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Quale Europa dopo il 9 giugno

Tra il 6 e il 9 giugno oltre 400 milioni di persone di 27 Paesi dell’Unione europea voteranno i 705 deputati dell’Europarlamento. Di queste elezioni e della futura architettura politica europea, oltre che del ruolo politico e geostrategico dell’Europa in un mondo sempre più polarizzato su Cina e Usa, abbiamo parlato con Carlo Fidanza, eurodeputato del gruppo Ecr (Conservatori e Riformisti Europei), quarantasette anni, originario di San Benedetto del Tronto ma milanese di adozione. Fidanza è cresciuto a pane e politica. Ha iniziato a Milano nel Fronte della Gioventù, diventando il primo presidente provinciale di Azione Giovani. Nel dicembre 2012 è tra i dodici fondatori di Fratelli d’Italia, di cui diventa Capodelegazione al Parlamento europeo e responsabile nazionale Enti locali. Alle Europee del 26 maggio 2019 viene rieletto nella lista di Fratelli d’Italia, arrivando primo dopo la leader Giorgia Meloni ed entrando a far parte del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr).

Le elezioni europee sono alle porte. Che clima si respira in Europa?

Il nostro continente è a un bivio. Il doppio shock asimmetrico dato dalla pandemia e dalle guerre, insieme alla competizione globale che ci schiaccia tra gli Usa e i giganti asiatici, ci ha dimostrato quanto siano state sbagliate le politiche di questi ultimi tre decenni che hanno allungato a dismisura le nostre catene del valore, dapprima con le delocalizzazioni e poi con la desertificazione produttiva dettata dalle politiche ultra-ambientaliste di questi anni. Non può esistere autonomia strategica o, se preferite, sovranità europea, senza la competitività delle nostre imprese. Nell’ultimo periodo, però, l’Italia è ritornata protagonista sui tavoli europei con tante proposte concrete.

Parliamo di energia. Come può l’Europa far fronte alla crisi climatica e ambientale? Ci sono nuove politiche energetiche in cantiere?

La riduzione delle emissioni inquinanti è un problema globale che andrebbe affrontato con pragmatismo e concretezza. Non dobbiamo ricadere nell’errore di pensare che la soluzione sia imporre a cittadini e imprese europei obiettivi e vincoli irrealizzabili. A maggior ragione se il resto del mondo, a partire da Paesi come la Cina, ignora le principali norme per abbattere l’impatto ambientale e continua ad aumentare la propria potenza industriale. Occorrono politiche serie che tengano insieme la sostenibilità ambientale con quella sociale ed economica, ispirate al principio di neutralità tecnologica e aperte a biocarburanti e nucleare di ultima generazione, a mio avviso indispensabili per la transizione.

Giorgia Meloni forse si candida. Si sente di confermare questa possibilità?

Non sarebbe la prima volta che un presidente del Consiglio si candida a guidare il proprio partito alle europee e, secondo me, sarebbe un bel bagno di democrazia. Spetterà a Giorgia Meloni scegliere se candidarsi e lo farà avendo come priorità l’azione di governo. Dal canto nostro, siamo pronti a moltiplicare la presenza di FdI al Parlamento europeo, che in questi anni ha lavorato bene e saprà fare ancora meglio.

Citando le opposizioni, le elezioni europee rappresentano una “messa alla prova” per il Governo Meloni. Concorda con questa visione?

Sono vere entrambe le cose. Saranno il primo test nazionale dopo le Politiche del settembre 2022 e un termometro del gradimento dei partiti e dei leader. Oggi, gli italiani sanno che l’Ue ha bisogno di cambiamento e di un’Italia più forte. E l’unico modo per averla è sostenere il partito che esprime il presidente del Consiglio, guida il governo e una coalizione compatta, che esprimerà il maggior numero di europarlamentari e con ogni probabilità anche il nuovo Commissario europeo. Ma queste europee saranno anche un referendum tra due modelli diversi di Europa e di politiche europee.

Pensa che queste elezioni possano rappresentare un cambio di equilibri e di posizione da parte dell’Ue relativamente ai conflitti regionali in corso?

L’Unione europea fatica a parlare con una voce sola sulle grandi questioni internazionali. Se vogliamo tornare a contare in uno scenario geopolitico sempre più complesso, l’Ue ha bisogno di una politica estera e di difesa comune e di ritrovare un’anima e una propria missione. Detto questo, sia chiaro: se a vincere sarà il centrodestra con il fondamentale apporto dei Conservatori, nessun passo indietro verrà compiuto sull’Ucraina. E per quanto riguarda il Medio Oriente, la nostra posizione è sempre stata chiara: “Due popoli, due Stati”.

“Stati Uniti d’Europa” o “Europa delle Nazioni”? Come vede il futuro dell’Ue dopo il 9 giugno?

Quello degli “Stati Uniti d’Europa” è un mantra che sa di utopia e si tradurrebbe in ulteriori cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali verso Bruxelles. L’Europa deve tornare ad essere quello che i padri fondatori sognavano: una confederazione di nazioni libere e sovrane, unite sui grandi temi ma autonome su questioni di stretta competenza nazionale, rispettando le differenti sensibilità economiche, sociali e culturali. “Non faccia Bruxelles ciò che meglio può fare Roma, e non faccia Roma ciò che meglio può fare Bruxelles”: è il cosiddetto principio di sussidiarietà scolpito nella pietra dei Trattati europei.

Italia protagonista in Europa. Dal 9 giugno il ruolo del nostro Paese potrà esser ancora più cruciale?

Già oggi nessuna scelta che conta potrebbe essere presa senza l’Italia. Ma è indubbio che, se a questo si sommasse un grande risultato elettorale di Fratelli d’Italia e un’affermazione dei Conservatori europei di cui Meloni è leader, potremmo pesare ancora di più. Se poi i numeri del 10 giugno ci consentissero davvero di ribaltare l’attuale maggioranza, avremmo finalmente la possibilità di realizzare un’Europa più in linea con i nostri valori e, ciò che più conta, con gli interessi degli italiani.

 

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