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Quanto sono rappresentati gli under 30 nella politica italiana?

Partiamo dai dati. Nell’ultima legislatura sono stati eletti in Parlamento solo quattro deputati sotto i trent’anni. Sono tutte donne. Dopo la prima Presidente del Consiglio e la prima segretaria del Pd, anche in Parlamento, per quanto riguarda la rappresentanza giovanile, le uniche deputate elette under 30 sono donne: Rachele Scarpa (Pd), Grazia Di Maggio (FdI), Marianna Ricciardi e Angela Raffa entrambe del M5S.

Sicuramente l’elettorato passivo – cioè la capacità di un cittadino di ricoprire cariche elettive – fissato a 25 anni per la Camera e a 40 anni per il Senato, incide in maniera significativa sul fatto che la rappresentanza under 30 sia solo l’1% alla Camera e zero al Senato.

Il fine di questo istituto giuridico dovrebbe essere quello di avere in Parlamento delle persone con un elevato grado di maturità ed esperienza, fatto politicamente discutibile visto che la Storia insegna altro: Augusto divenne Senatore a Roma a vent’anni e Napoleone fu primo console a trentacinque. Ma al di là di ciò che insegna la Storia, essendo il nostro un bicameralismo perfetto, non si riesce a comprendere la ragione in base alla quale per il Senato bisogna avere 40 anni e per la camera 25 anni, pur avendo senatore e deputato analoghe funzioni. Ci rendiamo conto del paradosso quando per un consigliere regionale o comunale l’elettorato passivo scende a 18 anni? E ci rendiamo conto che ad oggi queste figure hanno responsabilità e impegni del tutto assimilabili a quelli di un parlamentare soprattutto dopo la riforma del 2001? E allora perché un giovane di 20anni può essere eletto consigliere comunale/regionale e non deputato? 

Ovviamente l’elettorato passivo non è la radice del problema, in quanto anche all’interno dei consigli regionali e comunali la percentuale di under 30 non è così elevata. D’altra parte, sarebbe ingenuo pensare che basterebbe qualche giovane in più nelle istituzioni per risolvere i problemi che affliggono le nuove generazioni. Non si può però negare che la sensibilità di un giovane nell’affrontare le complessità possa essere assolutamente preziosa. Ancora di più in un mondo in cui la politica è quella del “ci pensiamo domani”, dove non si risolvono i problemi, ma si rinviano costantemente.

È evidente che i partiti non sono in grado di dare adeguate risposte rappresentative alla nostra generazione e sembrano utilizzare i loro iscritti più giovani soltanto per fare vetrina più che per fare politica. Per rendersi conto di ciò basterebbe pensare all’effettiva rilevanza che i segretari delle giovanili di tutti i partiti hanno avuto negli ultimi anni. Certo, forse dovremmo fare autocritica: non si può nascondere che noi giovani non siamo stati capaci di prenderci gli spazi che ci spetterebbero, sia all’interno dei partiti che nelle istituzioni. Riflessione che non vorrei venisse fraintesa: ci sono tantissimi giovani appassionati di politica che ogni giorno si battono per provare a cambiare il sistema di cose presenti. Il problema è che restiamo comunque una minoranza troppo spesso disunita. E il nostro sentimento di riscatto generazionale è diventato individuale e non più collettivo.

*Paolo Federico, 20 anni, romano, studia Giurisprudenza. È tra i fondatori dell’associazione “La Giovane Roma”. È consigliere degli studenti all’Università Roma Tre.

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