempo, le porte del suo palazzo agli emissari europei venuti con il cappello in mano. La palla è ora nelle mani del popolo tunisino, primo motore delle primavere arabe. Son sicuro che avranno la forza per riprendersi e comprendere come la democrazia è ancora là che li attende. Il progetto incompiuto può essere completato. Possiedono la maturità politica per farlo.

Prima o poi, uno ad uno, i falsi miti del governo cadranno. È facile fomentare l’odio delle persone, più difficile educare al dialogo, al rispetto della diversità e alla tolleranza. Ma quando il governo si renderà conto che la maggior parte dei migranti salpati da Sfax e approdati a Lampedusa non sono persone dalla pelle nera ma arabi come loro, tunisini, capirà che il problema non è forse dei poveri migranti sub-sahariani ma delle politiche totalmente infruttuose del suo governo.

Migranti. Sbarchi a Lampedusa ANSA/Concetta Rizzo

L’Italia e l’UE devono rimanere in prima linea nelle interlocuzioni con Saied e le mosse di Roma in questo senso sono condivisibili. Che il Memorandum firmato a luglio sia stato un fallimento, oramai, visti gli sbarchi, ne abbiamo tuttavia la certezza. Ciononostante, la speranza è che in futuro tali accordi non siano concepiti come dei meri tappa-buchi, ma possano aiutare davvero paesi come la Tunisia a diventare più solidi, stabili politicamente e credibili economicamente. Che non siano i soliti sotterfugi per bloccare le partenze, ammassando persone innocenti in campi di concentramento dove i diritti umani non hanno ragione di esistere.

Che con questi accordi possano instaurarsi collaborazioni economiche fruttuose, in uno scambio e accrescimento reciproci. Il destino della Tunisia ci interessa molto da vicino. Come la splendida locuzione “mediterraneo allargato” sta ad indicare, le sorti di tutti i paesi mediterranei sono legate a doppio filo. Cade uno, cadranno tutti. Il minimo battito d’ali di una farfalla in Tunisia si abbatterà con tutta la forza distruttiva di un uragano anche sull’Italia. E questo sta già accadendo.

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