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L’Italia (non) è un paese per architette

“Questo non è un mestiere per donne” disse Marco Zanuso all’architetta Cini Boeri nel 1952, prima che lei intraprendesse la propria attività occupandosi di progettazione civile e disegno industriale.

Nell’approcciare il tema della presenza delle donne e degli uomini nel mondo della progettazione si è aperta la necessità di riempire un vuoto di narrazione. Bisogna forse ringraziare anche Melania Mazzucco per averci regalato l’affresco della lunga vita della prima donna in Europa a potersi fregiare dell’agognato titolo di architetto, l’architettrice Plautilla Bricci. Un libro che rende giustizia alla prima di tante donne che non hanno mai avuto nessun riconoscimento né ruolo nella loro professione. Dieci anni fa, Guendalina Salimei, anima fondatrice di T Studio, è stata l’ispiratrice del film ‘Scusate se esisto’, con protagonisti Paola Cortellesi e Raoul Bova. Nel suo lungometraggio il regista Riccardo Milani ha messo in scena la storia di un architetto-donna, Serena (come la Salimei coinvolta per la valorizzazione del Corviale a Roma), che dopo una serie di successi professionali all’estero decide di tornare a lavorare in Italia per amore del suo paese, ma per farlo si finge l’assistente uomo di un architetto. La professione e l’architettura sono sullo sfondo, ma la questione nodale è la difficoltà che le donne incontrano quando intraprendono certi mestieri che storicamente sono stati appannaggio del genere maschile.

In questo tempo di rinnovata attenzione al (New European) Bauhaus si accendono i riflettori su un linguaggio nuovo, presente in molte storie del costruito, non solo urbano. Proprio come era accaduto per le “ragazze” del Bauhaus che avevano scritto un lungo capitolo di storia dell’arte, dell’architettura e del design, reagendo toste al peso ingombrante dei loro compagni, così oggi si rende necessaria una riscrittura del contemporaneo. La parola, dunque, ha un’importanza fondamentale, ma con questa premessa, per costruire uno scenario e accelerare il passo del cambiamento, ci vengono in aiuto i numeri, anche per capire a che punto siamo.

Secondo i dati Istat in Italia l’occupazione femminile raggiunge il 51,3%, sotto la media Ue, e le cose non vanno meglio nel comparto specifico dell’architettura. Per il Consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori (Cnappc) che ha pubblicato il primo report “La professione di architetto in Italia 2021”, nel 2020, dei 153.692 mila architetti italiani il 42,5% erano donne, con una crescita del 13,9% nel decennio 2010- 2020. Tuttavia, il gender pay gap rimane piuttosto evidente: il 54% a favore dei colleghi uomini solo nel 2019 secondo i dati Inarcassa. E i numeri non sono consolatori nemmeno secondo le RebelArchitette, progetto collettivo, aperto, volto alla sensibilizzazione del riconoscimento del ruolo delle donne in architettura a livello nazionale e internazionale, che sul suo sito conta più di mille professioniste, di cui un quinto in Italia. Un osservatorio che parla chiaro ad esempio della difficoltà del bilanciamento famiglia-professione: delle 137 architette italiane di eccellenza che ne fanno parte, il 57% si trova in una composizione di studio uomo-donna con un partner maschile, che, nella quasi totalità dei casi risulta essere anche il partner nella vita personale.

“Il carico di cura parentale e dei lavori domestici è ancora profondamente sbilanciato sulle donne e il gap economico dei salari nel campo dell’architettura discriminano profondamente il percorso delle professioniste. Per queste ragioni – dicono le RebelArchitette – come dimostrano i dati Inarcassa e confermano la tendenza degli anni precedenti, si riscontra una grave difficoltà delle architette a rimanere all’interno della professione”.

Benedetta Tagliabue, architetta e direttrice di EMBT Architects (foto di Vicens Gimenez)

Come si evince anche dall’approfondimento curato da Aidia – Associazione italiana donne ingegneri e architetti che, incrociando i dati dei siti istituzionali dei 211 Ordini territoriali con i report del Consiglio nazionale degli ingegneri (Cni) e del Cnappc, e le pubblicazioni online dei vari Ordini, il gap è tutto da colmare. Secondo l’indagine, resta basso il riconoscimento femminile in ruoli apicali (presidente, vicepresidente, segretario e tesoriere) e nel direttivo all’interno dei Consigli, se si considera che la percentuale di cariche presidenziali ricoperte da donne è pari al 13% per gli ingegneri e al 30% per gli architetti, mentre ricoprono altre cariche direttive il 16% tra gli ingegneri e il 29% tra gli architetti.

Ma una luce in fondo al tunnel c’è, e si trova nell’ambito della formazione universitaria. Nell’anno accademico 2021-2022 la preponderanza tra gli immatricolati ai corsi di laurea in materie architettoniche è delle studentesse, che oggi raggiunge il 59,4 per cento.

Qualcosa si muove anche nel mondo della narrazione dell’architettura, per esempio con la mostra che il MAXXI di Roma nel 2021 ha dedicato al tema, ‘Buone nuove. Donne in architettura’, capace di dimostrare che le architette sono partner di grandi studi, colonne portanti di collettivi, o leader, tanto quanto gli uomini: la presenza femminile nell’universo del progetto coincide con una serie di cambiamenti epocali nel rapporto tra architettura e società, tra comunità e spazio.

Oltre ai ritratti dedicati dal MAXXI, nella letteratura contemporanea ci sono architette italiane come Teresa Sapey e Benedetta Tagliabue, entrambe con studi in Spagna. Ancora, tra le professioniste di successo in Italia si distinguono Patricia Urquiola e Patricia Viel, co-fondatrice con Antonio Citterio di Acpv Antonio Citterio Patricia Viel Architects.

Non mancano le storie di collettivi al femminile come il caso dello studio Arbau fondato a Treviso nel 2000 da Sara Carbonera e Marta Baretti, con un’attenzione particolare alla rigenerazione urbana a impatto sociale; con il loro centro di Soranzo hanno vinto la prima edizione del Premio Anna Taddei per l’architettura al femminile.

È il tempo delle specializzazioni e le professioniste scendono in campo distinguendosi in ambiti specifici come il Design for all, la progettazione sostenibile e quella parametrica come fa Giulia Pentella di Sums Architects, piuttosto che per il paesaggio con l’esempio Margherita Brianza di P’Arcnouveau. L’inizio di un racconto ancora tutto da scrivere.

*Chiara Brivio e Francesca Fradelloni/giornaliste PPAN

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