NF24
Cerca
Close this search box.

Sahel, la “guerra fredda” esportata in Africa da Usa, Cina e Russia

Non è un segreto che il Sahel rappresenta una regione di grande interesse internazionale. Dalla Cina agli Stati Uniti, le maggiori potenze hanno iniziato missioni militari, di pace e commerciali di vario tipo. Il Sahel è una zona instabile, multietnica e comprensiva di vari Stati caratterizzati da economie fragili, ma ricchezze del sottosuolo non indifferenti. 

Nonostante ognuna delle grandi potenze interessate abbia un modus operandi diverso, ciascuna di esse ha la necessità di garantire una forma di status quo, regionale ed internazionale, rispetto alle minacce che minano l’esistenza e l’integrità politico-territoriale della regione. È evidente che la Cina muova i suoi passi con una finalità economica e commerciale; la Francia ha dovuto cedere il passo; la Russia punta sulla potenza militare e gli Stati Uniti? Come si muovono gli Stati Uniti? Qual è l’obiettivo statunitense in Africa? 

Wagner. Il gruppo paramilitare russo presente in Africa

La presenza militare nord-americana in Sahel fa parte della War on Terror che si espande fino al Corno d’Africa. Considerando tutto il continente africano un punto chiave per le risorse minerarie, per la ricchezza in tema di mano d’opera e di influenza demografia; è bene concentrare l’attenzione su come l’Africa sia fulcro di instabilità politico-sociali ed è centro gravitazionale per la diffusione del fenomeno terroristico e, di conseguenza, la lotta al fenomeno. Questa politica estera americana, vista come una sorta di difesa, ma anche contrattacco, è attuata sulla falsariga di quella di Bush Jr, finalizzate all’eliminazione in radice di organizzazioni salafite-jiadiste legate ad Al-Qaida nella “zona dell’instabilità”.

La presenza americana si basa principalmente sul potere militare e la capacità strategica, contrariamente alla presenza cinese che è focalizzata ad un’egemonia commerciale. Alla luce di ciò, come può sussistere un intercambio tra USA e paesi africani, dato che questi ultimi hanno un comparto militare ancora maggiormente incentrato sulle milizie? Apripista in questo ambito sono stati i rapporti tra Stati Uniti e Niger che suggellato una cooperazione ad ampio raggio, in settori diversi, quali: la sicurezza alimentare, lo sviluppo economico e la cooperazione militare. Nello scorso 2022, gli Stati Uniti hanno fornito al Niger un sostegno significativo per un totale di oltre 140 milioni di dollari per lo sviluppo, la sicurezza alimentare e gli aiuti umanitari. 

L’interesse statunitense al continente africano è manifestato dal sostegno finanziario e di sicurezza che, ormai da tempo, rappresenta per il Niger uno tra i primi partner regionali nella lotta al terrorismo nella zona del Sahel. Gli Stati Uniti hanno intensificato gli sforzi antiterrorismo nel Sahel e, negli ultimi anni, hanno manifestato sostegno al presidente nigeriano Mohamed Bazoum. Dallo scorso 26 luglio, data in cui il poc’anzi citato Presidente nigeriano Bazoum è caduto vittima di un colpo di Stato, la regione del Sahel è stata scossa da un terremoto diplomatico, che ha dato manforte alle milizie russe della Wagner, a discapito delle forze statunitensi che hanno visto il proprio fulcro d’interessa e controllo, cedere sotto un golpe popolare.  

Mohamed-Bazoum. Presidente del Niger deposto

Disordini come quelli che si stanno vivendo dal 2020 ad oggi, non sono nuovi alla regione del Sahel. Questi “terremoti diplomatici” non hanno sempre colpito forze politiche, anzi, molto spesso hanno visto vittime giornalisti, reporter, operatori umanitarie internazionali. Un esempio è quello di Jeffery Woodke, un operatore umanitario americano che è stato rapito in Niger da un gruppo affiliato dello Stato islamico nell’ottobre 2016 ed è stato successivamente rilasciato nel marzo di quest’anno. L’anno successivo, nell’ottobre del 2017, uno sforzo statunitense per catturare un leader di al-Qaeda sospettato di essere strumentale nel rapimento di Woodke ha portando alla morte quattro soldati statunitensi.

L’approccio alla sicurezza degli Stati Uniti nella regione del Sahel è cambiato dall’uccisione dei soldati statunitensi in Niger nel 2017. I commando americani forniscono addestramento alle forze speciali nigeriane in vari avamposti in tutto il paese. Tuttavia, a differenza di prima, i soldati statunitensi non accompagnano più le loro controparti nigeriane in operazioni speciali e missioni di combattimento, e ora offrono guida e consigli a distanza ai commando nigeriani durante le loro operazioni, mantenendo una certa distanza dal coinvolgimento diretto nelle missioni di combattimento.

