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Business model su misura

Nelle mostre in giro per l’Italia, nei convegni per addetti ai lavori, nella stampa di settore l’immaginario dell’architettura contemporanea è ben diverso dal racconto che si coglie nelle fiere dove i protagonisti sono i materiali o le tecnologie costruttive, ma anche in ambiti dove il real estate fa dell’architettura un plus per il marketing.

Lo scarto tra architettura ed edilizia è quella discriminante che difficilmente si riesce a descrivere, ma che non è impossibile percepire guardando la (non) qualità diffusa delle città costruite e quella che sta arrivando, anche con la leva del Pnrr per quanto riguarda le opere pubbliche, o con progetti che vengono spacciati per “rigenerazione urbana”, ma che non hanno alcun ingrediente che richiami la cultura, il terzo settore, il lavoro e la cura dell’ambiente.

Da anni l’architettura richiede un’attenzione che ancora non ha, e probabilmente non basterebbe nemmeno una legge per l’architettura (che in Italia non c’è e che la Francia, ad esempio, ha da oltre 45 anni): l’architettura merita un impegno corale, nel pubblico e nel privato, consci del portato che può generare in termini di economie, benessere e impatto sull’ecologia. Da anni, ad esempio, al Mipim di Cannes, la fiera del real estate internazionale, paesi come Regno Unito, Francia e Germania fanno promozione dei propri professionisti, per l’Italia la strada del posizionamento è ancora lunga, non c’è lobby che riesca ad incidere.

L’atlante proposto nelle pagine del nuovo numero di Fortune Italia già edicola  – con una cinquantina di architetture costruite da Nord a Sud e premiate per la loro qualità, a cui si aggiungono altrettanti progetti pronti per diventare realtà, con soluzioni scelte mettendo a confronto ipotesi alternative – restituisce una lista di studi che raccontano chi sono i protagonisti del contemporaneo.

Nomi di società che articolano il quadro degli attori di un mestiere in completa rivoluzione, perché la domanda evolve, perché le competenze vanno integrate, perché all’architettura si può chiedere di più. Tra gli autori delle
50 opere costruite ci sono tanti piccoli studi com’è quello di Werner Tsholl in Alto Adige, architetto italiano dell’anno nel 2016, o di Vincenzo Latina, in Sicilia, che ha vinto lo stesso premio del Cnappc l’anno precedente. I vincitori del 2023 sono Pedevilla Architects, due fratelli cinquantenni, Armin e Alexander, che hanno aperto il loro ufficio a Brunico nel 2005.

Da Modus Architects a Park Associati, da C+S Architects ad Atelier(s) Alfonso Femia e Mario Cucinella Architects sono decine gli studi che da anni si impegnano per distinguersi per la loro qualità e che continuano a partecipare a gare, aggiudicandosene alcune importanti anche recentemente: i loro nomi sono in entrambe le liste.

SYNAPSES, progetto firmato da Atelier(s) Alfonso Femia insieme a Pitch Immo e GA Smart Building, vincitore del bando per il sito di Ségoffin a Parigi. Foto di AFemia

Assenti invece dalle 50 opere premiate le società di ingegneria e di architettura tecnica che invece cominciano ad affacciarsi sul mercato, sbaragliando i colleghi dell’architettura pura. A titolo di esempio, il big dell’ingegneria internazionale Arup si è aggiudicato il concorso per il nuovo stadio di Firenze e quello per i waterfront di Chioggia e Venezia. Al team guidato dai romani di Engeko è stato assegnato da Invitalia il recupero e la rifunzionalizzazione dell’ex carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano-Ventotene. Ancora, alla cordata guidata da Redesco è andato il primo premio del concorso indetto da Sport e Salute spa per il Centrale del Foro Italico a Roma. Il completamento del nuovo presidio ospedaliero di Ragusa è stato vinto da una cordata guidata da Proger. L’ingegneria è protagonista, controprova del fatto che nei brief e nei requisiti di gara sostenibilità, energia e digitalizzazione sono elementi premiati che i piccoli studi faticano a mettere sul tavolo. In alternativa più attrezzate sono le grandi società di architettura internazionale.

