Sono Lotta, un’attivista e musicista di ventuno anni che a un certo punto della sua vita ha capito che non c’era più tempo per stare a guardare, per vivere di competizione ignorando il vero dramma del nostro tempo: la crisi climatica. Un dramma che ci vede tutti uniti, a prescindere dal genere, l’opinione politica, lo stato sociale, l’orientamento sessuale, e al quale si può rispondere soltanto insieme.
Quando ho lasciato il Conservatorio per manifestare e sono andata di fronte al Parlamento europeo di Strasburgo, ho capito che non avrei dovuto rinunciare alle mie passioni per inseguire l’attivismo: ognuno di noi ha il potere di diventare attivista semplicemente prendendo parte al moto di questo cambiamento, coinvolgendo la propria identità e il proprio sistema di valori. Io l’ho fatto con la musica, ma ogni forma di espressione personale (e collettiva) ha il potenziale per fare la differenza.
Spesso lo stesso termine attivismo viene percepito secondo schemi fuorvianti: non c’è una regola univoca per fare attivismo, purché le energie siano spese con un fine chiaro. Da una parte, evitare il collasso della nostra esistenza come specie, dall’altra costruire un nuovo sistema capace di garantire una vita dignitosa e degna a tutti gli esseri umani, che sia in simbiosi con gli ecosistemi naturali che ci ospitano. Tutti possiamo, a nostro modo, prendere parte a questo processo.
Dalla mia Detonazione di fronte al Parlamento europeo, ho cominciato a portare in giro per l’Europa il mio spettacolo, con il chiaro obiettivo di diffondere quella Detonazione al maggior numero possibile di persone, diffondere consapevolezza, energia da trovare in noi stessi e poi da spendere per il futuro di tutti: dovevo dare il mio contributo per provare a scuotere le coscienze, nelle strade, nelle piazze e sui palchi.
L’attivismo, per me, è la massima espressione di una generazione che non si arrende. La generazione Z, a contrario di come viene spesso dipinta, ha tutte le capacità per proporsi come modello guida, di leadership, per cambiare davvero ciò che non funziona. L’attivismo stesso dovrebbe essere incluso nelle dinamiche di impresa e amministrazione, come portatore di un progresso positivo per l’intera società e per il Pianeta, più che in funzione dell’accumulazione di capitale.
Come ricorda Paolo Braguzzi, membro del Consiglio di vigilanza di B Lab Europe e attivista per il business for good, nel suo ultimo libro L’impresa for good. Come usare il business per creare valore umano, sociale e ambientale: «coinvolgere uno o più attivisti per l’ambiente quando si vuole misurare il proprio impatto ambientale può essere utile a vedere il tema da una prospettiva diversa. Al di là che per un’impresa for good avere anche un attivista ambientale nel CdA possa essere utile, oltre che sfidante». Quello che però chiede il mondo dell’attivismo è di essere ascoltato, la soluzione più saggia sarebbe quella di integrarlo nei processi decisionali, permettergli di partecipare attivamente alle scelte chiave del loro (nostro) futuro. Oggi invece si preferisce etichettarli come criminali, portandoli di fronte ai tribunali, mentre si affida la guida della transizione ad aziende multinazionali che violano ripetutamente i diritti umani nel mondo e perseguono un modello di business basato sui combustibili fossili.
Il cambiamento sta avvenendo, è adesso. Quella che prima era una nicchia di pensiero si sta rapidamente trasformando nell’opinione comune, tutte le realtà che se ne stanno accorgendo sono quelle che potranno trovare un posto nella nuova società che si sta costruendo.