Pattuglia della polizia nazionale nigerina percorre le strade di Niamey dopo che la Francia ha annunciato il suo ritiro dal paese

Il Niger, dopo Burkina Faso, Guinea e Mali, potrebbe aver esteso il ciclo in una tendenza in cui i successivi governi democraticamente eletti dell’Africa occidentale, dal 202 ad oggi, hanno ceduto il passo ad un divario discordante tra le leadership messe in atto dall’Occidente e una cittadinanza scontenta, spesso sostenuta dalle milizie popolari.

Le intersezioni di geopolitica e geoeconomia nel Sahel potrebbero mantenere alta la tensione tra gli interessi dei governi locali e le forze internazionali, tra cui Stati Uniti, Unione europea, Russia e Cina, tutte impegnate nella regione. Il Niger, in testa a tutti gli Stati del Sahel, vanta ricche riserve d’uranio che, fino a prima del golpe di quest’estate, erano gestite quasi nella totalità dalla Francia. I nuovi regimi militari hanno vietato l’esportazione di uranio e oro a Parigi, segnando un altro punto di rottura con il colonialismo francese.

Alla luce di ciò, gli Stati Uniti cercheranno di camminare attentamente tra la conservazione dei propri interessi nella regione e uno sradicare totale della presenza francese in Niger. È chiaro, infatti che la popolazione del Sahel, dopo diversi anni di colonialismo francese, abbia attuato un processo di liberazione, caratterizzato da colpi di stato e da disordini popolari che hanno agevolato l’ingresso russo nel territorio, ma allo stesso tempo hanno rappresentato il “via libera” per le forze militari statunitensi per attestarsi nel territorio come potenze militari. Gli interessi commerciali ed economici statunitensi rimangono legati a doppio-filo al Niger, mentre gli interventi militari volti ad un rappacificamento della regione, si estendono in tutti gli stati del Sahel.

A seguito dei diversi colpi di stato, le truppe statunitensi presenti in Niger sono limitate alle loro basi militari. Infatti, considerando che, negli Stati Uniti, le leggi relative agli aiuti esteri limitano la maggior parte delle forme di assistenza ai paesi in cui il leader democraticamente eletto è stato rimosso attraverso un colpo di stato, gli interventi nella maggior parte dei paesi del Sahel è, ad oggi, in bilico. Se da una parte, non verranno più stanziati fondi assistenziali; dall’altra, rimarranno le basi militari per regolare e controllare la regione, così da non lasciare troppa liberta ai competitor internazionali (Russia e Cina) nella regione.

Joe Biden. Presidente degli Usa

L’amministrazione Biden, inizialmente, ha evitato qualsiasi intervento diretto e ha fatto affidamento sul meccanismo regionale (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) per invertire il colpo di stato. Alla luce degli ultimi avvenimenti dell’estate 2023, le truppe francesi hanno dovuto lasciare l’area e l’unica vera opposizione alle forze russe e cinesi è quella americana. 

Un’ulteriore novità sconvolge la scacchiera internazionale, o meglio, apre diverse possibilità. È della metà di settembre 2023 la notizia che, con Mali, Niger e Burkina Faso in testa, le coalizioni militari responsabili dei colpi di stato degli ultimi anni, dal 2022 al 2023, hanno firmato un patto di mutua difesa contro le minacce del terrorismo e quelle di qualsiasi attacco esterno alle rispettive sovranità. Alla presenza dei leader militari che oggi guidano i governi di Bamako, Niamey e Ouagadougou, gli Stati aderenti hanno sottoscritto un trattato di 17 articoli che ha come scopo quello di difendere dal terrorismo in tutte le sue forme, collaborando per prevenire o sedare le ribellioni armate e contrastare la criminalità organizzata.

Questa nuova alleanza militare sembra avere origine da accordi e decisone orchestrate dalle forze politiche e diplomatiche russe che, da tempo, pesano sulle decisioni delle nazioni firmatarie. Esempio lampante è il Mali che, come testimoniato le conversazioni tra i leader maliano e russo, è legato strettamente alla Russia di Putin e ne rappresenta una fortezza salda in Sahel, tanto che la giunta maliana aveva ricevuto diversi caccia L-39 e Su-25, elicotteri d’attacco Mi-24P e Mi-8 e velivoli da trasporto tattico C-295. 

L’obiettivo dell’Alleanza è quello di “istituire un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”, una vera e propria “Nato Africana” che, come dichiara Burkinabé Traoré “Segna una tappa decisiva nella cooperazione tra Burkina Faso, Mali e Niger. Per la sovranità e lo sviluppo dei nostri popoli, guideremo la lotta contro il terrorismo nel nostro spazio comune, fino alla vittoria”.

 

Questa neonata alleanza difensiva sembra far presagire l’intensificarsi di una nuova “guerra fredda africana”, caratterizzata non da due forze contrapposte, bensì da due fazioni e quattro protagonisti: Cina e Russia da una parte, con la Cina attrice economica e la Russia protagonista militare; e, dall’altra parte, Stati Uniti, braccio armato e militare e Unione Europea, mediatore diplomatico. L’Africa rappresenta un centro nevralgico di interessi, materie prime e ricchezza umana che ogni attore internazionale brama per potersi attestare sugli altri. 

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.