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Il Sahel, tra colpi di Stato e complicati equilibri tra vecchie e nuove potenze coloniali

Tre anni, paesi vicini, modalità simili: nel  2020 in Mali, nel 2021 in Chad, poi nuovamente in Mali, nel 2022, prima a gennaio e poi a settembre, in Burkina Faso, fino all’estate del 2023, quando è toccato al Niger e al Gabon. Una serie di golpe armati hanno messo a ferro e fuoco una regione da sempre instabile: il Sahel. 

Una regione che cinge l’Africa e si estende per 8.500 km dall’oceano Atlantico al Mar Rosso, toccando 13 Stati ed includendo decine di differenti etnie. Numerose le  influenze internazionali che la interessano, a partire dalle colonie francesi, fino ai russi delle truppe Wagner, passando per Stati Uniti e Cina. Negli ultimi anni la regione è stata teatro di un’escalation di tensioni, molte delle quali sono sfociate in disordini che han portato a colpi di Stato. Come hanno reagito le grandi potenze interessate alla zona? È la fine del colonialismo? 

La risposta alla prima domanda è semplice, grande protagonista è la Francia che dopo il colpo di Stato in Niger, perde il ruolo da leader in Africa, tanto che, in Burkina Faso vengono interrotte le trasmissioni delle stazioni radio francesi e, di tutta risposta, per non dare spazio a dubbi, il Presidente francese Emmanuel Macron, in un discorso pubblico, ha dichiarato che la Françafrique è giunta al termine.

Nonostante la situazione francese in Africa non sia una sorpresa, è un duro colpo per l’economia dei cugini d’Oltralpe che resta ancora legata alle riserve africane: uno tra tutti l’uranio proveniente dal Niger e dal Gabon, ma anche il cacao della Costa d’Avorio. 

Dopo aver appurato che la Francia sta cedendo il passo, tanto da vedersi spodestata dal ruolo di leader, chi prenderà il suo posto? Ammesso che ci sia qualcuno che ne voglia prendere il posto? La risposta a questa domanda ci fa capire che forse non è arrivata la fine del colonialismo, bensì solo un cambio di conducente. La Cina non ha perso tempo, ha iniziato una politica economica d’assalto, investendo oltre 155 miliardi di dollari in Africa, così da poter concentrare un grosso potere monetario nell’industria manifatturiera e nelle infrastrutture. Cina e Africa sono accomunate da una crescita tanto diversa quanto esponenziale: la Cina è il più grande paese in via di sviluppo; l’Africa è il continente con il maggior numero di paesi in via di sviluppo. Le relazioni economiche Cina-Africa si sono sviluppate rapidamente negli ultimi due decenni, periodo in cui la Cina ha incrementato gli investimenti in Africa, facendo crescere i flussi da poche decine di milioni di dollari, nel 2003, a diversi miliardi di dollari nel 2021. 

Conferenza stampa del presidente Macron sul disimpegno francese dal Mali

Se da una parte, l’influenza economica e commerciale cinese ha favorito un miglioramento delle infrastrutture, un aumento dei posti di lavoro e una crescita economica che ha portato a nuove occupazioni e nuove possibilità; d’altra parte, la Cina non può più ignorare la necessità di un ruolo di sicurezza più attivo nel continente, con particolare attenzione per il Sahel, una regione caratterizzata da instabilità strutturale e conflitti. 

La Cina ha lavorato per affermarsi come portatrice di sicurezza, dalla sua partecipazione alle operazioni di pace nel 1998, alle forze di pace pronte al combattimento nel 2012 e infine con l’attuazione di una collaborazione formale in materia di difesa attraverso il Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC).

L’Africa rappresenta un nucleo d’interessi non solo per la Cina, anche Stati Uniti ed Europa non hanno fatto mancare la loro presenza in Africa. Come le grandi influenze di diverse potenze internazionali hanno portato cambiamento in Africa? Come hanno reagito gli Stati africani? Nonostante la crescita economica positiva nell’ultimo decennio, la povertà, la disoccupazione e la disuguaglianza di reddito sono ancora sfide che l’Africa deve affrontare, in particolare nel garantire uno sviluppo inclusivo.

Molti paesi africani devono ancora affrontare problemi di governance e stabilità, con istituzioni deboli e corruzione che portano all’instabilità politica ed economica. Come dimostrano i disordini e le tensioni in Sahel, in molti paesi africani lo stato di diritto manifesta un’evidente inadeguatezza, dalla trasparenza dell’amministrazione alla funzionalità ed efficienza delle infrastrutture, queste sono le maggiori sfide dell’Africa, che rappresentano limitazioni significative all’accesso ai servizi essenziali da parte della popolazione. 

Sotto questo punto di vista, la Cina è stata apripista con diversi paesi africani, in particolare su infrastrutture ed investimenti, essendo anche portabandiera di importanti progetti infrastrutturali africani, in particolare: porti, aeroporti, strade e centrali elettriche, finalizzati alla connettività nel continente.

