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“L’AI non esiste”: intervista a David Bevilacqua, Ceo di Ammagamma

Al di là di ChatGpt e dei suoi concorrenti, la situazione dell’intelligenza artificiale 4 anni fa non era molto diversa da quella attuale. Il lavoro sui modelli linguistici che oggi ha dato vita alla battaglia Microsoft-Google era già conosciuto. I discorsi su etica e bias cognitivi, gli stessi. E anche le paure erano uguali. David Bevilacqua (nella foto in evidenza), dopo una carriera in Cisco (Ceo di Cisco Italia e Vicepresident Europe) e Yoroi (co-fondatore e Ceo), è arrivato proprio 4 anni fa in Ammagamma. Da allora la società, ancora convinta che l’AI non sia altro che “matematica applicata”, di progetti ne ha realizzati molti. Arrivando a 100 collaboratori e 6,6 mln di euro di fatturato nello scorso anno, stringendo accordi di collaborazione con Gruppi come Eni ed Hera.

Tra la “singolarità tecnologica” di qualche anno fa e lo “scenario Terminator” di oggi, poco cambia: la paura è sempre che le macchine ci rendano inutili. Rimane uno dei problemi maggiori per un utilizzo sensato dell’AI: difficile mettersi a studiare su come possa aiutare a migliorare la produttività della propria azienda, se ogni volta che ne senti parlare ti sembra di essere entrato in un film di fantascienza. Intanto l’AI, nelle sue implementazioni più utili, si è diffusa sempre di più. 

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“Quando ho conosciuto Ammagamma aveva 6 anni di storia, con molte applicazioni industriali. Da un lato mi hanno colpito per la loro concretezza, facevano cose che avevano un impatto. L’altra cosa che mi affascinava era questa componente fortemente umanistica: si interrogavano sulle implicazioni del loro lavoro”, dice Bevilacqua.

Non è un caso che tra le prime iniziative di Ammagamma figuri la pubblicazione di un ‘Manifesto per la razionalità sensibile’, che incoraggia una concezione umanistica dell’AI; e che di recente l’azienda con sede a Modena abbia stretto una collaborazione con l’università di Cambridge per “sviluppare una metodologia per il self assesment dell’impatto dell’AI sull’impresa”. Un reporting di sostenibilità quindi, ma incentrato sull’AI. “Anche per questo approccio mi sono innamorato di loro”, dice il Ceo.

Sull’intelligenza artificiale Ammagamma ha fatto una scelta di comunicazione precisa: quella di far parlare i casi d’uso. Perché, appunto, l’AI non è “magia”. Per questo ha creato un white paper, un libro (Bestiario di Intelligenza artificiale) e più di recente un saggio a più voci, ‘L’intelligenza artificiale non esiste’. Il messaggio? “L’AI non esiste, esiste l’uomo che pensa e crea soluzioni. Per cambiare”. Porre insomma l’attenzione su cosa è realmente AI e cosa invece è “spacciato” come tale, e sul fatto che l’AI non è tutta uguale, che può “elevare” l’operato umano. Non è una “magia”.

Nel polverone creato dalla frenesia degli annunci sulle nuove AI made in USA, vedere con chiarezza lo scopo finale di un algoritmo può diventare difficile.

“C’è una certa sovra-comunicazione su ChatGpt” e l’AI generativa, spiega Bevilacqua, convinto che nell’AI ci sia una “narrazione vuota”. “È un’applicazione con connotati che potrebbero cambiare in modo rapido quello che facciamo, è vero, ma l’AI esiste già da diversi anni”, e nonostante questo molti non hanno ancora capito come usarla. “Per questo abbiamo deciso di far parlare le aziende”. Solo chi usa l’AI può dire se davvero “esiste”.

AI, 4 applicazioni concrete:

Cirfood – Sostenibilità 

Ammagamma ha dato alla cooperativa di Reggio Emilia Cirfood una piattaforma avanzata di gestione degli inventari per recuperare gli avanzi di cibo e ridurre l’impatto ambientale. Così Cirfood è riuscita a migliorare le performance di previsione della domanda del 56%, a ridurre di 111 tonnellate gli stock immobilizzati e del 15% gli scarti alimentari.

Olympus Italia – Salute

Una web app basata su intelligenza artificiale che consente di migliorare la prevenzione dei tumori, attraverso una piattaforma di screening digitale chiamata CRC Score. Olympus Italia si è rivolta ad Ammagamma per creare questo strumento che calcola il livello di rischio soggettivo relativamente alla possibilità di sviluppare il cancro colorettale.

Hera – Energia 

Ammagamma ha sviluppato un applicativo per la manutenzione predittiva, testato su un Comune con più di 200mila abitanti e 25mila punti luce: così è diminuito del 25% il budget allocato per la manutenzione ordinaria, ma anche (-40%) il rischio di caduta del sostegno dell’illuminazione.

