GILEAD
Cerca
Close this search box.

Trieste sperimenta Hal, il paziente umanoide con intelligenza artificiale che istruisce aspiranti medici

Gilead

Parla, si muove e reagisce come un paziente in carne ed ossa. Hal veste le sembianze di un malato ma è un simulatore umanoide dotato di intelligenza artificiale. Il suo scopo è quello di aiutare gli studenti di Medicina ad imparare la professione, facendo pratica in maniera innovativa. Nel dettaglio, ci spiega la professoressa Stella Bernardi, docente associato di Endocrinologia all’Università di Trieste – dove si sperimenta il suo utilizzo per la prima volta a livello europeo – questo “è un robot umanoide che si utilizza nella metodologia didattica come simulazione ad alta fedeltà”.

Siete i primi a sperimentarlo in Europa, quali sono i risultati che state ottenendo?

I risultati sono sicuramente incoraggianti. Andando a valutare le performance abbiamo anche pubblicato dei dati nei quali si riscontrava come gli studenti che affiancavano alla preparazione convenzionale l’uso dell’esercitazione su questi manichini riuscivano a riconoscere meglio i suoni cardiopolmonari. L’utilizzo di questa tecnologia migliora infatti quelle che sono le abilità tecniche degli alunni, quindi dei futuri professionisti in sanità.

A proposito di studenti, come stanno rispondendo a questo nuovo modo di imparare?

Beh, devo dire che nonostante una iniziale diffidenza gli studenti ad oggi partecipano con entusiasmo a queste lezioni. Si rendono conto che implicano competenze a diversi livelli. Noi andiamo a testare non solo il sapere ma anche il saper fare e il saper essere. In più coinvolgiamo diversi partecipanti perché facciamo allenare in contemporanea studenti del corso di Medicina con studenti del corso di Infermieristica. Anche i medici specializzandi vengono a fare la parte degli specialisti e degli esperti.

Come si svolge la simulazione di un caso clinico?

La simulazione si compone di due parti, la prima è quella dello scenario. Qui c’è una sala regia dove vengono manovrati i parametri del robot umanoide che risponde a quello che succede nella sala di simulazione. Queste due zone sono collegate da un vetro monodirezionale. Quindi, chi manovra Hal vede quello che accade nella stanza mentre gli altri che lavorano sul robot non vedono chi si trova all’interno della cabina di regia. L’intervento viene ripreso e collegato ad una piccola saletta plenaria dove si trovano altri studenti che fanno da osservatori. Finita la simulazione ci si riunisce tutti in quest’ultima stanza per discutere di come sono andate le cose e quindi rivedere quello che è successo con spirito critico e costruttivo. Insieme si analizza ciò è stato fatto bene, quello che può essere migliorato, e si sfrutta l’occasione per rivedere il tema del caso e quindi evidenziare anche una lezione frontale affiancandola alla valutazione.

Quali sono, secondo lei, le prossime frontiere dell’intelligenza artificiale nel campo medico?

Le frontiere dell’intelligenza artificiale sono veramente tante, basti pensare che una delle riviste mediche più importanti adesso ha cominciato a dedicare una intera sezione solo all’AI. Uscendo poi dall’aspetto specifico della formazione, questa consente di aiutare il medico soprattutto in ambito clinico, ad esempio nella lettura delle immagini radiologiche e in situazioni più complesse come l’elaborazione della diagnosi e della prognosi.

E qual è il problema che si incontra con l’intelligenza artificiale?

Il problema è che l’intelligenza artificiale, per poter dare delle risposte, deve basarsi su programmi che utilizzano banche dati. Allora è fondamentale che la banca dati dalla quale vengono generate le risposte renda conto di quella che è la realtà nella quale viene utilizzata. Perché, mi spiego, se io utilizzo un programma che è stato sviluppato in Canada e lo applico a una regione rurale della Turchia per me è importante che quel programma mi dia delle risposte che sono attendibili e realistiche in quell’ambito. In tal senso l’intelligenza artificiale ha ancora dei limiti che devono essere affrontati e superati.

Potrebbe essere che un giorno l’intelligenza artificiale sostituisca i medici nella cura dei pazienti?

No, l’intelligenza artificiale, anche in base a quello che dice l’Unione europea, affianca l’uomo, non lo sostituisce. La predizione basata su dei dati che vengono elaborati al computer è utile ma non può rimpiazzare il giudizio della persona perché c’è sempre una quota di imponderabile che va tenuta in considerazione.

Quanto è importante la figura del medico per gestire l’intelligenza artificiale?

È fondamentale. L’aspetto auspicabile nel rapporto con l’intelligenza artificiale è che questa aiuti il medico nel suo lavoro, a migliorare quelle che possono essere le fonti di errore, anche di fronte a compiti routinari e faticosi, ad alleggerirne il carico burocratico o tecnico. Allo specialista resta la chiusura della diagnosi e la prescrizione della terapia e, soprattutto, il contatto col paziente. Quest’ultimo può infatti venir facilitato grazie all’AI che invece di lasciare al dottore il compito di doversi mettere al computer e scrivere il referto, lo sostituisce mentre questo visita il paziente. Così ci guadagniamo tutti perché lo specialista può occupare maggiore tempo con la persona piuttosto che nell’espletare dei compiti tecnici che possono essere fatti da qualcun altro.

Come si immagina la medicina del futuro?

La medicina del futuro è una medicina in cui sicuramente utilizzeremo la tecnologia sia nella formazione che nella pratica clinica. E questo accelererà tanti processi, semplificandoli. Di conseguenza migliorerà anche molto probabilmente l’accessibilità alle cure. Infatti, se io ci metto meno tempo per visitare un paziente grazie all’intelligenza artificiale allora posso visitare più persone.

 

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.