Sahel. Vecchi e nuovi colonialisti. I cinesi si stanno sostituendo ai francesi  EPA/JEAN-PAUL PELISSIER /

Quest’attenzione, effettività e efficienza dell’intervento cinese in Africa, ha fatto sì che questa cooperazione segnasse la riduzione della dipendenza dei paesi africani dai loro ex partner occidentali e colonizzatori. A rendere la Cina il maggior partner, vantando il primato nella maggior parte dei paesi africani e la top 3 nei restanti, è anche l’argomento occidentale della trappola del debito e del neocolonialismo che hanno reso i paesi africani capaci di determinare i loro percorsi e il loro futuro, salvaguardando e tutelando i loro interessi a lungo termine. 

Investimenti, commercio, sviluppo, crescita, economia, influenze internazionali e molto altro, tutte parole che celano uno sviluppo positivo dell’Africa, in tutte le sue regioni, eppure, colpi di stato, rivolte popolari e milizie armate sono dietro l’angolo;  ovunque, così come in Sahel, molte altre regioni del continente africano sono appese ad un filo sottilissimo e delicatissimo.

Utilizzando le parole di Jean-Léonard Touadi, 64 anni, giornalista e docente universitario: “L’ondata di colpi di stato continuerà, e le colpe di queste crisi sono anzitutto imputabili ai leader politici africani, ma dal caos generato dalle crisi della democrazia potrebbe nascere una nuova Africa”. Se è pacifico che i diversi colpi di stato hanno portato ad un allontanamento degli stati africani dal ex-colonizzatore francese, resta un’incognita il futuro di altre influenze, tra cui, quella cinese.

Come si evince da quanto precedentemente affermato, il Sahel, rappresenta per la Cina il centro di una vasta gamma di interessi in tutti i paesi della zona, in particolare per le industrie minerarie e petrolifere. Infatti ha invitato tutte le parti in Niger, punto nevralgico di questa crisi del Sahel, per risolvere le controversie con mezzi pacifici.

L’impegno della Cina nella sicurezza del Sahel ha in gran parte seguito i crescenti interessi commerciali del paese nella regione. Infatti, l’approccio di Pechino alla sicurezza è guidato dalla necessità di difendere l’arte di governo economica del paese, le sue iniziative commerciali e il crescente numero di lavoratori cinesi presenti nella regione. 

Il coinvolgimento della Cina nella sicurezza africana segue anche la strategia globale di Pechino finalizzata a rafforzare la sua immagine di grande potenza fulcro economico e commerciale della comunità internazionale, ruolo che sta aumentando e determinando la sua credibilità e posizione internazionale.

Proprio questo nuovo ruolo sta dando a Pechino la possibilità di testare il suo apparato militare, con l’antiterrorismo e la protezione delle infrastrutture che rimangono i due elementi chiave dell’impegno di sicurezza cinese nel Sahel.

In Africa non c’è solo la Cina che si sta sostituendo ai francesi e alle altre vecchie potenze coloniali occidentali. I leader militari del Burkina Faso, ad esempio, in queste ore hanno firmato un accordo con la Russia per costruire una centrale nucleare mirata ad aumentare la fornitura di elettricità nel Paese africano e nella regione circostante. Nucleare per uso civile? Secondo la Bbc è quel che sta accadendo.

La giunta al potere in Burkina Faso ha stretto un accordo significativo con la Russia, segnando un nuovo passo verso il consolidamento delle relazioni con il paese euroasiatico. Questa mossa rappresenta un ulteriore allontanamento dai partner occidentali, un trend che si è sviluppato da quando la giunta ha preso il controllo del paese l’anno scorso.

La situazione energetica del Burkina Faso è alquanto precaria, con solo il 21% dei cittadini collegati a una rete elettrica. L’accordo con la Russia è la risposta a questa emergenza e arriva a seguito dei colloqui che il leader militare burkinabé, il capitano Ibrahim Traoré, ha tenuto con il presidente russo Vladimir Putin nel corso del vertice Russia-Africa svoltosi a Mosca a luglio.

Il capitano Traoré ha esposto la sua richiesta al presidente Putin, chiedendo il sostegno russo per la costruzione di una centrale nucleare in Burkina Faso. Secondo il leader militare, questa iniziativa contribuirà a soddisfare non solo la crescente domanda energetica interna ma anche quella delle nazioni limitrofe. Nel corso del summit, Traoré ha sottolineato l’importanza strategica del Burkina Faso, situato nel cuore dell’Africa occidentale e afflitto da una carenza energetica che coinvolge l’intera sub-regione.

L’accordo fa parte di un obiettivo più ampio del Burkina Faso, che mira a garantire il 95% di accesso all’elettricità nelle aree urbane e il 50% nelle zone rurali entro il 2030. Al momento, il Burkina Faso si affida principalmente a fonti di energia come il carbone e il legno, con i prodotti petroliferi che costituiscono un terzo dell’approvvigionamento complessivo di energia, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia.

Questo accordo energetico con la Russia potrebbe rivelarsi un passo significativo per il Burkina Faso nella sua ricerca di soluzioni sostenibili per le sfide energetiche e potrebbe aprire la strada a ulteriori partnership con paesi che cercano di diversificare la propria fornitura energetica e ridurre la dipendenza da fonti inquinanti.

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