 ‘The Energy of Data’ – Ricerca 

Nel 2021 Ammagamma ha dato vita a un centro di ricerca, co-finanziato dalla Regione Emilia-Romagna: ‘The Energy of Data’. L’obiettivo è promuovere lo sviluppo e la ricerca sull’AI attraverso le metodologie del design attraverso quattro macro-servizi, che vanno dalla diffusione di conoscenza sull’AI alla prototipazione vera e propria di soluzioni innovative. Uno sforzo nella direzione dell’Industria 4.0, ma anche delle amministrazioni pubbliche. Il centro ha avviato 2 collaborazioni internazionali con la Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme e il Leverhulme Centre for the Future of Intelligence di Cambridge, per promuovere lo sviluppo dell’AI e della data science attraverso l’applicazione e la sperimentazione delle metodologie di design.

Il problema dei dati

Tutte queste soluzioni, dice il Ceo di Ammagamma, non nascono direttamente nel cervello virtuale dell’AI, né in quello di chi l’ha creata: sono soluzioni “che realizziamo con i clienti a 4 mani. Anche se prendi 3 aziende dello stesso settore e dello stesso distretto, ognuna ha un processo diverso. Per questo il successo di queste iniziative non è limitato a un software definito, sono sempre progetti che avvengono coinvolgendo i clienti e il loro sapere”.

Qualsiasi sia l’applicazione, spiega Bevilacqua, al centro rimangono i dati. L’AI, altrimenti, potrebbe fare poco. Per questo Ammagamma ha creato un centro di ricerca, l’Hidden Data Lab, insieme a un colosso come Eni: un laboratorio dove si va a caccia di dati nascosti per creare nuove soluzioni di intelligenza artificiale. “La difficoltà che abbiamo in tutti i progetti, nel 90% dei casi, è la mancanza di dati: sono una barriera enorme”. La seconda barriera è di tipo culturale: “Andare da qualcuno e dirgli ‘guarda, c’è un agente artificiale che può fare il lavoro che hai fatto per 40 anni’, di solito non funziona. Ma quando unisci l’expertise con la tecnologia, allora si riesce a lavorare bene”.

AI democratica

Non è solo un problema di lavoratori sostituiti dalle macchine (anche se è uno dei temi principali, nella rivoluzione dell’AI). Nel mondo delle aziende, c’è una questione di dimensioni d’impresa. Le grandi non hanno grossi problemi a implementare gli algoritmi nel loro business. Ma per i Paesi dove è preponderante la presenza di Pmi, il problema è far arrivare l’innovazione anche alle piccole imprese.

“Questo tipo di soluzioni sono altamente efficaci per le pmi”, dice Bevilacqua. Il problema è che la pmi rispetto alla grande azienda ha poco budget e poche competenze per utilizzarle.

Il Ceo ammette che è “faticoso andare ad intercettare le aziende più piccole. Devono essere accompagnate. Ma la prendiamo come una vocazione, una missione. Se vogliamo che l’AI dia il suo contributo e che sia una leva strategica per il rilancio di un’azienda, dobbiamo scovare le pmi: dobbiamo avere una presenza capillare sul territorio, una rete vendita focalizzata su aree geografiche, e soprattutto semplificare il linguaggio, perché è questo che crea più distanza. Se un piccolo imprenditore capisce il 10% del funzionamento dell’AI, è già tanto. Abbiamo un cliente, che mi ha detto ‘metteteci l’AI, metteteci anche i criceti: basta che funzioni. Non mi devi raccontare il livello di dettaglio dell’algoritmo. Semplicemente, ottimizza il processo’”.

Che siano criceti o algoritmi, l’importante è che tutto vada liscio, insomma. Ma una competenza minima per poter gestire quegli strumenti in autonomia è necessaria. “Alle grandi aziende non devi spiegare nulla. È quando vai sulle Pmi che devi cercare di tradurre quello che fai per cambiare i processi. E questa è la sfida più bella”.

Perché ci serve l’AI

Lavoro più efficiente, riduzione dei costi, produttività migliorata: i benefici sulle aziende sono lampanti, anche se sulle stime c’è una certa dose di incertezza. L’effetto a cascata delle mosse di OpenaI, Microsoft e Google che impatto avrà sui numeri? In Italia, l’ultima stima del Polimi parla di 500 mln di euro di giro d’affari. Secondo Bevilacqua, a quel dato va sottratto il transato internazionale: l’AI completamente Made in Italy “vale circa 350 mln”. Un mercato che nel nostro Paese è “previsto in crescita del 25%-30%: non molto più lentamente di altri”. Il ritardo, più che a livello italiano, è europeo.

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