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L’ombra del gender gap anche sull’utilizzo dell’AI

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Intelligenza artificiale per tutti? Sembrerebbe di no.
I dirigenti dei vari settori produttivi sono al passo rispetto all’utilizzo dell’AI generativa e delle sue potenzialità, la trasformano spesso in business parlandone diffusamente con i loro clienti. Com’è invece la situazione degli impiegati?

Sulla base del nuovo rapporto firmato dall’Istituto di ricerca Charter c’è un principio di divario di genere, che caratterizza l’accesso dei dipendenti all’AI. Un sondaggio estivo che ha coinvolto circa 1100 lavoratori statunitensi, sia dipendenti che collaboratori, il 35% delle donne intervistate ha dichiarato di utilizzare strumenti di AI generativa, come ChatGPT, in relazione al proprio lavoro. La percentuale degli uomini è pari al 48%.

Emily Goligoski – che guida il team di ricerca di Charter – ha ipotizzato che questo divario possa dipendere dal fatto che le donne, su cui ricadono le impellenze domestiche, hanno meno tempo a disposizione per ‘giocare’ con le nuove tecnologie. Ma a completare il quadro rispetto a questa differenza di utilizzo dell’AI, c’è anche il fatto che le donne siano meno interessate agli sviluppi di questo strumento.

Nel compilare i campi della ricerca, solo il 46% delle donne ha barrato la definizione: “sono interessata alla prospettiva di utilizzare l’AI generativa per le mie attività di lavoro quotidiane”, contro il 66% degli uomini. Interrogati in merito all’AI, gli uomini si sono dimostrati più ottimisti, al contrario delle donne che sono sembrate più incerte – questo potrebbe dipendere dal fatto che si sentono a rischio, perché i loro posti di lavoro sono fra quelli che l’AI potrebbe compromettere o sostituire – secondo il report di Charter.

E non sarebbe la prima volta: ad esempio il personale di pulizia degli hotel che si è visto imporre i ritmi di lavoro da un algoritmo malfunzionante, o operatori telefonici sostituiti da tecnologie più moderne di risposta automatica.

Le donne hanno tanti buoni motivi per essere scettiche, secondo la Goligoski, che si rammarica però del fatto che sia proprio la rallentata adesione ai nuovi scenari dell’AI che potrebbe contribuire a far peggiorare la condizione delle donne, mettendo a rischio i loro stipendi. Aggiunge inoltre che se si considera il dato della razza e dell’età, la situazione diventa ancora più preoccupante.

E la Goligoski si domanda se spetti, quindi, ai datori di lavoro facilitare l’accesso dei dipendenti all’AI, aiutandoli a comprendere che questa può semplificare le mansioni e non necessariamente compromettere la condizione lavorativa. “Ci sono esempi positivi da mostrare, in merito alle sfide professionali che l’Ai ha contribuito a risolvere” e bisognerebbe metterle in evidenza.

 

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com

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