L’engineering quindi si affaccia sul mercato dell’architettura e non meno influenti sono i player internazionali come Tvk, i francesi che hanno firmato Place de la République a Parigi e che guidano il team che ha vinto il concorso per il rifacimento di Piazza dei Cinquecento, davanti a Termini, oggi in cantiere in vista del Giubileo. Stranieri in prime posizioni anche per il Museo Egizio di Torino dove sul primo gradino del podio sono saliti gli olandesi di Oma. L’Italia come mercato appetibile per gli stranieri è tra i nomi degli studi al lavoro nel nostro Paese: si va dagli americani Som, agli scandinavi Henning Larsen Architects, dai cinesi Mad Architects al giapponese Kengo Kuma.

Segnali che raccontano di un mercato che evolve, dove lo strumento del concorso rimane quel banco di prova sempre più allargato – con italiani e stranieri, studi di architettura e grandi engineering che si confrontano – dove la cifra “estetica” non è sufficiente: l’approccio olistico impone di fare alleanze con specialisti che concorrono a raggiungere punteggi di settore, anche sulla base di lavori già svolti.

La lente dei premi e dei concorsi, come mezzo che mette al confronto idee e proposte progettuali, viene identificata come chiave di lettura per la qualità. Ma non può essere l’unica se la società italiana che oggi è nella prima posizione del ranking per produzione non partecipa a nessun concorso.

Masterplan dell’isola di Sindalah di Luca Dini. Foto di Luca Dini Associati.

Parliamo di Lombardini22, realtà con base a Milano ma lavori in tutt’Italia, che ha compiuto i suoi primi 15 anni di attività. “Siamo una società di servizi di progettazione, architettonica e ingegneristica, con un piccolo team di comunicazione – rac- conta Franco Guidi, ceo L22, economista – con i nostri clienti partiamo dall’architettura, che è il primo bisogno esplicito, ma abbiamo in casa competenze per offrire un ampio set di servizi. Su 300 collaboratori, 60 sono ingegneri. Il mercato si è professionalizzato molto, è tecnologicamente sfidante” e L22 ha trovato la sua nicchia, “più vicino all’idea di una casa discografica che di un singolo cantante. Siamo dei creativi, ma il nostro lavoro non è legato all’ego di un singolo”.

Lombardini22 racconta un modello italiano di società con diverse business unit specializzate, che si prefigge di posizionarsi come “campione italiano della progettazione”, strizzando l’occhio alla Webuild per quanto riguarda il campo dell’ingegneria. Guidi sottolinea che “negli ultimi anni c’è stato il dominio degli occhi sul corpo dell’architettura. Ma l’architettura è arte da attraversare e deve riguardare il modo di stare insieme”. Lombardini22 “vende valore aggiunto”, valore che la società fiorentina guidata da Marco Casamonti racconta in altri termini, puntando su quella cifra che in questo caso tiene insieme qualità apprezzata dal mercato e dalla critica, in Italia e a scala internazionale (diversamente da L22 che opera per il 99% in Italia).

Metodi di lavoro differenti quelli di Lombardini22 e del team di Casamonti presi qui a campione, che si traducono in attività per mercati diversi (retail e uffici da un lato, grandi opere d’architettura dall’altra) che raccontano strutture di successo, con e grazie all’architettura. Protagonisti di una piccolissima fetta dell’Italia che ha numeri competitivi con player di altri paesi. Accanto a loro, guardando il solo dato della produzione, una costellazione di realtà con identikit unici. Ci sono società emergenti come quella di Luca Dini, un non-architetto che dall’esperienza maturata nello yachting sta facendo fortuna in Arabia Saudita dove firmerà l’architettura di un’intera isola; società di progettazione integrata, consolidate negli anni, come Starching, che si distingue per il suo affiancamento progettuale fin nelle fasi iniziali accanto alla finanza; altre come Asti Architetti, legata alla figura dell’architetto Paolo Asti e affermata accanto ai player del real estate in particolare per il settore residenziale.

*Paola Pierotti e Andrea Nonni/giornalisti PPAN

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